Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25504 del 21/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26017-2019 proposto da:

A.D., rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI MERLA, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in ROMA, VIA MONTE SANTO 25, pec: giovannimerla.ordineavvocatiroma.org;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ REALE MUTUA ASSICURAZIONI, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati MILENA LIUZZI, e FABIOLA LIUZZI, ed elettivamente domiciliato presso lo studio della prima in ROMA, VIA MONTE ASOLONE, 8, pec:

milenaliuzzi.ordineavvocatiroma.org fabiolaliuzzi.ordineavvocatiroma.org;

– resistente e ricorrente incidentale –

Nonché contro B.P., rappresentata e difesa dagli avvocati FRANCESCO FALCO, e TIZIANA FIORINI, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei medesimi in Pomezia, Largo Catone 3, Pec:

tiziana.fiorini.legalmail.it;

-resistente e ricorrente incidentale –

Ed altresì contro:

BO.RO., M.P., M.L., N.M., rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO AQUINO, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del medesimo in Pomezia, via Roma n. 13, Pec: antonio.aquino.oav.legalmail.it;

– Resistenti al ricorso incidentale di B.P. –

A.D., rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI MERLA, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in ROMA, VIA MONTE SANTO 25, pec: giovannimerlaordineavvocatiroma.org resistente al ricorso incidentale di Reale Mutua Assicurazioni e di B.P.;

avverso la sentenza n. 3013/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/03/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

RITENUTO

che:

1. A.D., acquirente di un immobile sito in *****, convenne, con atto di citazione del 17/2/2006, davanti al Tribunale di Velletri B.A. ed P.E., venditori, nonché il notaio D.R.E. per sentir accertare che l’immobile da essa acquistato era affetto da gravi difformità edilizie e non in regola con la normativa urbanistica sicché ne derivava la nullità dell’atto di compravendita per aliud pro alio o il suo annullamento o risoluzione. L’attrice fece, in particolare, valere sia la non corrispondenza a verità delle dichiarazioni rese dai venditori in ordine alla regolarità urbanistica del bene sia la responsabilità del notaio in ordine all’omesso controllo della loro veridicità, chiedendo accertarsi la responsabilità del notaio in solido con i venditori.

B.A. ed P.E. si costituirono in giudizio resistendo alle domande e chiesero la chiamata in causa dei propri danti causa che avevano loro venduto l’immobile. Il notaio D. si costituì in giudizio contestando la domanda e formulando, in via riconvenzionale, domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c.; chiese altresì la chiamata in garanzia di Reale Mutua Assicurazioni e di Nuova Maaa Milano Assicurazioni.

2. Il Tribunale di Velletri, con sentenza n. 802/2013, rigettò la domanda svolta nei confronti della P. e della B., ritenendo che le difformità dell’immobile compravenduto rispetto al progetto approvato non fossero tali da integrare l’ipotesi della consegna di aliud pro alio. Del pari, rigettò la domanda di accertamento della responsabilità professionale svolta nei confronti del D.R., ritenendo che il notaio fosse tenuto soltanto a richiedere al venditore gli estremi della concessione edilizia, e non fosse anche obbligato ad accertare se la stessa fosse o meno veritiera.

3. La Corte d’Appello di Roma fu investita di tutte le questioni di merito, con particolare riguardo alla responsabilità del notaio che, nella prospettazione dell’appellante, non avrebbe dovuto soffermarsi sulla concessione edilizia e sul certificato di abitabilità, ma avrebbe anche dovuto indagare sull’istanza di variante citata nell’atto di provenienza, compiendo i necessari accertamenti presso gli uffici comunali. Con sentenza n. 3013 del 2019, la Corte adita, in parziale accoglimento dell’appello, ha accolto la domanda di risoluzione del contratto per aliud pro alio, ordinando la restituzione della somma pagata a titolo di prezzo, altra somma dovuta all’acquirente per migliorie, detratta una somma per il godimento dell’immobile medio tempore occupato dall’acquirente.

