Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.25511 del 21/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21862-2019 proposto da:

GENERALI ITALIA SPA, in qualità di Impresa designata dal Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada, in persona del procuratore speciale S.L., rappresentata e difesa dall’AVV. DINO LUCCHETTI, domiciliata in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

V.A., V.D., e V.M., in proprio e quali eredi di R.S., rappresentati e difesi dall’AVV. ATTILIO TURCHETTA, con domicilio eletto in Roma presso lo Studio dell’AVV. PIERO FRATTARELLI, via degli Scipioni 267/a;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

V.B.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1922-2019 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 20/03/2019;

Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Nardecchia Giovanni Battista, anticipate per iscritto, ai sensi e con le modalità previste dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito in 1. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni;

udito l’Avvocato DINO LUCCHETTI per la ricorrente.

FATTI DI CAUSA

V.A. e V.M., il primo in proprio e quale genitore del minore V.D., ed entrambi quali eredi di R.S., convenivano in giudizio V.B. e la Generali Italia SPA, quale impresa designata dal FGVS, al fine di accertare la responsabilità esclusiva di V.B. nella causazione dell’incidente verificatosi il *****, quando R.S., V.A. e il minore V.D. si trovavano sul ***** a bordo del natante di V.B., sprovvisto di copertura assicurativa, in qualità di terzi trasportati. Durante il rifornimento di carburante, data l’ora notturna, V.B. per far luce usava un accendino che faceva esplodere una tanica adiacente, contenente 12 litri di benzina, ne conseguiva un incendio a bordo che cagionava ustioni a carico dei trasportati e la morte di R.S., a causa di queste ultime, a distanza di pochi giorni.

La Generali Italia, costituitasi in giudizio, contestava la fondatezza della domanda ed eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, sostenendo l’assenza di nesso causale tra l’evento lesivo e la circolazione del mezzo e l’inoperatività della copertura assicurativa, perché, a suo dire, il natante aveva preso fuoco non a causa di un evento legato alla circolazione, ma per una causa estranea rispetto alla circolazione ed alle attività normalmente ad essa connesse, da sola idonea ad interrompere il nesso causale, assurgendo a causa esclusiva dell’evento di danno. Affermava, inoltre, di non essere tenuta alla garanzia assicurativa del natante per il fatto che il motore, quando si era sviluppato l’incendio, non era montato sull’imbarcazione, trattandosi di motore fuoribordo non ancora agganciato: circostanza che sarebbe stata confermata da V.B., proprietario dell’imbarcazione, e da P.R., la moglie, e dimostrata dal fatto che il natante era andato completamente distrutto, mentre il motore era stato consegnato da V.B. completamente integro, giacché custodito presso la sua abitazione.

V.B. restava contumace.

Il Tribunale di Latina, con sentenza n. 2510/2013, accertava la esclusiva responsabilità di V.B. nella causazione del sinistro e lo condannava, in solido con Generali Italia, al pagamento in favore degli attori della somma complessiva di Euro 512.880,00.

Il giudice accertava, tramite le prove testimoniali assunte in corso di causa, che, quando si era verificata l’esplosione, il motore del natante, sprovvisto di copertura assicurativa, stava per essere agganciato all’imbarcazione, anche se non era stato ancora collegato al serbatoio; di conseguenza, riteneva che vi fossero i presupposti per ritenere obbligata la Generali Italia Spa.

V.A. e V.M., nella qualità già indicata, impugnavano la decisione dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, lamentando la decisione in punto di quantificazione dei danni.

Generali Italia, per parte sua, contestava la fondatezza dell’appello principale e, con appello incidentale, insisteva perché fosse accertato il difetto di sua legittimazione passiva e, in subordine, proponeva domanda di rivalsa.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 1922/2019, resa pubblica il 20 marzo 2019, oggetto dell’odierno ricorso, accoglieva parzialmente l’appello principale, condannando V.B. e Generali Italia al pagamento di ulteriori Euro 100.000,00 per ciascuno degli appellanti, detratto quanto dagli stessi già percepito a titolo di provvisionale. Rigettava l’appello incidentale di Generali Italia SPA. Regolava le spese di lite.

