LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22315-2016 proposto da:
S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LEPORACE, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE, ***** IN PERSONA DEL MINISTRO PRO-TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 979/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 17/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/05/2021 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.
RITENUTO IN FATTO
1 La Corte d’Appello di Catanzaro con sentenza del 17.7.2015, in accoglimento del gravame proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha riformato la sentenza di primo grado (n. 781/2010 del Tribunale di Catanzaro), revocando il decreto ingiuntivo n. 546/2004 ottenuto dall’avvocato S.G. per prestazioni professionali svolte nell’interesse della curatela di un Fallimento, poi revocato.
Per giungere a tale conclusione la Corte di merito ha osservato:
– che la richiesta di chiamata in causa del Ministero della Giustizia, indicato dal Ministero delle Finanze come unico soggetto tenuto al pagamento dei compensi, non poteva essere disposta in appello perché diversamente il terzo verrebbe a perdere un grado di giudizio;
– che l’appellante non poteva dolersi del diniego, da parte del primo giudice, dell’autorizzazione alla chiamata del terzo, trattandosi di valutazioni discrezionali;
– che il soggetto legittimato a contraddire alla domanda era il Ministero della Giustizia, sicché il Ministero dell’Economia e delle Finanze era privo di legittimazione passiva.
2 Contro tale sentenza il professionista propone ricorso per cassazione con tre motivi a loro volta contenenti plurime censure.
Resiste con controricorso il Ministero delle Finanze.
In prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato una memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 Col primo motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 5 e art. 269 c.p.c., comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; conseguente nullità del procedimento di primo grado e della relativa sentenza nonché della sentenza oggi impugnata che per l’effetto va cassata (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Violazione dell’art. 112 c.p.c. (error in procedendo) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – Motivazione lacunosa e contraddittoria in riferimento ad un fatto decisivo per il giudizio sul quale il giudice d’appello non ha inteso decidere pur avendo, tale fatto, formato oggetto di discussione tra le parti e motivo di appello incidentale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); e ciò nonostante tale autorità giudiziaria avesse dovuto, comunque, accertare l’avvenuta violazione, nel caso di specie, della L. n. 260 del 1958, art. 4 (censura che viene sollevata in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).
Violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la Corte territoriale deciso anche sull’appello incidentale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).
1.2 Col secondo motivo si deduce omessa valutazione dei fatti e delle richieste processuali tempestivamente formulate dall’opposto, in prime cure, ai sensi dell’art. 269 c.p.c., comma 3, riguardo alla chiamata in causa del Ministero della Giustizia (e ciò lo si denuncia in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4); chiamata in causa che si sarebbe comunque dovuta disporre, quanto meno, alla luce di quanto previsto dalla L. n. 260 del 1958, art. 4 violazione questa, che si contesta in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Di conseguenza si lamenta la violazione dell’art. 24 Cost. non avendo il giudice d’appello disposto la nullità del procedimento primo grado e della sentenza di primo grado (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e per l’effetto disposto, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., la rimessione della causa al primo giudice per l’integrazione del contraddittorio (e ciò si contesta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4). – Si contesta anche la nullità della sentenza di secondo grado e del procedimento di primo grado (con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 4); Motivazione lacunosa e perplessa per avere la Corte d’Appello omesso di esaminare un fatto processuale, di cui ha travisato i contenuti, sicuramente “decisivo” per il giudizio e che ha formato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
1.3 Col terzo motivo si denunzia violazione della L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4 nonché violazione dell’art. 24 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e per l’effetto, si contesta la nullità della sentenza impugnata per non avere il giudice d’appello disposto, anche d’ufficio, la nullità del procedimento di primo grado e della relativa sentenza (in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4) e per non avere rimesso la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); – Violazione dell’art. 112 c.p.c. (error in procedendo) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. – Si lamenta, inoltre, la lacunosità della motivazione, sotto altro profilo, per avere il giudice d’appello omesso di esaminare, attraverso un incomprensibile argomentazione, un fatto processuale decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti, in quanto unico motivo d’appello, e che ove deciso avrebbe potuto condurre ad altra e diversa conclusione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
2 I tre motivi – che per la loro stretta connessione ben si prestano e trattazione unitaria – sono fondati.
Il nucleo della censura investe un error in procedendo del Tribunale prima e della Corte d’Appello dopo, per non avere considerato che, a seguito dell’eccezione sollevata dal Ministero delle Finanze nell’atto di opposizione circa il soggetto tenuto al pagamento del compenso al difensore della curatela fallimentare, occorreva fare applicazione della L. n. 260 del 1958, art. 4. Il ricorso è pertanto senz’altro ammissibile, contrariamente a quanto eccepito preliminarmente dal controricorrente, posto che viene ripetutamente denunziata la violazione della L. n. 260 del 1958, art. 4 e la nullità del giudizio di primo grado ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Del resto, è noto che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (tra le tante, v. Sez. 2 -, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018 Rv. 648018; Sez. 2 -, Sentenza n. 24247 del 29/11/2016 (Rv. 642198; Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 Rv. 627268).
