Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25540 del 21/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12775-2020 proposto da:

T.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLEMENTINA DI ROSA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto N. R.G. 836/2020 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato l’08/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.

FATTI Dl CAUSA Il Tribunale di Campobasso, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con D. in data 8/5/2020, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale in ordine alle istanze avanzate da T.D. nato in Bangladesh il *****, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dal Bangladesh aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese in quanto era entrato in possesso di alcuni documenti segreti del partito ***** ed *****; gli esponenti di tale partito lo avevano minacciato di morte insieme al suo capo che era a conoscenza del fatto e per questo era fuggito. Avverso la sentenza del Tribunale di Campobasso il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo, motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3,5,6,7,8,14, per non aver il tribunale ritenuto sussistenti i presupposti per concedere la protezione dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, lett. C), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice di merito, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria ai sensi della normativa antecedente a quella recentemente introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2018.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, riguardo al mancato esercizio dei poteri istruttori in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti per non avere il Tribunale valutato il processo di integrazione del richiedente asilo nel nostro paese in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In riferimento al primo motivo sui presupposti per la concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ai sensi del D.L.gs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. C), il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva che i fatti narrati non integravano gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria stante l’assenza nella vicenda narrata del “fumus persecutionis” nonché di situazioni di violenza generalizzata ed indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nella zona d’origine del ricorrente (trattandosi di mero errore materiale l’indicazione del Senegal anziché Bangladesh come si evince dal contesto del provvedimento).

Nella fattispecie il ricorrente è stato ritenuto non credibile e la vicenda raccontata inverosimile. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c), escludendosi, in mancanza, la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti (Cass., 27/06/2018, n. 16925; Cass., 12/11/2018, n. 28862). Nel caso concreto, il Tribunale ha motivato circa le ragioni che lo hanno indotto a ritenere non credibili le dichiarazioni dell’istante e pertanto la non credibilità comporta il diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b).

In ordine poi alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 13, convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass. S.U. n. 2019/29460) il ricorrente censura l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente: tuttavia il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dal giudice di merito (in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità, non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, riguardo al mancato esercizio dei poteri istruttori in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il terzo motivo è inammissibile. Infatti effettivamente- secondo il consolidato insegnamento di questa Corte – è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione indicando specificatamente le fonti in base alle quali il giudice abbia svolto l’accertamento richiesto ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8 (Cass., 26/04/2019, n. 11312; Cass. 13897/2019; Cass. 9230/2020).

Tuttavia tale dovere è subordinato alle allegazioni del richiedente in quanto la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel (Cass., 28/09/2015, n. 19197; Cass., 28/06/2018, n. 17069). Pertanto, soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (Cass., 28/06/2018, n. 17069; Cass., 31/01/2019, n. 3016; Cass., 19/04/2019, n. 11096).

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti per non avere il Tribunale valutato il processo di integrazione del richiedente asilo nel nostro paese in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il quarto motivo è inammissibile. Nella fattispecie l’integrazione raggiunta poteva essere valorizzata come presupposto della protezione umanitaria ma non come fattore esclusivo, in quanto circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa anche alla luce della non credibilità del ricorrente.

Infine riguardo alla mancata audizione occorre precisare che secondo l’insegnamento di questa Corte, in materia di protezione internazionale, ove venga impugnato il provvedimento di diniego della commissione territoriale e non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza di comparizione delle parti ma, se non sono dedotti fatti nuovi o ulteriori temi d’indagine, non ha l’obbligo di procedere anche all’audizione del richiedente, salvo che quest’ultimo non ne faccia espressa richiesta deducendo la necessità di specifici chiarimenti, correzioni e delucidazioni sulle dichiarazioni rese in sede amministrativa (Cass., 11/11/2020, n. 25439; Cass., 07/10/2020, n. 21584). Il ricorso per cassazione con il quale sia dedotta, in mancanza di videoregistrazione, l’omessa audizione del richiedente che ne abbia fatto espressa istanza, deve, pertanto, contenere l’indicazione puntuale dei fatti che erano stati dedotti avanti al giudice del merito a sostegno di tale richiesta, avendo il ricorrente un preciso onere di specificità della censura che nel caso in esame non è stato adempiuto.

Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile della Corte di Cassazione, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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