LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO Maria Giulia – Consigliere –
Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 07043/2014 R.G. proposto da:
C.M., (C.F. *****), Ca.Ma., (C.F. *****), C.G., (C.F. *****) e G.C. (C.F.
GRZCLN52C62A755K), tutti rappresentati e difesi dall’avv. Massimo Amato, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Antonella Altieri, in Roma piazza del Biscione 95.
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, (C.F. *****), in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12.
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 322/28/2013 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, depositata il giorno 17 settembre 2013.
Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2021 dal Consigliere Giuseppe Fichera.
FATTI DI CAUSA
C.M., Ca.Ma., C.G. e G.C., tutti quali eredi del defunto C.U., impugnarono l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate, con il quale vennero ripresi a tassazioni maggiori redditi tratti dal de cuius per l’anno 2007, ai fini delle imposte dirette, dell’IRAP e dell’IVA.
Il ricorso venne respinto integralmente in primo grado; proposto appello dagli eredi, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza depositata il 17 settembre 2013, lo respinse.
Avverso la detta sentenza, C.M., Ca.Ma., C.G. e G.C. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro mezzi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso deducono C.M., Ca.Ma., C.G. e G.C. la nullità della sentenza impugnata, per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, dell’art. 132 c.p.c., nonché vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), poiché la commissione tributaria regionale ha, contraddittoriamente, affermato l’obbligo del contraddittorio preventivo e la possibilità del giudice di accertare la legittimità dell’avviso impugnato, a prescindere dall’instaurazione del ridetto contraddittorio.
2. Con il secondo motivo denunciano vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo il giudice di merito omesso di esaminare la documentazione comprovante il rapporto di lavoro esistente con i figli del contribuente.
3. Con il terzo motivo assumono la violazione del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 2, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, poiché il giudice di merito ha ritenuto legittimo l’accertamento impugnato, nonostante l’amministrazione non avesse attivato il contraddittorio endoprocedimentale.
4. Con il quarto motivo lamentano la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 59, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, convertito dalla L. 20 ottobre 1993, n. 427, avendo l’amministrazione applicato il metodo analitico induttivo, senza neppure avere prima ispezionato la contabilità aziendale.
5. Il primo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente stante il comune oggetto, sono entrambi inammissibili.
E invero, da un lato, i ricorrenti non colgono esattamente la ratio decidendi della sentenza impugnata, visto che essa ha seccamente escluso che l’amministrazione avesse l’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale.
Dall’altro lato, va ribadito che il contraddittorio con il contribuente costituisce elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa, nell’ambito del c.d. “accertamento standardizzato” mediante parametri o studi di settore (tra le tante, Cass. 18/12/2017, n. 30370), ma nella vicenda a mano, come si evince pure dalla lettura del ricorso degli eredi del contribuente, l’Agenzia delle entrate ha notificato ai predetti un accertamento analitico induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, fondato – tra gli altri indizi – sull’evidente antieconomicità dell’attività svolta, dal momento che nell’esercizio preso in esame (come pure nei due precedenti e in quello successivo), i costi sostenuti per l’attività aziendale risultavano costantemente superiori ai ricavi conseguiti.
6. Il secondo motivo è manifestamente inammissibile, poiché i ricorrenti neppure indicano specificatamente in quale fase processuale avrebbero prodotto quella documentazione, dalla quale emergerebbe la prova del rapporto di lavoro, del tutto ignorata dal giudice d’appello nella sentenza in atti.
7. Il quarto motivo è inammissibile.
Lamentando plurime violazioni di legge, in realtà i ricorrenti intendono sottoporre ad un nuovo sindacato di merito l’accertamento effettuato dalla commissione tributaria, in ordine alla legittimità dell’avviso impugnato, fondato su taluni precisi elementi indiziari, analiticamente riportati nella sentenza impugnata.
Del resto, è noto che secondo l’orientamento di questa Corte, in tema di accertamento delle imposte, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, consente la rideterminazione dei ricavi e, quindi, dei redditi su base induttiva, facendo ricorso alle presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, quando – è esattamente il caso in discussione – la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile (Cass. 11/04/2018, n. 8923; Cass. 11/04/2012, n. 5731).
8. Le spese seguono la soccombenza; sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti dei ricorrenti del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
PQM
Respinge il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021