Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25516 del 21/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7913-2019 proposto da:

C.O., elettivamente domiciliata in PIACENZA, VIA SAN MARCO 14, presso lo studio dell’avocato GAETANO LECCE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMILIANO DISSI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, 96047640584, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2035/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 27/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/03/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

RILEVATO

che:

C.O. convenne in giudizio il Ministero della Salute per ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti ad epatite HCV correlata contratta a seguito di emotrasfusioni che le erano state praticate presso l’Ospedale ***** nell’anno *****;

il Ministero della Salute resistette alla domanda;

il Tribunale di Bologna, disposta c.t.u. medico-legale, rigettò le richieste dell’attrice, con compensazione delle spese di lite, ritenendo che il controllo dei donatori mediante screening delle transaminasi non avrebbe ridotto sensibilmente la possibilità di contagio;

la Corte di Appello di Bologna ha rigettato il gravame della C., con condanna alle spese processuali, affermando che la responsabilità del Ministero doveva “essere esclusa non tanto in relazione alla idoneità dell’esame omesso ad impedire l’evento, quanto, piuttosto, sotto il profilo psicologico in quanto, come eccepito dal Ministero appellato, le evidenze scientifiche del tempo in cui l’appellante fu sottoposta ad emotrasfusioni (*****) non erano tali da rendere esigibile da parte del Ministero la predisposizione di controlli obbligatori sui donatori di sangue non potendo ritenersi all’epoca già noto il rischio di trasmissione della malattia mediante sangue infetto”; ha richiamato, al riguardo, “l’orientamento giurisprudenziale che fa risalire solo alla fine degli anni sessanta la conoscenza del rischio di trasmissione di epatite virale e la possibilità di rilevazione (indiretta) del virus mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo anti-HbcAg, nonché la sussistenza di obblighi normativi (…) in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante sangue infetto”;

ha proposto ricorso per cassazione la C., affidandosi a quattro motivi; ha resistito il Ministero con controricorso;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente denuncia “nullità della sentenza per motivazione omessa o apparente (perché insufficiente e contraddittoria), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e violazione dell’art. 132 c.p.c. per mancanza del requisito di cui al n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in punto di non conoscibilità da parte del Ministero della Salute del rischio di trasmissione di virus mediante emotrasfusioni e di conseguente inesigibilità da parte dello stesso della predisposizione di attività di controllo”;

premesso che, fin dalla sua istituzione (anno 1958), il Ministero aveva l’obbligo di vigilare sulla salute dei cittadini e di predisporre misure idonee a tal fine e, altresì, che il rischio di contagio è antico quanto la necessità delle trasfusioni, la ricorrente assume che la decisione della Corte si pone in palese contrasto con i più basilari principi di diritto in materia sanitaria e con le indiscutibili evidenze scientifiche in punto di contagio da emotrasfusioni ed evidenzia che l’impianto motivazionale della sentenza “e’ oltretutto connotato da contraddittorietà ed insufficienza, posto che la motivazione addotta a sostegno del rigetto della domanda attorea è apparente, perplessa e costituita da argomentazioni tra loro incompatibili e non congruenti, soprattutto se valutate in relazione alle motivazioni della sentenza di primo grado”;

il motivo (che, fra l’altro, deduce inammissibilmente l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, secondo un parametro normativo non più vigente) va – nel complesso – disatteso, in quanto:

la sentenza esprime chiaramente le ragioni della decisione, assolvendo pienamente all’obbligo motivazionale che si assume violato;

del tutto irrilevante è l’evidenziato contrasto fra le ragioni espresse dalla decisione impugnata e quelle della sentenza di primo grado, giacché l’incompatibilità fra affermazioni contrastanti può assumere rilevanza soltanto quando sia interna al medesimo provvedimento, sì da rendere non comprensibile il percorso logico-giuridico della decisione;

