Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25544 del 21/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20855-2020 proposto da:

O.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SABRINA MURA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 4399/2018 del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositato il 02/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Cagliari sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con D. in data 2/7/2020 ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Cagliari in ordine alle istanze avanzata da O.B. nato in Nigeria il *****, volta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale. In particolare il ricorrente aveva riferito di essere fuggito dalla Nigeria perché appartenente al partito IPOB e durante alcuni scontri era stato riconosciuto e poi ricercato dalle forze governative tanto da dover fuggire dalla Nigeria.

Avverso il decreto del Tribunale di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione il ricorrente affidato a due motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 251 del 2007, art. 14 lett. A), B) C), riguardo all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il Tribunale di Cagliari, ritenendo non credibile il ricorrente e non verosimile il racconto e le minacce subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria.

Il ricorso proposto è inammissibile.

Il Tribunale territoriale infatti ha ritenuto che le vicende riferite dal ricorrente non credibili e tali, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio attenuato, da non giustificare la concessione della protezione internazionale.

In particolare, la sentenza impugnata ha ritenuto anzitutto non credibili le dichiarazioni del ricorrente, esponendo chiaramente le plurime ragioni di tale convincimento; ha poi ritenuto, con motivazione coerente ed esaustiva, l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente. A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente: a) che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. tra molte: Cass. n. 340/19); b) che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. tra molte: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre; c) che, quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte di merito ha precisato come la Nigeria non risulti dalle indicate fonti reperibili interessata dalla presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

La sentenza impugnata ha quindi ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente, cioè la Nigeria escludendo così il diritto allo status di rifugiato ed alla protezione sussidiaria.

In ordine al dovere del giudice di attivare poteri officiosi di indagine, nella specie, la Corte territoriale ha adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria officiosa che incombe sul giudice, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona nei casi previsti dall’art. 14, lett. C) e cioè “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

In ordine in particolare alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – il giudice anche avvalendosi dei poteri di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ha escluso con accertamento di fatto insindacabile in questa sede l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 13, convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass.19/2/2019 n. 4890).

Il ricorso proposto deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione della Corte di Cassazione, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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