Per quel che è ancora qui di interesse, la Corte territoriale ha rigettato il motivo di appello relativo alla responsabilità del notaio rogante, ritenendo che non incombesse sul medesimo l’obbligo di verificare l’esatta corrispondenza di quanto dichiarato dalle parti circa la consistenza e le dimensioni dell’immobile e circa la conformità di quest’ultimo alla concessione edilizia o alla domanda di sanatoria; ha altresì escluso di poter attribuire rilevanza al profilo di colpa evidenziato dall’appellante, ossia il non aver approfondito l’aspetto della richiesta di variante in corso d’opera, menzionata nell’atto di provenienza, in quanto il CTU aveva rilevato che, anche rispetto alla variante in corso d’opera, l’immobile risultava non conforme di talché l’indagine circa il profilo evidenziato non avrebbe comunque consentito al notaio di rilevare il carattere abusivo dell’immobile, se non a seguito di approfonditi accertamenti in loco dei quali egli era sicuramente esonerato, salvo specifico incarico che, nel caso in questione, non risultava impartito.

4. Avverso la sentenza A.D. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui hanno resistito la società Reale Mutua con controricorso e un motivo di ricorso incidentale condizionato, B.P., erede di B.A., con controricorso e ricorso incidentale. A.D. ha resistito al ricorso incidentale di Reale Mutua e a quello di B.P. con distinti controricorsi: Bo.Ro., P. M. e M.L., danti causa dei venditori, hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale di B.P..

5. La causa è stata assegnata per la trattazione in adunanza camerale in vista della quale A.D., Reale Mutua Assicurazioni e B.P. hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

1. Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale per carenza di interesse formulata dalla Società Reale Mutua di Assicurazioni.

Con essa si sostiene che la ricorrente, avendo già ottenuto l’accoglimento della propria domanda di risoluzione del contratto di compravendita, di restituzione del prezzo e di risarcimento danni nei confronti delle danti causa P. e B., non avrebbe un interesse giuridicamente apprezzabile all’accoglimento dei motivi di ricorso incentrati sulla responsabilità del notaio D.R., non potendo ottenere una utilità diversa o superiore rispetto a quella già conseguita.

1.1 L’eccezione va respinta. E’ del tutto singolare che essa si appoggi sul fatto che l’attrice avrebbe ottenuto tutela contro i suoi venditori di guisa da escludere la possibilità di ottenere altra tutela nei confronti del notaio rogante, in quanto è evidente che la ricorrente mira ad ottenere la stessa tutela in via solidale contro il notaio per il fatto in ipotesi ad esso ascrivibile, e cioè per la violazione dei doveri di diligenza nella esecuzione della prestazione professionale, di guisa che l’interesse processuale della ricorrente alla impugnazione non può essere revocato in dubbio.

Sui motivi del ricorso principale.

1. Con il primo motivo – violazione e mancata applicazione dell’art. 112 c.p.c. anche in relazione all’art. 132 c.p.c. con riferimento all’art. 359 c.p.c. e all’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente si duole del fatto che la sentenza impugnata non abbia riportato le conclusioni dell’appellante, le quali avrebbero riguardato la responsabilità del notaio e non si sarebbe, in particolare, pronunciata sull’omesso esame del progetto di variante relativo all’immobile compravenduto.

1.1. Il motivo è gravemente carente sotto il profilo dell’autosufficienza, in quanto nella sua illustrazione non dimostra e non spiega come e perché la motivazione della sentenza, con ciò in tesi violando l’art. 132 c.p.c., non avrebbe esaminato le conclusioni delle parti. Il motivo neppure riproduce le conclusioni che assume non esaminate: i riferimenti fatti a pag. 17 del ricorso in modo del tutto generico non sono accompagnati in alcun modo, come avrebbe imposto l’art. 366 c.p.c., n. 6, dalla indicazione specifica, mediante riproduzione diretta oppure mediante riproduzione indiretta, in questo secondo caso con precisazione della parte dell’atto corrispondente, del tenore delle conclusioni formulate. Ed anzi l’atto o gli atti processuali dai quali risulterebbero le conclusioni nemmeno sono indicati e men che mai localizzati in questo giudizio di legittimità.

Premessi questi preliminari ed assorbenti profili di inammissibilità, neppure può attribuirsi alcun pregio alla tesi della nullità della sentenza per la mancata riproduzione delle conclusioni in quanto, nel caso in esame, la sentenza ha dato pienamente conto di aver esaminato le conclusioni delle parti con ciò ponendosi in piena conformità rispetto al consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale “l’omessa trascrizione delle conclusioni delle parti non è di per sé causa di nullità della sentenza, assumendo rilevanza solo se ed in quanto accompagnata dalla mancata considerazione delle stesse da parte del giudice” (Cass., 2, n. 11150 del 9/5/2018); “L’omessa, inesatta o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe della sentenza ne determina la nullità solo quando tali conclusioni non siano state esaminate, di guisa che sia mancata in concreto una decisione su domande ed eccezioni ritualmente proposte, mentre, ove il loro esame risulti dalla motivazione, il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza” (Cass., 2, n. 2237 del 4/12/2016).

