LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12845-2018 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, *****, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende Ope Legis;
– ricorrente –
contro
V.P., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in Roma, Via Monte Santo 68, presso lo studio dell’avvocato Stefania Iasonna, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, depositata il 17/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/03/2021 dalla Consigliera Dott. Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– gli odierni controricorrenti, con ricorso L. n. 89 del 2001, ex art. 2 depositato inannazi alla Corte d’Appello di Roma, convenivano in giudizio il Ministero della Giustizia al fine di sentire accertare e dichiarare la violazione dell’art. 6, par.1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole del processo, e, conseguentemente al fine di veder riconosciuto il diritto ad una equa riparazione, a norma del disposto di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1;
– con decreto n. 9833/2017 emesso in data 17.11.2017 l’adita Corte d’Appello di Roma respingeva l’opposizione del Ministero al decreto emesso dal Consigliere delegato e in accoglimento del ricorso condannava il Ministero della Giustizia al pagamento, senza dilazione, in favore di ciascun ricorrente, dell’importo di Euro 3.300,00, fatta eccezione per gli eredi S.- M. ai quali veniva riconosciuta la somma di Euro 2.700,00 pro quota, oltre a interessi legali della domanda al saldo, nonché al pagamento delle spese processuali;
– con ricorso per cassazione il Ministero della giustizia ha impugnato il decreto della Corte d’appello di Roma con ricorso affidato a tre motivi cui resistono i controricorrenti meglio indicati in epigrafe con controricorso illustrato da memoria;
CONSIDERATO
che:
– osserva il Collegio che le eccezioni preliminari svolte dai controricorrenti per l’uso della tecnica del taglia/incolla avente ad oggetto i documenti di causa in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e per la asserita mancata specificazione delle affermazioni di diritto presenti nel provvedimento impugnato e fatte oggetto di censura, sono infondate;
– il ricorso, infatti, a differenza del caso in cui sussiste l’ipotizzata inammissibilità (cfr. Cass. 1278/2020), contiene una parte espositiva in via sommaria del fatto sostanziale e processuale, così come l’articolazione dei motivi e della loro illustrazione in relazione alle censure sollevate nei confronti del decreto impugnato e di seguito specificate;
– con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 bis nonché della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 75 c.p.c.;
– ad avviso di parte ricorrente, il decreto impugnato sarebbe violativo delle norme di legge prima indicate poiché la corte d’appello non avrebbe scomputato la frazione temporale intercorsa fra la data di deposito del ricorso e la successiva data di notifica dello stesso con specifico riguardo alla parte resistente violando il dettato normativo secondo il quale i periodi di sospensione del procedimento vanno scomputati dalla durata complessiva del procedimento;
– il Ministero ricorrente censura quindi la violazione dell’art. 2 quater Legge Pinto poiché il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato avrebbe dovuto assimilare il periodo di totale assenza di trattazione alla sospensione del procedimento;
– con il secondo motivo di ricorso si censura l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia che ha formato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
– secondo il ricorrente, la corte territoriale avrebbe omesso di considerare come doveroso lo scomputo di quei periodi di tempo comportanti ritardo e – comunque prolungamento nei tempi di definizione del giudizio indipendenti dall’attività dell’ufficio;
– con il terzo motivo di ricorso si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al quantum dell’equo indennizzo;
– ad avviso del ricorrente, la corte d’appello sembra aver pretermesso l’esame di parametri di rilievo normativo e la ricorrenza di una serie di fattori di segno maggiorativo quali la controvertibilità della materia del contendere con rigetto della domanda nonostante due decisioni favorevoli a conclusione delle due fasi di merito, la successiva restituzione di somme richieste avvalendosi della provvisoria esecutività della decisione di primo grado e poi risultate non dovute, l’entità circoscritta del ritardo;
– in tale contesto, ad avviso del ricorrente, sarebbe stato più che sufficiente far riferimento al moltiplicatore di Euro 400 per anno di ritardo;
– il primo motivo è fondato;
– occorre considerare il tenore della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2-bis e 2-quater a mente dei quali si prevede, rispettivamente che:
– 2-bis. si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. Ai fini del computo della durata il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell’atto di citazione. Si considera rispettato il termine ragionevole se il procedimento di esecuzione forzata si è concluso in tre anni, e se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni. Il processo penale si considera iniziato con l’assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, ovvero quando l’indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari.
– 2-quater “Ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa.”
– le disposizioni citate contengono due principi rilevanti nel caso di specie: il primo afferma che ai fini del computo della durata, il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo ed il secondo dispone che ai fini del computo non si ha riguardo al tempo in cui il processo è sospeso ed a quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa;
– sono principi che come fondatamente osservato dal Ministero ricorrente vanno interpretati alla luce della ratio della normativa che è quella di indennizzare le parti dall’irragionevole durata del processo imputabile alle disfunzioni dell’apparto statuale;
– ciò posto nel caso in esame l’intervallo temporale da scomputare ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma quater è quello ricompreso fra l’inizio del termine per proporre l’impugnazione e quello della notifica dell’appello avanzato, nel giudizio presupposto, dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti avverso la sentenza del Tribunale di Roma che accoglieva il ricorso proposto dagli odierni controricorrenti, atteso che sino a quel momento le parti vittoriose in primo grado non hanno patito alcun pregiudizio imputabile all’apparato dal momento che neppure erano a conoscenza del procedimento di secondo grado introdotto dall’amministrazione soccombente;
– la tesi prospettata appare coerente con la prospettata necessità di distinguere il diverso dies a quo da cui valutare la durata non ragionevole del processo ai fini della domanda di riparazione del relativo pregiudizio subito dalle parti processuali di modo che qualora la lite sia stata introdotta con ricorso mentre per la parte ricorrente occorre avere riguardo alla data di deposito dello stesso, per la parte resistente la litispendenza si verifica solo a seguito della notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza;
– conseguentemente appare fondata la doglianza formulata dal Ministero e pertanto il primo motivo di ricorso va accolto con cassazione del decreto impugnato e rinvio alla Corte d’appello di Roma, affinché, in diversa composizione, riesamini l’opposizione alla luce dei principio di diritto secondo il quale la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quater deve essere interpretato distinguendo per la parte appellata, che ha proposto la domanda di equa riparazione, il termine da scomputare avendo riguardo al momento della notifica dell’impugnazione ove questa sia stata proposta con ricorso;
– l’accoglimento del primo motivo assorbe la decisione sugli altri;
– il giudice del rinvio provvederà altresì sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 11 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021