LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sui ricorso 21885/2019 proposto da:
K.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO, 22, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO CIERVO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA MANDRO, giusta procura speciale in calce;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto di rigetto n. cronol. 4863/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 19/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/11/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.
PREMESSO Che:
1. K.M., cittadino del Senegal, adiva il Tribunale di Venezia, sezione specializzata in materia di immigrazione, in seguito al rigetto da parte della competente Commissione territoriale della sua domanda di protezione internazionale. A sostegno della domanda aveva dichiarato di avere lasciato il proprio paese in quanto, recatosi con altre otto persone in una foresta per tagliare degli alberi, era stato rapito da un gruppo di ribelli armati che l’aveva condotto in un villaggio disabitato, picchiandolo e torturandolo; temeva pertanto, in caso di rimpatrio, di essere ucciso dai ribelli, convinti che il ricorrente li avesse denunciati.
2. Avverso la decisione del Tribunale di Venezia propone ricorso per cassazione K.M..
Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
I. Preliminarmente il ricorso pone due questioni di legittimità costituzionale del D.L. n. 113 del 2018, la prima per l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e la seconda per “l’assenza dei presupposti di necessità ed urgenza che contraddistinguono la fonte normativa del decreto legge”.
Le questioni sono inammissibili in quanto prive di rilevanza nel presente giudizio, non trovando applicazione alla fattispecie in esame il D.L. n. 113 del 2018 (v. sul punto le pp. 9-10 del provvedimento impugnato). Questa Corte ha infatti precisato che “il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge” (Cass., sez. un., n. 29459/2019).
II. Il ricorso è articolato in cinque motivi.
1. I primi tre motivi sono tra loro strettamente connessi:
a) il primo motivo contesta “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’omessa applicazione del principio di verosimiglianza delle dichiarazioni rese dal richiedente”, in quanto a supporto della provenienza del ricorrente dalla regione di Casamance è stata fornita prova documentale, ossia il certificato di residenza, prodotto in sede di audizione di fronte alla commissione territoriale e poi non allegato al ricorso solo perché di esso il ricorrente non aveva conservato copia;
b) il secondo motivo contesta “violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione al punto del provvedimento in cui si rappresenta che il certificato di residenza dimesso in giudizio è di dubbia originalità”;
c) il terzo motivo fa valere “omesso esame circa un fatto decisivo” in relazione alla pronuncia sulla domanda di protezione sussidiaria; dall’errata valutazione circa l’inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente discende l’omesso esame dei fatti costitutivi della domanda.
I motivi non possono essere accolti. Il primo motivo contesta il giudizio di non credibilità di quanto narrato da.1 ricorrente in quanto il Tribunale non ha considerato il certificato di residenza del richiedente. Il Tribunale, in realtà, tale certificato ha considerato (su questo il secondo motivo) ritenendolo, quanto alla provenienza dalla regione di Casamance, non decisivo in quanto riporta “una data molto successiva alla fuga del ricorrente dal Senegal” (p. 5 del provvedimento impugnato). In ogni caso, il rilievo circa il certificato si pone all’interno di un giudizio di non plausibilità e non coerenza delle vicende narrate che hanno portato il Tribunale a concludere per la non credibilità delle vicende addotte dal richiedente quale motivazione della sua richiesta di protezione; richiesta di protezione che è stata esaminata dal Tribunale (terzo motivo) nei suoi fatti costitutivi (il rapimento, la prontezza della risposta dell’esercito senegalese, la prigionia e la successiva liberazione).
2. Il quarto motivo fa valere “violazione ed erronea interpretazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)”: i giudici hanno violato la disposizione, “disconoscendo la natura di conflitto armato interno, di violenza generalizzata, alla situazione socio-politica a tutt’oggi esistente in Senegal”.
Il motivo non può essere accolto. E’ vero che l’inserimento del Senegal nell’ambito dell’elenco dei cosiddetti “Paesi sicuri” di cui all’art. 1 del Decreto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale del 4 ottobre 2019, in disparte ogni considerazione circa l’applicabilità di detta normativa sopravvenuta ai giudizi in corso e alle domande già presentate, non “preclude la possibilità per il ricorrente di dedurre la propria provenienza da una specifica area del Paese stesso interessata a fenomeni di violenza e insicurezza generalizzata che, ancorché territorialmente circoscritti, possono essere rilevanti ai fini della concessione della protezione internazionale o umanitaria, né esclude il dovere del giudice, in presenza di detta allegazione, di procedere all’accertamento in concreto sulla pericolosità di detta zona e sulla rilevanza dei predetti fenomeni” (cosi Cass. 29914/2019). Nel caso in esame, però, tale accertamento è stato effettuato dal Tribunale, che ha respinto la richiesta di protezione sussidiaria in quanto ha accertato – sulla base di informazioni aggiornate e attendibili (v. p. 9 del provvedimento impugnato) – che Casamance, la regione dalla quale il ricorrente ha allegato di provenire (allegazione circa la quale cfr. supra sub 1), sia interessata da una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata di particolare intensità.
3. Il quinto motivo contesta violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; in relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria il ricorrente lamenta l’omesso esame del rischio specifico in capo al ricorrente di vedere compromessi, in ipotesi di ritorno in Senegal, i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione italiana oltre che da norme internazionali, nonché l’omessa considerazione del buon livello di integrazione sociale conseguita in Italia.
Il motivo non può essere accolto. Il Tribunale ha infatti esaminato il rischio connesso alla “re-immissione del signor K. nel territorio del Senegal in relazione sia alle sue condizioni personali sia alle condizioni generali del paese”, e ha escluso, con giudizio in fatto, che, nel caso di rientro in Senegal, il ricorrente si troverebbe in uno stato di particolare vulnerabilità; il Tribunale ha poi esaminato gli elementi allegati dal ricorrente circa la sua integrazione sociale in Italia (in particolare, il certificato di tirocinio, gli attestati relativi al superamento dell’esame della terza media, la documentazione comprovante l’impiego, v. p. 10 del provvedimento impugnato), valutandoli come insufficienti al fine del riconoscimento della protezione.
III. Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 2.100, oltre spese prenotate a debito.
Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 3 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021