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione e mancata applicazione dell’art. 1176 c.c.artt. 2230,2236 c.c. nonché della L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 17 e 40 e dell’art. 2644 e 2645 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 La ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha escluso la responsabilità del notaio, sia di natura contrattuale sia extracontrattuale. Quanto ai profili afferenti alla responsabilità contrattuale, parte ricorrente sostiene che la diligenza qualificata richiesta al notaio dall’art. 1176 c.c., comma 2, nello svolgimento della sua prestazione professionale, si estenderebbe anche al controllo sulla regolarità urbanistica dell’immobile e della sua conformità al permesso di edificare, con la conseguenza che il notaio avrebbe l’obbligo, anche in assenza di specifico incarico, di compiere i necessari accertamenti presso i competenti uffici comunali o, perlomeno, di rappresentare al proprio cliente le conseguenze di una possibile irregolarità urbanistica dell’immobile, con invito formale ad accertare l’esistenza di tali irregolarità urbanistiche e con richiesta di una liberatoria in ordine all’avvenuta informazione. In conformità a tali principi, il D.R. avrebbe allora dovuto desumere, dalla domanda di variante, la possibilità che l’immobile fosse non in regola con la normativa urbanistica, e avrebbe quindi dovuto, anche in assenza di specifico incarico da parte della A., verificare l’esito di tale variante e consigliare alla A. di non stipulare fino a quando non avesse avuto contezza della regolarità urbanistica dell’immobile.

Quanto ai profili afferenti alla responsabilità extracontrattuale, questi discenderebbero – secondo la prospettazione di parte ricorrente – dal pregiudizio arrecato alla buona fede dei consociati, lesa dalla trascrizione di un atto di compravendita avente ad oggetto un immobile abusivo e, in quanto tale, nullo.

2.1 Il motivo è inammissibile per plurimi e distinti profili.

Quanto ai dedotti profili di responsabilità contrattuale, la censura non rispetta i requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, giacché l’esposizione del motivo non reca né l’individuazione del contenuto dei documenti sui quali esso si fonda, né il luogo in cui in questo giudizio di legittimità sono rinvenibili, sicché questa Corte non è posta nella condizione di pronunciarsi nel merito. In particolare la ricorrente avrebbe dovuto fornire indicazione specifica dell’atto di compravendita immobiliare a rogito del notaio D.R. del 29/03/2001, nonché quello a rogito notaio D.V. del 20/07/1990, ove sembrerebbe essere menzionata la richiesta di variante in corso d’opera del 27/04/1989, alla quale parte ricorrente fa più volte riferimento in maniera assolutamente generica. Il mancato assolvimento di tale onere non consente di stabilire se il notaio D.R. fosse stato o meno in grado di percepire, sulla base degli atti richiamati nel rogito, che la situazione dell’unità immobiliare compravenduta, per come descritta, poteva collidere con quella effettiva, con conseguente obbligo di sollecitare l’attenzione delle parti stipulanti sulla questione e palesare la mancanza di consonanza.

Quanto ai dedotti profili di responsabilità extracontrattuale, la censura non rispetta i requisiti posti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto non si concreta in una critica alla decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, sicché sortisce l’effetto di demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa.

In definitiva, poi, il motivo svolge considerazioni di natura fattuale, sollecitando, solo all’esito della loro valutazione, la violazione delle norme di diritto che evoca, ma al di là della intrinseca inammissibilità, giusta i limiti entro i quali la ricostruzione della quaestio facti è censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non fornisce, come riferito, l’indicazione della sede in cui tali violazioni risulterebbero e, quando la fornisce, là dove fa riferimento alla CTU, omette di riprodurre gli specifici passaggi della consulenza.

Infine occorre sottolineare che la ricorrente non impugna la seconda ratio decidendi della sentenza che ha decretato la sostanziale irrilevanza della variante ai fini del decidere in quanto il bene non era corrispondente neppure alla variante in questione.