In particolare, ai fini che qui interessano, premesso che l’obbligo assicurativo, a mente del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 123 deve considerarsi esteso ai motori amovibili, come quello oggetto della vicenda in esame, riteneva acquisito, sulla scorta dei testi escussi e delle altre prove raccolte anche nel corso delle indagini penali, che l’intenzione del gruppo familiare era quella di fare una gita notturna in barca sul lago, che a tale scopo era stata acquistata la tanica di benzina da un distributore, che l’esplosione della tanica era avvenuta mentre il proprietario dell’imbarcazione era intento a versarne il contenuto nel serbatoio, che, quindi, il motore dell’imbarcazione era stato montato alla stessa, alloggiato nello specchio destinato ad ospitarlo, anche se verosimilmente non era stato già collegato al serbatoio, essendo ancora in corso le operazioni per l’uscita della barca.

Generali Italia SPA ricorre per la cassazione della suddetta sentenza, formulando tre motivi.

Resistono con controricorso A., D. e V.M..

FATTI DI CAUSA

1. Per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto con l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, essendo pervenuta richiesta di trattazione orale.

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. nonché dell’art. 132 c.p.c. Lamenta, in particolare, la mancanza di motivazione in riferimento alla condanna ultra-massimale, con implicito riconoscimento della ricorrenza di una ipotesi di mala gestio impropria (il massimale cui era esposto per legge il FGVS era, all’epoca dei fatti, di Euro 774.685,35, la condanna era stata di Euro 812.880,00) e alla sussistenza del nesso causale tra l’evento lesivo e la circolazione dell’imbarcazione.

Le censure sono due: la prima si appunta su un preteso vizio motivazionale quanto alla condanna ultra-massimale; la seconda ripropone la tesi della insussistenza de nesso causale tra l’incendio e la circolazione del natante, già rigettata dalla sentenza impugnata.

Entrambe non meritano accoglimento.

Al riguardo va innanzitutto ribadito che la Corte d’Appello ha inteso riferirsi alla c.d. mala gestio impropria della ricorrente, “per un suo comportamento ingiustificatamente dilatorio a fronte della richiesta di liquidazione avanzata dal danneggiato; l’assicuratore cioè, trascorso il termine di cui alla L. n. 990 del 1969, all’art. 22 (ora il termine di cui del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 145), se nel detto termine è stato posto nella condizione di determinarsi in ordine all'”an” ed al “quantum” della richiesta, è da considerare in mora, e può rispondere, per il tempo della mora, per gli interessi al tasso legale (e, in presenza di allegazione e prova del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, anche oltre il limite del saggio legale); in tal caso, quanto agli interessi maturati sul massimale, può rispondere anche oltre il massimale (e, cioè, oltre il limite, convenzionalmente stabilito, del suo obbligo indennitario), in quanto il limite del massimale concerne un indennizzo dovuto dall’assicuratore per fatto altrui (ovvero quale conseguenza dell’illecito commesso dall’assicurato e del danno da quest’ultimo causato), mentre la mora è ascrivibile ad un fatto proprio dell’assicuratore, e non dipende dalla condotta dell’assicurato (l’obbligazione, in altre parole, scaturisce dall’inadempimento dell’obbligo indennitario, non dall’illecito commesso dall’assicurato)”: in termini Cass. 26/06/2020, n. 12895.

Lo si evince chiaramente dal fatto che la Corte d’Appello ha ricondotto la condanna ultra-massimale alla scadenza dello spatium deliberandi dopo la costituzione in mora della impresa assicuratrice: circostanza fattuale che la ricorrente non ha contestato.

La seconda è una censura in fatto, non evidenziante alcun vizio logico del lineare percorso argomentativo della sentenza impugnata, che, come si è già precisato in narrativa, ha rigettato la medesima censura già formulata in appello, sul decisivo ed essenziale rilievo che, al momento dell’incidente, fossero in corso le operazioni preliminari all’uscita della barca e che quindi ad essa fosse stato assicurato il motore amovibile, seppure lo stesso non fosse stato ancora collegato al serbatoio.