per il resto, nella parte in cui ricostruisce le tappe degli studi scientifici che hanno affrontato la tematica dei rischi connessi alle trasfusioni e perviene alla conclusione che nel ***** “vi era chiara conoscenza oggettiva, ai più alti livelli scientifici, della possibilità di veicolazione di virus attraverso sangue infetto”, il motivo si risolve nella prospettazione di una tesi alternativa a quella sostenuta dalla sentenza e sollecita alla Corte un opposto apprezzamento di merito, che non è consentito in sede di legittimità;

il secondo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 32 Cost., artt. 2043 e 2697 c.c., art. 43 c.p., art. 112 c.p.c. “e delle norme nazionali disciplinanti l’attività di sorveglianza e vigilanza in materia sanitaria e nella produzione, commercializzazione e distribuzione dei derivati del sangue (in particolare, L. n. 296 del 1958, art. 1, nn. 3-4), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ordine agli obblighi di vigilanza e controllo posti a carico del Ministero della Salute”;

il motivo è inammissibile in quanto:

deduce genericamente la violazione, da parte del Ministero, di obblighi tesi alla miglior tutela della salute pubblica, anche in ambito trasfusionale, senza tuttavia individuare specifici errori di diritto concernenti le norme richiamate, bensì postulando semplicemente che una loro corretta applicazione avrebbe comportato l’affermazione della responsabilità;

prospetta inammissibilmente la violazione dell’art. 2697 c.c. senza individuare un’erronea distribuzione dell’onere della prova, ma sul mero assunto che il Ministero dovesse superare una presunzione di responsabilità di cui la Corte ha negato il fondamento e che la ricorrente si è limitata – come detto – a postulare sulla base di una lettura alternativa di merito;

egualmente deduce la violazione del principio del neminem laedere (in relazione all’art. 2043 c.c. e art. 43 c.p.) sull’assunto della violazione di obblighi di prevenzione (che sarebbero imposti anche in base ai doveri di correttezza e buona fede e al generale principio di solidarietà sociale) che tuttavia presuppongono una possibilità/esigibilità dell’intervento del Ministero che la Corte ha escluso;

col terzo motivo, la ricorrente denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5 e nullità della sentenza per motivazione omessa o apparente (perché insufficiente e contraddittoria), in ordine all’art. 360 c.p.c., n. 4, in punto di omessa pronuncia in ordine alla richiesta di rinnovazione della ctu medico-legale”;

il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto la ricorrente si limita a dichiarare di avere richiesto, con l’atto di appello e in sede di precisazione delle conclusioni, la “rinnovazione della CTU medico-legale sulla persona dell’attrice”, ma omette di illustrare le ragioni per cui era stata avanzata l’istanza e di indicare l’oggetto degli ulteriori accertamenti richiesti; in tal modo, tuttavia, non consente alla Corte di valutare se il diniego -implicito- di rinnovazione da parte del giudice di appello richiedesse una espressa motivazione o se costituisse conseguenza di una valutazione di irrilevanza a fronte della ritenuta inesigibilità, da parte del Ministero, di controlli obbligatori sui donatori;

il quarto motivo deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2 “e delle leggi disciplinanti la procedura transattiva per il componimento dei giudizi risarcitori in conseguenza di trasfusioni di sangue (L. n. 224 del 2007, art. 1, commi 361, 362; L. n. 222 del 2007, art. 33) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in punto di condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali: la ricorrente rileva che la procedura transattiva prevista dalle L. n. 244 del 2007 e L. n. 222 del 2007 “denota un sostanziale trend legislativo di definizione stragiudiziale del contenzioso, e tanto integra giusto motivo di compensazione delle spese giudiziali”; tanto premesso, censura la sentenza impugnata per avere condannato l’appellante al pagamento delle spese del giudizio, senza nemmeno considerare “la particolare incertezza anche giurisprudenziale della controversia trattata e le difficoltà interpretative”;

il motivo è inammissibile alla luce del pacifico orientamento di questa Corte che esclude la possibilità di censurare in sede di legittimità la scelta del giudice di merito di non avvalersi della facoltà di compensare le spese processuali (cfr., per tutte, Cass. n. 11329/2019);

le spese del presente giudizio seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 6.200,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese eventualmente prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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