LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25978/2019 R.G. proposto da:
R.A.M., rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Tacchi Venturi, con domicilio in Verona, Via Stella n. 19.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1620/2019, depositata in data 15.4.2019.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16.2.2021 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Venezia ha confermato l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., con cui il locale tribunale aveva respinto la domanda di protezione internazionale proposte da R.A.M.. Il ricorrente aveva dedotto di provenire dall’India e di essersi allontanato dal paese di origine temendo per la propria incolumità, essendo stato coinvolto, nel 1998, in scontri tra gli appartenenti al partito di governo e la polizia, nel corso dei quali aveva riportato lesioni personali; di aver peregrinato per l’Africa e di essere approdato in Libia e – successivamente – in Italia.
Secondo la Corte distrettuale, l’appello non si confrontava con la decisione di primo grado “in punto di illogicità e contraddittorietà della narrazione, avendo il ricorrente ribadito una rappresentazione completamente assertiva priva di riscontro alcuno sul piano fattuale, proponendo argomenti ripetitivi, e nemmeno rafforzativi, delle proprie affermazioni, comunque generiche ed inconferenti rispetto ai puntuali rilievi del tribunale”. Era carente – inoltre – la stessa prospettazione di un concreto rischio di persecuzione e dei presupposti della protezione sussidiaria, poiché, pur essendo descritto un evento tragico in cui l’interessato aveva riportato lesioni personali, in realtà l’abbandono del paese di origine era stato determinato dalla ricerca del lavoro.
Richiamando il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, il giudice distrettuale ha dato atto che il ricorrente non aveva supportato la domanda con elementi di riscontro, ha negato inoltre che l’India fosse interessata da una situazione di violenza generalizzata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), precisando, riguardo alla protezione umanitaria, che non qualunque situazione personale di vulnerabilità può giustificare la domanda, essendo irrilevante il solo inserimento lavorativo conseguito in Italia.
Per la cassazione della sentenza R.A.M. ricorre sulla base di tre motivi, ricorso.
Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.
La Corte di merito non avrebbe autonomamente valutato i presupposti della protezione umanitaria rispetto alle altre forme di protezione, benché il ricorrente avesse descritto compiutamente la propria condizione personale, l’inserimento conseguito in Italia e la grave disparità dei due contesti.
Sarebbe – pertanto – del tutto assente la valutazione individuale, specifica e concreta della vicenda dell’interessato, che andava scrutinata in base ad informazioni aggiornate sulla situazione del paese di provenienza, valorizzando la profonda diversità tra la situazione del paese di provenienza e l’attuale condizione di vita conseguita in Italia.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la sentenza ritenuto non credibile il racconto dell’interessato senza far uso dei criteri legali per la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo e senza aver richiesto alcun chiarimento sui fatti allegati, avendo evitato ogni confronto con il ricorrente, che, comunque, aveva reso dichiarazioni lineari e non contraddittorie.
I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
La Corte di merito ha autonomamente valutato le singole forme di protezione senza affatto valorizzare la sola inattendibilità delle dichiarazioni rese nel corso del procedimento.
Oltre a sostenere che le doglianze del ricorrente non si confrontavano con la ratio decidendi della sentenza di primo grado in punto di inattendibilità della vicenda dedotta in giudizio, ha a sua volta sottolineato che l’appellante non aveva osservato alcuno degli adempimenti imposti dall’art. 3, comma 5, decreto qualifiche, ma evidenziando pure che non ricorrevano in concreto i presupposti per la concessione della protezione, date le ragioni di carattere economico all’origine dell’allontanamento dal paese di origine.
Ha poi escluso la sussistenza dei presupposti della misura disciplinata dall’art. 14, lett. c), sulla base di informazioni desunte da fonti accreditate circa le condizioni di sicurezza interna del paese, respingendo la richiesta del permesso per ragioni umanitarie per la ritenuta impossibilità di configurare una condizione personale di vulnerabilità soggettiva e di dar rilievo alla sola integrazione sociale o lavorativa conseguita in Italia.
I fatti rappresentati in giudizio avevano fatto emergere una storia personale di migrazione alla ricerca del lavoro, disancorata dalla stessa prospettazione di una situazione di fragilità riconducibile ad un più generale contesto di rilevante deprivazione dei diritti fondamentali della persona, non giustificandosi, su tali presupposti, neppure la concessione della protezione umanitaria.
Riguardo – infine – al giudizio di credibilità soggettiva, le censure del ricorrente non attingono la pronuncia nel punto in cui ha ritenuto inammissibili le doglianze sollevate – in proposito – con l’atto di appello, trascurando come il giudice di merito abbia in realtà ritenuto decisivo che l’interessato non avesse “fornito prova dei fatti di persecuzione e del presunto danno grave che correrebbe in caso di rimpatrio e, per il vero, neppure li ha dedotti” (cfr. sentenza, pag. 7).
In definitiva, i fatti dedotti non sostanziano i presupposti per la concessione della protezione internazionale e – anche alla luce della ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese dall’interessato esoneravano il giudice dall’obbligo di accertare ex officio i relativi presupposti.
2. Il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza escluso la sussistenza di un clima di violenza indiscriminata sulla base di un’unica fonte risalente al 2018 ed i cui contenuti non era stato possibile neppure verificare. Le informazioni tratte dal sito viaggiare sicuri, ugualmente richiamate dalla Corte di merito, erano invece prive di valenza probatoria, non potendo giustificare il rigetto della domanda.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorso si risolve in una generica contestazione delle valutazioni espresse dalla Corte territoriale – quanto alle condizioni per la concessione della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) – senza citare (e riportare il contenuto delle) eventuali fonti di informazioni – parimenti accreditate ed eventualmente più aggiornate di quelle utilizzate dal giudice di merito – capaci di sconfessare le conclusioni assunte in sentenza.
Ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può difatti – procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte (Cass. 14307/2020).
Quanto alle informazioni attinte dal sito *****, la Corte di merito le impiegate solo quali elementi di conferma di quanto già risultante dalla Coi più aggiornate citate in sentenza, in puntuale adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria imposto per legge.
Il ricorso è respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 2100,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021