In definitiva, la ricorrente, nell’omettere di considerare il dato rilevato dal giudice del merito, e sul quale ruota la ricostruzione (alternativa) circa la collocazione del motore del natante al momento dell’esplosione, fornisce una propria lettura delle risultanze probatorie – ad esempio, il fatto che il motore non fosse in funzione al momento dell’esplosione è circostanza pacifica che trova conferma nella sentenza impugnata, la quale, però, ha ritenuto che fosse sul punto di essere collegato, in quanto presente a bordo, al serbatoio, una volta terminato il rifornimento; del tutto pretermesso dalla ricorrente è il fatto che dalla deposizione resa in sede penale da V.B. era emerso che il motore era stato staccato dall’imbarcazione semisommersa da un suo amico che il giorno successivo a quello dell’esplosione lo aveva consegnato alla moglie; né tiene in alcun conto i dubbi della polizia giudiziaria circa il fatto che il propulsore consegnato da V.B. dopo l’incidente fosse lo stesso utilizzato dal natante sommerso – surrogandosi, inammissibilmente, nell’esercizio di un potere spettante solo al giudice del merito, nella specie esercitato in assenza di errori giuridici e di intrinseci vizi logici della motivazione.

La rivalutazione degli accertamenti fattuali è estranea al perimetro del sindacato di legittimità perché incompatibile con i suoi caratteri morfologici e funzionali; l’accoglimento di tale richiesta implicherebbe la trasformazione del processo di cassazione in un terzo giudizio di merito, nel quale ridiscutere il contenuto di fatti e di vicende del processo e dei convincimenti del giudice maturati in relazione ad essi, al fine di ottenere la sostituzione di questi ultimi con altri più collimanti con i propri desiderata.

3. Con il secondo motivo la ricorrente rimprovera alla Corte d’Appello, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “Violazione e falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, artt. 18,19 e 22 e successive modiche e dell’art. 283 CDA, e art. 1224 c.c., comma 2”.

La tesi rappresentata dalla società ricorrente è che, non essendosi mai sottratta colpevolmente alla obbligazione risarcitoria, ma essendosi limitata a far valere in giudizio la propria carenza di legittimazione passiva, non vi fossero i presupposti per una sua condanna ultra-massimale, giustificabile solo in caso di mala gestio.

L’esponente non pone attenzione al fatto di essere stata condannata dalla Corte d’Appello alla rivalutazione del massimale dalla scadenza dello spatium deliberandi di sessanta giorni dalla costituzione in mora.

Le censure della ricorrente sembrano non aver messo bene a fuoco la ratio decidendi della sentenza impugnata e sembrano meglio adattarsi alla ipotizzata ricorrenza di quella che viene definita mala gestio propria “che trova fondamento nella violazione dell’obbligo dell’assicuratore di comportarsi secondo buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.); si tratta di una particolare ipotesi, tipizzata dalla giurisprudenza, di inadempimento degli obblighi di diligenza e correttezza; l’assicuratore, trascurando di attivarsi con la diligenza da lui esigibile ex art. 1176 c.c., comma 2, pregiudica la copertura di cui l’assicurato avrebbe beneficiato in caso di esatto adempimento da parte dell’assicuratore (c.d. mala gestio in senso proprio); essa è configurabile nel caso in cui l’assicuratore, senza un apprezzabile motivo, rifiuti di gestire la lite o se ne disinteressi in modo da recare pregiudizio all’assicurato, e comunque in tutti casi in cui sia ravvisabile un colpevole ritardo dell’assicuratore nella corresponsione dell’indennizzo al danneggiato (ritardo dal quale sia derivato all’assicurato un danno); anche in tal caso l’assicuratore può essere tenuto al pagamento di somme eccedenti il massimale, in quanto, anche in tale ipotesi, l’obbligo deriva da un fatto proprio dell’assicuratore” (ancora, in termini, Cass. n. 12895/2020, cit.).