Ciò chiarito, e venendo all’esame dei motivi, dispone la L. n. 260 del 1958, art. 4 che “l’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato. Tale indicazione non è più eccepibile. Il giudice prescrive un termine entro il quale l’atto deve essere rinnovato. L’eccezione rimette in termini la parte”.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la mancata concessione, da parte del giudice, di un termine ai sensi della L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4 finalizzato alla corretta instaurazione del contraddittorio norma applicabile non solo quando l’errore d’identificazione riguardi l’organo munito di legittimazione processuale nell’ambito del medesimo ente, ma anche quando riguardi enti diversi, come Stato e Regione – determina la nullità del giudizio di primo grado (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 3709 del 15/02/2011 Rv. 616677 in tema di opposizione ad ingiunzione fiscale). E, quanto all’applicabilità dell’art. 4 cit. in caso di errore un Ministero piuttosto che un altro, cfr. tra le varie, Sez. 2 -, Ordinanza n. 8049 del 21/03/2019 Rv. 653292; Sez. 3, Sentenza n. 16104 del 26/06/2013 Rv. 626902; Sez. 3, Sentenza n. 10806 del 12/08/2000 Rv. 539584; Sez. 1, Sentenza n. 8697 del 26/06/2001 Rv. 547729.
Nel caso di specie, avendo il Ministero delle Finanze sollevato l’eccezione già con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo (e quindi in un momento addirittura precedente all’udienza) e poi attraverso il richiamo all’atto introduttivo fatto nel verbale del 18.3.2005, il Tribunale avrebbe dovuto senz’altro fissare il termine per la rinnovazione della notifica ai sensi della citata disposizione di legge speciale, così come peraltro tempestivamente richiesto anche dal creditore opposto sia nella comparsa di costituzione, sia nel verbale citato (cfr. atti che la natura procedurale del vizio dedotto consente di consultare), non disponendo di alcun margine di discrezionalità; e la Corte d’Appello, investita dallo specifico motivo di gravame incidentale, avrebbe dovuto rilevare subito la violazione della L. n. 260 del 1958, art. 4 e quindi dichiarare la nullità della sentenza di primo grado con conseguente rimessione della causa al giudice di primo grado (art. 354 c.p.c.), trattandosi di questione riguardante la corretta instaurazione del contraddittorio (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 3709/2011 cit.), piuttosto che applicare semplicisticamente un principio di diritto applicato a tutt’altra ipotesi (chiamata del terzo in garanzia impropria: cfr. Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014 Rv. 630316 a cui ha fatto riferimento la sentenza impugnata).
In ogni caso in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, anche tardiva ai sensi dell’art. 650 c.p.c., per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l’opponente quella di convenuto, il che esplica i suoi effetti anche in ordine ai poteri e alle preclusioni di ordine processuale rispettivamente previsti per ciascuna delle due parti. Ne consegue che, ai fini della chiamata in causa del terzo da parte dell’opposto, attore in senso sostanziale, trova applicazione, non l’art. 269 c.p.c., comma 2, ma il comma 3, essendo la detta chiamata subordinata alla valutazione discrezionale, da parte del giudice istruttore, che l’esigenza dell’estensione del contraddittorio al terzo sia derivata effettivamente dalle difese dell’opponente, convenuto in senso sostanziale (cfr. su una vicenda analoga Sez. 2, Sentenza n. 14444 del 07/06/2013 Rv. 626584; v. altresì Cass., Sez. I, 27 giugno 2000, n. 8718; Cass., Sez. III, 27 gennaio 2003, n. 1185; Cass., Sez. III, 1 marzo 2007, n. 4800).
L’applicazione dell’art. 269 c.p.c., comma 3 rendeva dunque corretta la richiesta di autorizzazione rivolta al giudice istruttore nella prima udienza.
La violazione di legge commessa dal giudice d’Appello è palese: la sentenza impugnata va cassata e va dichiarata la nullità del giudizio di primo grado, con rinvio al Tribunale di Catanzaro, che provvederà, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente processo di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Catanzaro, che provvederà in diversa composizione anche in ordine alle spese.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021
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