Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.25487 del 21/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20668-2016 proposto da:

D.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIBIA, 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GALIENA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI LAZZARETTO;

– ricorrente –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURO MENEGHINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2066/2015 della CORTE (Ndr: testo originale maccante).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 27.8.2015, respinse l’appello proposto da D.P.A. nei confronti di C.F. avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza, che aveva accolto la domanda del C. di restituzione della somma di Euro 41.316,55 oltre interessi.

1.1. La richiesta di restituzione era fondata su una dichiarazione di debito sottoscritta dal D.P. in data 25.9.1995.

1.2. Il D.P. aveva sostenuto che il rapporto negoziale con il C. era fondato su un contratto preliminare di vendita di un immobile appartenente al medesimo e che la somma richiesta costituiva parte del prezzo dell’immobile promesso in vendita dall’attore; detto contratto era affetto da nullità perché elusivo delle disposizioni tributarie; in via incidentale il D.P. propose querela di falso avente ad oggetto la scrittura privata del 25.9.1995.

1.3. Secondo la corte di merito, la querela di falso, rigettata in appello in via incidentale con ordinanza del 23.3.2011, non era stata riproposta all’udienza di precisazione delle conclusioni, sicché doveva intendersi implicitamente rinunciata. Quanto alla domanda di nullità del contratto per violazione della normativa fiscale, la Corte d’appello richiamava la giurisprudenza di legittimità che riconosceva validità al contratto la cui finalità esclusiva non era solo quella di conseguire solo un risparmio fiscale.

2. Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso D.P.A. sulla base di tre motivi.

2.1. Ha resistito con controricorso C.F..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto del collegio d’appello aveva fatto parte il Dott. B., che avrebbe istruito il giudizio di primo grado e, verserebbe, pertanto in condizioni di incompatibilità. Poiché aveva conosciuto del processo in altro grado di giudizio, il giudice avrebbe dovuto astenersi, pena la nullità della sentenza, né il ricorrente avrebbe potuto proporre tempestivamente la ricusazione in quanto non era nota in anticipo la composizione dei collegi.

1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

1.2. La giurisprudenza è consolidata nell’affermare che la conoscenza della causa come magistrato in alto grado del processo è riferita alla partecipazione alla decisione di merito e non ad atti istruttori nel giudizio di primo grado (Cassazione civile sez. III, 19/01/2017, n. 1296).

Il giudice che abbia partecipato soltanto alla attività istruttoria nel corso del giudizio di primo grado, senza poi prender parte alla decisione della causa, non ha alcuna incompatibilità a comporre il collegio giudicante in secondo grado e non è pertanto gravato dal dovere di astensione ex art. 51 c.p.c., n. 4; in ogni caso, l’inosservanza di un eventuale dovere di astensione non dà luogo alla nullità della sentenza per irregolare composizione del collegio giudicante, qualora la parte interessata non abbia proposto istanza di ricusazione (Cassazione civile sez. II, 28/03/2007, n. 7578).

2.Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 189 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la corte di merito erroneamente ritenuto che la questione relativa alla querela di falso della scrittura privata del 25.9.1995 fosse stata implicitamente rinunciata perché non riproposta all’udienza di precisazione delle conclusioni ma solo in comparsa conclusionale.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. La querela di falso in via incidentale non può essere proposta nella comparsa conclusionale, scritto riservato alla sola illustrazione delle difese (Cassazione civile sez. VI, 25/07/2013, n. 18069).

2.3. Il procedimento di querela di falso in via incidentale, può essere infatti avviato entro i limiti dell’udienza di precisazione delle conclusioni ma non negli scritti difensivi riservati alla sola illustrazione delle difese.

2.4. La previsione secondo cui la querela di falso può essere sempre proposta in qualsiasi stato e grado del giudizio (art. 221 c.p.c.) deve essere dunque intesa nel senso che la relativa istanza, in primo o in secondo grado, deve comunque intervenire prima della rimessione della causa in decisione, quindi, al più tardi entro l’udienza di precisazione delle conclusioni. (Cassazione civile sez. II, 31/08/2011, n. 17900 ha enunciato il principio in un giudizio introdotto in data successiva al 30 aprile 1995, nel quale la querela di falso era stata dichiarata inammissibile in quanto proposta con la memoria di replica).

2.5. Nel caso di specie, la querela di falso, proposta in via incidentale in grado d’appello era stata rigettata con ordinanza del 23.3.2011 e non risulta che avverso detta statuizione sia stato proposto ricorso per cassazione; essa non era stata più riproposta all’udienza di precisazione delle conclusioni sicché la Corte di merito ha correttamente ritenuto che la parte vi avesse implicitamente rinunciato e che, in ogni caso, l’istanza di querela fosse inammissibile perché proposta in comparsa conclusionale.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1344 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in quanto un accordo volto alla violazione delle norme tributarie comporterebbe la nullità dell’atto per contrarietà a norme imperative.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2. E’ pacifico presso la giurisprudenza di questa Corte regolatrice che la frode fiscale, diretta ad eludere le norme tributarie trova soltanto nel sistema delle disposizioni fiscali la sua sanzione, la quale non è sanzione di nullità o di annullabilità del negozio (Cass. 5 novembre 1999, n. 12327; Cass. 24 ottobre 1981, n. 5571). La violazione della normativa fiscale non incide pertanto sulla validità o efficacia di un contratto, ma ha rilievo esclusivamente tributario (Cassazione civile sez. III, 18/03/2008, n. 7282; Cass. 22 luglio 2004, n. 13621).

3.3. La corte di merito si è conformata a tale principio di diritto ritenendo che l’operazione contrattuale non avesse come unico scopo quello del “risparmio” fiscale, con conseguente elusione delle norme tributarie ma avesse ulteriori finalità sicché non ha ravvisato un’ipotesi di nullità del contratto.

4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1 in quanto il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.

4.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di cassazione, il 4 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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