E, comunque, pur muovendo dalla negazione degli estremi della mala gestio, l’illustrazione del motivo sottopone a questa Corte la questione del proprio difetto di legittimazione passiva, data l’assenza del motore a bordo del natante. Perciò, l’ubi consistam della richiesta è inequivocabilmente quella di ottenere una conclusione diversa quanto alla circostanza dirimente che il motore dell’imbarcazione non fosse montato alla stessa, al momento dell’esplosione, anticipando le critiche più particolareggiate, ma dello stesso tenore e significato, mosse alla sentenza assoggettata all’odierno ricorso con il motivo successivo, al cui scrutinio si rinvia.

Neppure, è fondata la critica mossa alla sentenza impugnata di avere svalutato le risultanze dell’indagine svolta in sede penale (p. 12 del ricorso): oltre a trattarsi di un’affermazione del tutto assertiva, visto che dalla sentenza si evince che la Corte territoriale è giunta alla ricostruzione della dinamica dell’incidente “anche” avvalendosi delle dichiarazioni raccolte nel corso delle indagini espletate in sede di processo penale (p. 4), quand’anche corrispondesse al vero non rappresenterebbe motivo di doglianza, essendo pacifico che il giudice civile possa procedere ad una propria autonoma valutazione dei fatti di causa.

4. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, invocando l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 1, e art. 1917 c.c., artt. 1 e L. n. 990 del 1969, art. 18 (e successive integrazioni e modifiche)”. La Corte d’Appello non avrebbe attribuito rilievo al fatto che l’evento era stato cagionato dall’azione imprudente di V.B., del tutto sconnessa sia dalla circolazione che dalla normale utilizzazione del mezzo.

L’accensione dell’accendino in prossimità di una tanica di materiale infiammabile, non potendo essere considerata una “specifica operazione funzionale alle caratteristiche strutturali del mezzo”, avrebbe dovuto essere percepita come una causa autonoma idonea a determinare da sola l’evento lesivo e tale da integrare gli estremi del caso fortuito.

La ricorrente poggia la propria censura su una ricostruzione della dinamica del sinistro alternativa rispetto a quella fatta propria dalla Corte d’Appello. Una volta riconosciuto, infatti, che il riempimento del serbatoio di benzina era funzionale all’uscita in barca per la programmata escursione notturna sul lago e che, al momento dell’esplosione dell’imbarcazione, il motore era già collocato a bordo, in applicazione dell’ampio concetto di circolazione indicato dall’art. 2054 c.c., di cui alla decisione, a Sezioni Unite, n. 8620 del 29/04/2015, correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto che i danni derivanti dall’esplosione fossero coperti dall’assicurazione.

Nel concetto di circolazione stradale indicato dall’art. 2054 c.c. come possibile fonte di responsabilità deve essere ricompresa anche la posizione di arresto del veicolo sul quale sia in atto il compimento, da parte del conducente, di operazioni prodromiche alla messa in marcia.

Non è in questione, come pure rileva l’impresa di assicurazioni, l’impiego del concetto di circolazione statica, ma quella ben diversa della copertura assicurativa delle operazioni funzionali alla veicolazione del natante, quale momento della circolazione, collegato all’utilizzazione di un mezzo dotato di un certo grado di pericolosità, la quale viene meno solo per l’intervento di una causa autonoma sopravvenuta, compreso il fortuito, di per sé sufficiente a determinare l’evento dannoso.

Nel caso in esame, essendo stato escluso che il mezzo fosse impossibilitato a muoversi, perché, a differenza di quanto ritenuto dalla ricorrente, il motore era a bordo, alloggiato nello spazio ad esso destinato, ed essendo altresì da escludersi che fosse in corso un’operazione di utilizzo del natante in modo avulso dalla sua naturale funzionalità, perché la tanica esplosa non era solo posizionata a bordo del natante – se così fosse stato il danno derivante dalla sua esplosione sarebbe stato da degradarsi a danno occasionato dalla circolazione, ma non provocato dalla medesima – ma veniva utilizzata al fine di rendere possibile la “veicolazione” del medesimo, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che il danno da esplosione verificatosi rientrasse nel concetto di circolazione, dando luogo all’applicabilità della normativa sull’assicurazione per la r.c.a.

5. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

7. Seguendo l’insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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