3. Con il terzo motivo di ricorso – violazione e mancata applicazione dell’art. 1 dei principi di deontologia professionale dei notai e della L. n. 89 del 1913, art. 47 nel testo attualmente vigente, il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente censura l’impugnata sentenza per pretesa violazione delle disposizioni indicate in epigrafe avendo la Corte territoriale omesso di accertare gli estremi del dovere di consiglio del notaio.

3.1 Il motivo è manifestamente inammissibile in quanto non solo non individua la motivazione criticanda, ma si disinteressa completamente della motivazione che la corte ha adottato a proposito della posizione del notaio. Enuncia argomentazioni in iure senza spiegare come e perché esse fossero rilevanti in relazione alla vicenda e soprattutto senza indicare come e dove esse fossero state prospettate nelle fasi di merito.

4. Con il quarto motivo – violazione e mancata applicazione degli artt. 2043, 1223, 1226 circa la misura e la liquidazione del danno nonché dell’art. 1489 c.c. e dell’art. 1458 c.c. il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la ricorrente si duole che la impugnata sentenza non abbia computato, nel novero dei danni da porre a carico del notaio, in solido con i venditori, anche il maggior importo relativo al mutuo.

4.1 La censura, in disparte i profili di genericità e di inammissibilità per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, resta assorbito in quanto prospetta che la pretesa responsabilità del notaio avrebbe dovuto determinare, a suo carico, anche un danno ulteriore rispetto a quello riconosciuto a carico delle venditrici. Il giudice del merito avrebbe dovuto esaminare la censura solo per il caso di cassazione della sentenza, mentre è evidente che, avendo escluso la sussistenza di una responsabilità professionale del notaio, la Corte territoriale non avrebbe certo potuto accogliere la domanda di risarcimento dei danni spiegata nei suoi confronti.

Sul ricorso incidentale condizionato della Reale Mutua Assicurazioni.

La sorte del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato della Reale Mutua Assicurazioni.

Sul ricorso incidentale B..

B.P. propone sei motivi di ricorso incidentale avverso la sentenza che, in accoglimento dell’appello, ha dichiarato la risoluzione del contratto di compravendita per aliud pro alio.

A. Il primo motivo di ricorso incidentale – rubricato “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo in relazione alla situazione cristallizzata ed accertata in sede penale” – viene riassunto come segue.

a) Innanzitutto, la ricorrente si duole del fatto che nel giudizio di merito non sia stato acquisito il fascicolo relativo al procedimento penale scaturito a seguito dell’accertamento condotto dai Vigili Urbani, all’esito del quale gli originari danti causa della A. ( B.A. ed P.E.) erano stati assolti per non aver commesso il fatto. Invero – si sostiene – se il giudice d’appello avesse tenuto conto della sentenza di assoluzione, avrebbe escluso il carattere abusivo delle opere realizzate dai B.- P. in difformità rispetto alla concessione edilizia, in quanto queste erano state assentite dal progetto di variante, come confermato anche dagli ordini di remissione in pristino, dagli atti della Polizia Locale allegati alla CTU e dall’attestazione del Sindaco di *****, che il giudice del merito avrebbe omesso di considerare.

b) In secondo luogo, la ricorrente si duole del fatto che il giudice d’appello abbia condiviso le conclusioni della CTU espletata in primo grado nonostante la sua erroneità, derivante dal fatto che essa sarebbe stata redatta solo tenendo conto dell’originaria concessione edilizia e del relativo progetto, sul presupposto, fallace, della mancata approvazione della domanda di variante da parte del Comune.

A.1 Il motivo è inammissibile.

In via preliminare, deve rilevarsi che la produzione della sentenza penale n. 7522/98 sub doc. 5 si sostanzia in un inammissibile tentativo di introdurre surrettiziamente nuovi atti e documenti nel giudizio di legittimità, in palese violazione del disposto di cui all’art. 372 c.p.c. In ogni caso, va dato conto che l’assoluzione pronunziata a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2, non vincola in alcun modo il giudice civile, in quanto l’assoluzione, in tal caso, è determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e non da un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione – dell’imputato (cfr., da ultimo, Cass., 3, sent. n. 4764/2016, Rv. 63937201).

Ciò premesso, il motivo non risulta rispondente al paradigma imposto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma evoca inammissibilmente il testo abrogato della suddetta disposizione.

