LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12895-2020 proposto da:
N.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SABRINA MURA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. 538/2020 del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositato il 25/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Cagliari sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 25/2/2020 ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Cagliari in ordine alle istanze avanzata da N.O. nata in Nigeria il *****, volta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale. In particolare la ricorrente aveva riferito di essere fuggito dalla Nigeria dove era nata e vissuta in quanto il marito dal quale aveva avuto un figlio maschio la minacciava e la maltrattava sottoponendola ad innumerevoli violenze fisiche cacciandola di casa perché era in attesa di un altro figlio maschio. Dichiarava poi alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Cagliari di essersi rifugiata dapprima in Libia dove era stata ridotta in schiavitù e poi era arrivata in Italia.
Avverso il decreto del Tribunale di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione la ricorrente affidato a due motivi e memoria. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 251 del 2007, artt. 3,6,7,8 e 14; del D.Lgs n. 25 del 2008, artt. 8, 11 e 29, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, artt. 6 e 13, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, in quanto il Tribunale di Cagliari, nonostante le minacce subìte dalla ricorrente e la riduzione in schivitù alla quale vengono sottoposte le donne nigeriane spesso a scopo di sfruttamento non ha riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la nullità ex art. 132 c.p.c., n. 4, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché il giudice di merito ha omesso di motivare sugli abusi e violenze subite dalla ricorrente sia in Nigeria che in Libia.
Il primo motivo proposto è inammissibile per difetto di specificità.
Il motivo infatti, pur rubricato sotto il solo profilo della violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), contiene una serie di critiche agli accertamenti espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto diretti a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata.
Il Tribunale territoriale infatti ha ritenuto che le vicende riferite dalla ricorrente non giustifichino la concessione dello status di rifugiato o la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, prime due lettere, in quanto la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi.
Con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e lett. b), è necessario invece osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve ugualmente sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass.20 marzo 2014, n. 6503): il che, nel caso in esame va negato in base alla vicenda narrata tanto più che la ricorrente è stata ritenuta scarsamente credibile.
L’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), che si configura anche in mancanza di un diretto coinvolgimento individuale dello straniero nella situazione di pericolo, è stata, poi, motivatamente esclusa dal Tribunale il quale, basandosi su fonti aggiornate di informazione internazionale, ha appurato che il paese di provenienza dell’odierno istante non è teatro di un “conflitto diffuso” e di una “violenza generali7zata”: Tale apprezzamento, che sfugge al sindacato di legittimità, porta ovviamente a disconoscere che nel presente giudi7io di cassazione si possa far questione della “minaccia,grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armalo interno o internazionale”.
Con riguardo poi alle violenze subite nel paese di transito prima dell’arrivo in Italia, ossia in Libia, si deve ribadire che “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perché l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese”. (Cass. 15 maggio 2019, n. 13096; 6 dicembre 2018, n. 31676; 20 novembre 2018, n. 29875).
Il secondo motivo è del pari inammissibile.
Deve infatti essere esclusa l’omessa motivazione lamentata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Infatti, nella fattispecie, il giudice ha motivato sulle domande proposte tenuto conto che il giudice di merito non deve motivare su ogni singola questione, ove la censura possa ritenersi assorbita in considerazione del rigetto della domanda per motivi sostanziali.
Nella fattispecie il Tribunale ha motivato adeguatamente la decisione mentre la ricorrente non ha indicato qual è il fatto storico che il giudice ha omesso di esaminare.
Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo e dell’avvenuta integrazione dello straniero in Italia esso può essere valorizzato non come fattore esclusivo bensì come presupposto della protezione umanitaria e come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.
Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione della Corte di Cassazione, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021