Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25468 del 21/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enric – Presidente –

Dott. TRISCARI G. – Consigliere –

Dott. SUCCIO Rober – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria – rel. Consigliere –

Dott. GORI P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 9397 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:

B.M.R., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Gianleonardo Caruso, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Egidio Lizza, in Roma, Via Valadier n. 43;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 9785/33/14, depositata in data 11 novembre 2014, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 giugno 2021 al Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 9785/33/14, depositata in data 11 novembre 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania, accoglieva parzialmente l’appello proposto da B.M.R. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 136/02/13 della Commissione tributaria provinciale di Benevento che aveva rigettato il ricorso proposto dal suddetto contribuente, esercente attività di commercio al dettaglio di materiale per ottica, strumenti di precisione, avverso l’avviso di accertamento n. ***** con il quale l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultimo un maggiore reddito, ai fini Irpef, Irap, e l’Iva, per l’anno di imposta 2008, in base alla emersa incongruenza dei ricavi dichiarati rispetto alle risultanze dello studio di settore di riferimento (con un valore minimo di ricarico sul costo del venduto del 74% rispetto a quello dichiarato del 52%), alla registrazione nel conto cassa di uscite mensili di contanti imputate a ricavi di vendite in nero, alla gestione in perdita del conto corrente bancario, alla esigua redditività dichiarata in diverse annualità (2006-2009) di imposta rispetto ai costi sostenuti;

– in punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) avverso l’avviso di accertamento n. ***** con cui l’Ufficio – stante la emersa incongruità di quelli dichiarati rispetto alle risultanze dello studio di settore, di uscite mensili di denaro dal conto cassa della ditta, imputate a ricavi di vendite in nero, nonché la gestione in perdita del conto corrente bancario – aveva ricostruito nei confronti di B.M.R. maggiori ricavi per l’anno 2008, ai fini Irpef, Irap e Iva, quest’ultimo aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Benevento deducendo la illegittimità dell’atto impositivo per difetto di sottoscrizione, per mancata instaurazione del contraddittorio preventivo, per assenza dei presupposti dell’accertamento con metodo induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, per aleatorietà della percentuale di redditività del 74% applicata, nonché, nel merito, evidenziando, il mancato svolgimento dell’attività a tempo pieno, nel 2008, per motivi di salute e la riduzione dei prezzi per la presenza di aziende concorrenti nel settore; 2) aveva controdedotto l’Agenzia chiedendo il rigetto del ricorso; 3) la CTP di Benevento, con la sentenza n. 136/2/13, aveva rigettato il ricorso; 4) avverso la sentenza della CTP aveva proposto appello il contribuente ribadendo le censure già formulate in primo grado e aveva controdedotto l’Ufficio chiedendo la conferma della decisione di prime cure;

– in punto di diritto, la CTR ha osservato che: 1) il metodo induttivo adottato dall’Ufficio non permetteva la esatta rideterminazione dei maggiori ricavi, diversi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente, sulla base di una aleatoria percentuale di reddittività, non sussistendo grave incongruenza nella sua dichiarazione dei redditi; 2) le scritture contabili erano state regolarmente tenute per cui alcuna operazione in evasione era stata posta in essere; 3) considerando anche l’esito della sentenza n. 49/46/12 del 6.12.11 della CTR della Campania che aveva, per l’anno 2006, favorevolmente al contribuente, riformato la decisione di primo grado, era equo rideterminare la percentuale di redditività pari al 74% del costo degli acquisti al 64% in quanto, nei 2008, il contribuente non aveva potuto svolgere la propria attività a tempo pieno per motivi di salute e aveva dovuto ridurre i prezzi per la presenza di aziende concorrenti;

– avverso la sentenza della CTR, il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste, con “atto di costituzione”, l’Agenzia delle entrate;

– il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere la CTR pronunciato sulla censura, proposta nei gradi di merito, di illegittimità dell’avviso di accertamento per mancata instaurazione di un preventivo contraddittorio con il contribuente;

– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 61, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per avere la CTR affermato, da un lato, che “il metodo adottato dall’Ufficio, non permette l’esatta rideterminazione dei maggiori ricavi come accertati… sulla base di una aleatoria percentuale di redditività, non sussistendo grave incongruenza nella dichiarazione dei redditi” e che “le scritture contabili sono state regolarmente tenute, tanto che alcuna contestazione dall’Ufficio è stata sollevata per cui alcuna operazione commerciale in evasione è stata posta in essere” e, dall’altro, che fosse “equo rideterminare la percentuale di redditività che pari ai 74% del costo degli acquisti che viene equamente ridotta nell’ambito del 64%”, dando luogo ad una anomalia motivazionale per affermazioni inconciliabili o motivazione perplessa ed incomprensibile, senza potere evincere le “ragioni di fatto e di diritto” sottese alla decisione medesima;

– il secondo motivo è fondato;

– va precisato, in particolare, che costituisce ius receptum (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; invero, l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti”. Pertanto, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e a giurisprudenza ivi richiamata; v. da ultimo Cass. 22949 del 2018). Come da ultimo precisato da questa Corte, “ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 9105 del 07/04/2017; Cass. n. 25456 del 2018; n. 26766 del 2020); nella specie – a fronte della ricostruzione dell’Ufficio nei confronti del contribuente, esercente attività di vendita al dettaglio, di un maggiore reddito ai fini Irpef, Irap e Iva, per il 2008, stante la emersa incongruenza dei ricavi dichiarati rispetto alle risultanze dello studio di settore nonché il riscontro di prelievi mensili di denaro dal conto cassa, imputati a ricavi di vendite in nero, e la gestione in perdita del conto corrente bancario – il giudice di appello, ha, da un lato, affermato che “il metodo induttivo adottato dall’Ufficio non permetteva l’esatta rideterminazione dei maggiori ricavi accertati… diversi da quelli dichiarati dal contribuente, sulla base di una aleatoria percentuale di redditività, non sussistendo grave incongruenza nella dichiarazione dei redditi” e che “le scritture contabili sono state regolarmente tenute, tanto che alcuna contestazione dall’Ufficio è stata sollevata per cui alcuna operazione commerciale in evasione è stata posta in essere” e, dall’altro, che fosse “equo rideterminare la percentuale di redditività pari al 74% del costo degli acquisti… nell’ambito del 64%, in quanto, nel 2008, il contribuente non (aveva) potuto svolgere la propria attività a tempo pieno per motivi di salute e (aveva) dovuto ridurre i prezzi per la presenza di aziende concorrentì; con ciò, senza rendere evincibile, per il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” – le prime sul piano della asserita insussistenza di elementi presuntivi a sostegno della pretesa impositiva (an) e l’altra sul piano della operatività della prova contraria offerta dal contribuente – l’effettiva ratio decidendi e l’iter logico-giuridico seguito dalla CTR per la formazione del proprio convincimento;

– l’accoglimento del secondo motivo rende inutile la trattazione del primo, con assorbimento dello stesso;

– in conclusione, va accolto il secondo, assorbito il primo; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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