Invero, per costante giurisprudenza, i fatti decisivi per il giudizio, il cui omesso esame è denunciabile per cassazione, devono concretarsi in un preciso accadimento o in una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, essendo possibile denunciare il mancato esame di un documento soltanto nel caso in cui questo offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il giudice di merito (cfr. Cass., 3, n. 16812/2018, Rv. 649421-01). Nel caso di specie, la ricorrente incidentale si duole dell’omessa valutazione di mezzi istruttori, e segnatamente degli ordini di remissione in pristino, degli atti della Polizia Locale allegati alla CTU e dell’attestazione del Sindaco di *****, in ordine ai quali non è possibile affermare con certezza il carattere decisivo, atteso che essi non sono oggetto di indicazione specifica, in palese violazione del principio di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Per altro verso, la censura attinente alla pretesa erroneità della consulenza tecnica d’ufficio non è veicolabile, di per sé, per mezzo del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: invero, quanto contenuto e valutato dalla CTU deve intendersi entrato nell’esame condotto dal giudice d’appello, che ha recepito gli argomenti del consulente. Le divergenze riguardano a questo punto il merito dell’apprezzamento tecnico, su cui, nella presente sede di legittimità, non è dato intervenire. B. Con il secondo motivo di ricorso incidentale – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1497 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in luogo della corretta applicazione degli artt. 1490,1491 e 1495 c.c. – la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’applicazione della disciplina – della vendita di aliud pro alio, in quanto la A. sarebbe stata consapevole delle irregolarità dell’immobile nel momento in cui stipulava il contratto di acquisto, con la conseguenza che, nel caso di specie, non vi sarebbe stata la possibilità di pronunciare la risoluzione del contratto. Censura, altresì, il ragionamento condotto dal giudice del merito, assumendo che le difformità rispetto al progetto approvato non erano tali da richiedere il totale rifacimento dell’immobile.

B.1 In via preliminare occorre rilevare che tutti i motivi dal secondo a quello sub E pretendono di argomentare i riferimenti agli atti evocati senza riprodurre il loro contenuto direttamente e senza riprodurlo indirettamente in maniera chiara con precisazione della parte dell’atto cui l’indiretta riproduzione si correlerebbe. Sicché a questa Corte sarebbe demandato di ricercare quello che negli atti corrisponderebbe alla prospettazione della ricorrente. Ciò posto in termini generali per tutti gli indicati motivi, la censura, nella sua globalità, veicola nella sostanza un error facti, in quanto, a tutto ben considerare, non deduce l’errore di sussunzione del fatto accertato nella norma applicata, ma contesta l’accertamento del fatto e ne propone uno alternativo, cui è applicabile una diversa norma giuridica. Quanto detto appare di tutta evidenza se solo si considera che la Corte territoriale ha esplicitamente affermato, esprimendo una valutazione di merito insindacabile in questa sede, che “in relazione alla non conformità delle dimensioni e delle altezze dei locali seminterrato e sottotetto, (…) non può ritenersi che la A. fosse consapevole, al momento dell’acquisto, degli abusi commessi” (cfr. pag. 12 sentenza), i quali potevano infatti essere rilevati “solamente attraverso un accertamento tecnico” (cfr. pag. 12 sentenza). Del pari, la Corte d’Appello esprime una valutazione di merito, non censurabile in questa sede, allorquando afferma che “il ripristino delle dimensioni e delle altezze secondo il progetto comporterebbe in sostanza il rifacimento totale del locale in questione” (cfr. pag. 13 sentenza).

C. Con il terzo motivo di ricorso incidentale – violazione e/o falsa – applicazione dell’art. 34, comma 2 ter T.U. Edilizia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente insiste nell’affermare la mancanza dei presupposti della vendita di aliud pro alio, assumendo che, nel caso di specie, non si configurerebbe la parziale difformità dell’immobile dal titolo abilitativo, stante il fatto che l’aumento di altezza del sottotetto sarebbe contenuto entro il limite del 5% previsto dalla normativa di settore.

C.1 II motivo è inammissibile. In disparte i rilevati profili di violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la censura manca di confrontarsi adeguatamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata, fondandosi piuttosto sulle risultanze del procedimento penale, tant’e’ vero che l’odierna ricorrente incidentale non si è preoccupata di dedurre alcunché in relazione all’aumento di altezza del piano seminterrato. In sostanza, nonostante sia prospettato nei termini della violazione di legge, anche questo motivo prospetta una inammissibile quaestio facti.

D. Con il quarto motivo di ricorso incidentale – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1490 e 1495 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente assume, per un verso, che la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare l’intervenuta prescrizione e decadenza di ogni diritto di controparte, stante la mancata sussistenza di vendita di aliud pro alio, e, per altro verso, avrebbe dovuto escludere la sussistenza dell’obbligo di garanzia per i vizi, stante la conoscenza del cambio di destinazione del sottotetto.

D.1 Il motivo è inammissibile.

Invero, anche la presente censura risulta totalmente disancorata dal – decisum della sentenza impugnata, tant’e’ vero che con essa si veicolano doglianze logicamente subordinate all’accoglimento dei precedenti motivi di gravame.

Il mancato accoglimento dei motivi primo, secondo, terzo e quarto del ricorso incidentale rende necessario l’esame dei due motivi proposti in via subordinata.

E. Con il quinto motivo di ricorso incidentale – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente assume l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha riconosciuto, in favore della A., la somma di Euro 30.000 a titolo di spese di miglioramento, in quanto – si deduce – si sarebbe trattato di spese voluttuarie, che avrebbero potuto essere evitate usando l’ordinaria diligenza; si duole, altresì, che dalla somma dovuta alla A. a titolo di restituzione del prezzo non sia stato scomputato il valore derivante dal godimento dell’immobile per il periodo intercorrente tra la data di acquisto e l’attualità.

E.1 Il motivo è inammissibile.

La censura, relativamente alla parte in cui contesta la liquidazione in favore della A. delle spese sopportate per il miglioramento dell’immobile, inerisce palesemente a una questione attinente al merito della controversia (il carattere voluttuario o meno degli esborsi), il cui esame è precluso in sede di legittimità.

Relativamente alla parte in cui si duole del mancato scorporo dal prezzo del valore derivante dal godimento dell’immobile, la censura, a tutto ben considerare, omette invece di confrontarsi in maniera adeguata con la ratio decidendi che sorregge il capo della sentenza qui oggetto di critica. Invero, la Corte territoriale si è soffermata sulla questione relativa all’eventuale valore del godimento dell’immobile soltanto in punto di statuire sulla domanda, proposta dalla A., di risarcimento del danno corrispondente alla differenza tra la somma pagata e quella occorrente per l’acquisto di una unità immobiliare equivalente, ma regolarmente edificata: la determinazione del valore del godimento, quindi, era esclusivamente funzionale alla diminuzione dell’importo eventualmente liquidato in conseguenza di tale domanda risarcitoria, al fine di tener conto dell’effettivo danno subito, detratti i vantaggi conseguiti.

F. Con il sesto motivo di ricorso incidentale – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 106 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che fosse stata riproposta domanda di manleva nei confronti dei M.- Bo.- G..

F.1 Il motivo è inammissibile sia perché meramente assertorio sia perché non enuncia né tratta della violazione delle norme indicate nella intestazione.

G. Il ricorso incidentale della B. è inammissibile, stante l’inammissibilità di tutti i motivi. La sorte del ricorso non consente l’esame dei documenti sopravvenuti prodotti con la memoria, senza necessità di controllare se sia stato osservato il disposto dell’art. 372 c.p.c.

H. Conclusivamente sono dichiarati inammissibili sia il ricorso principale di A.D. sia il ricorso incidentale di B.P.. E’ dichiarato assorbito il ricorso incidentale condizionato della Reale Mutua Assicurazioni. Le spese sono compensate nel rapporto processuale fra A. e B. mentre la A. è condannata alla rifusione delle spese processuali del giudizio di cassazione in favore di Reale Mutua Assicurazioni e la B. è condannata alle spese del giudizio di – cassazione in favore dei resistenti Bo.Ro., M.P., M.M., M.L., entrambe liquidate come in dispositivo. Si dà altresì atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della A. e della B., del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi di A.D. e di B.P.. Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato di Reale Mutua Assicurazioni. Compensa le spese nel rapporto processuale tra la A. e la B.. Condanna la A. alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione a favore della Reale Mutua, liquidate in Euro 7300 (oltre Euro 200 per esborsi), oltre spese generali al 15 % ed accessori come per legge. Condanna la B. alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione in favore dei resistenti Bo.Ro., M.P., M.M., M.L. con capofila Bo., liquidate in Euro 5600 (oltre Euro 200 per esborsi) oltre spese generali ed accessori come per legge. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente A. e della ricorrente incidentale B., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari, rispettivamente, a quello versato per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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