Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26127 del 27/09/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 842-2020 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BRUNO BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato FAUSTO CIAPPARONI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2304/21/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA, depositata il 28/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ENZA LA TORRE.

RITENUTO

che:

C.G. ricorre per la cassazione della sentenza CTR della Lombardia n. 2204/2019 depositata il 28.05.2019, che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate in relazione entrate in relazione ad avvisi di accertamento e atto di contestazione per la riscossione di imposte IRES, IVA ed IRAP, per gli anni di imposta 2009/2010, avendolo ritenuto partecipe di una frode in veste di amministratore di fatto della società Edil Group s.r.l..

La pretesa erariale scaturiva dalla verifica eseguita dalla GGFF di ***** (BS), per gli anni 2007-2010, nell’ambito di un procedimento penale, Rg. *****, aperto presso la Procura della Repubblica di Brescia, nei confronti della società Edil Group s.r.l., che aveva consentito di accertare un articolato sistema fraudolento del quale facevano parte 63 società, volto a fornire manodopera edile senza essere in possesso di alcuna struttura aziendale. Al fin di frodare il fisco e gli enti previdenziali, le società utilizzavano falsi crediti IVA per compensare ritenute Irpef e contributi sociali, imposte dirette gravanti sul reddito d’impresa.

Dagli accertamenti svolti, sulla base di una corposa documentazione, era emerso che a tale sistema fraudolento partecipasse il C., fornendo non solo assistenza fiscale e consulenza in materia di lavoro ma collaborando attivamente alla gestione delle società. Dagli accertamenti effettuati nell’anno 2010 risultava che il C. fosse titolare della società Infostudio s.r.l. ma che lo stesso attraverso la predetta società, si occupasse della gestione del personale dipendente, della contabilità delle società coinvolte in tale sistema, provvedendo a creare costi fittizi necessari a predisporre contabilità e bilanci che consentissero le frodi fiscali).

Il C. si costituiva in giudizio contestando la qualità di amministratore di fatto, avendo prestato per la società Edil Group s.r.l. solo consulenza fiscale, contabile e societaria, amministrata invece da G.P. e D.M.A.; contestava pertanto l’illegittimità dell’atto notificato a soggetto del tutto estraneo e difetto di legittimazione passiva, difetto di motivazione dell’atto impugnato; inapplicabilità del raddoppio dei termini di accertamento per l’anno 2009; assenza di prova; illegittimità delle sanzioni.

La CTP accoglieva il ricorso, ritenendo non raggiunta con certezza la prova in ordine alla qualifica del C. come amministratore di fatto, ritenendo che l’AG si fosse basata su presunzioni semplici, non caratterizzate dal principio di gravità, precisione e concordanza e anche qualora si ritenesse che il C. avesse assunto le vesti di amministratore di fatto della società, secondo la CTP, tale assunto non consentirebbe di farne discendere la sua responsabilità solidale e tantomeno una responsabilità autonoma e, per di più, aggiunta a quella solidale, pertanto delle sanzione ne risponde esclusivamente la società.

L’AG ha impugnato la sentenza della CTP innanzi alla CTR Lombardia, la quale ha accolto l’appello dell’Ufficio, non avendo il giudice di primo grado valutato adeguatamente il materiale documentale e probatorio allegato dall’AG, tramite il quale ha ritenuto doversi considerare acclarato il pieno coinvolgimento dello stesso C., nella gestione della Edil Group s.r.l..

Nel merito ha riformato la sentenza della CTP per errata motivazione quanto al mancato raggiungimento della prova della qualità di amministratore di fatto del C.; in base a plurimi elementi probatori, ha invece ritenuto acclarata la qualità di amministratore di fatto, caratterizzata da poteri di gestione significativi. Dagli elementi vagliati ha ritenuto il C. partecipe, promotore e coautore quale ideatore della frode fiscale posta in essere, mediante l’utilizzo di una persona giuridica, costituente un mero artificio, in quanto strumentalmente formata nell’interesse di una persona fisica effettiva beneficiaria della frode, considerandosi appurato che la stessa società Edil Group s.r.l. era una società “cartiera” costituita al fine di porre in essere attività illecite volte ad evadere le imposte. Ciò in base sia agli accertamenti della GGFF (riportati nell’avviso impugnato), sia alle dichiarazioni dei dipendenti delle società facenti capo al C., sia dagli accertamenti bancari, nonché alla localizzazione della sede amministrativa dell’Arena s.r.l. presso gli studi operativi del C., in *****.

La CTR ha quindi ritenuto l’avviso di accertamento motivato, anche con riferimento al ruolo di amministratore di fatto del C.; non fondata l’eccezione dell’inapplicabilità del raddoppio dei termini, anche con riferimento all’Irap.

L’Agenzia delle Entrate contribuente si costituisce con controricorso.

Il ricorrente deposita successiva memoria.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c.: motivazione apparente o inesistente sulle ragioni che hanno indotto a ritenere il C. responsabile per imposte e sanzioni per violazioni contestate a società di capitali in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, ed ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il motivo è infondato.

1.1. La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che “ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 1756 del 2006, Cass. n. 16736 del 2007, Cass. n. 9105 del 2017).

1.2. La motivazione e’, quindi, solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232).

1.3. Nella specie, non è ravvisabile una motivazione apparente in quanto la Commissione regionale, nel confermare l’atto impositivo, ha esattamente indicato gli elementi indiziari dai quali ha tratto il convincimento che l’odierno contribuente rivestisse il ruolo di amministratore di fatto della società sottoposta a verifica, estrinsecando in tal modo il percorso logico-giuridico seguito per addivenire alla decisione. Trattandosi di motivazione che esplicita le ragioni della decisione, eventuali profili di “insufficienza” della motivazione non determinano nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

1.4. Le censure svolte con il motivo in esame mirano piuttosto ad ottenere una nuova rivalutazione di tutte le risultanze istruttorie, già sottoposte all’esame del giudice di merito, secondo la diversa prospettazione dei fatti operata dal ricorrente.

2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7 (conv. nella L. n. 236 del 2003) e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 9: inapplicabilità delle sanzioni in capo al ricorrente per esclusiva imputabilità delle stesse alla persona giuridica che si assume dal medesimo gestita in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, ed ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il secondo motivo è infondato.

2.1. Va sul punto la giurisprudenza consolidata di questa secondo cui “Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, D.L. n. 269 del 2003, ex 3 art. 7, (conv. con modif. in L. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 9, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l’applicabilità delle disposizioni del D.Lgs. n. 472, ma solo in quanto compatibili” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 25284 del 25/10/2017, Rv. 645980 – 01) non può ritenersi operante anche nell’ipotesi di società artificiosamente costituita, come nel caso di specie risulta dalla sentenza impugnata avere costituito accertamento in fatto della Commissione d’appello non adeguatamente censurata. Al riguardo ha sostenuto questa Corte che “il menzionato art. 7, intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente, e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima”, ma non nel caso in cui la persona fisica sia “esclusivo beneficiario delle violazioni contestate”, nel qual caso “non sussiste detta differenza, atteso che quest’ultimo e’, al tempo stesso, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica”.

2.2. Il C. si è reso nella specie destinatario del trattamento sanzionatorio, pur non rivestendo alcuna carica formale nell’organigramma delle società coinvolte nella vicenda, in ragione della sua ritenuta qualità di orchestratore della vasta rete di attività illecite imputate alle società anzidette, delle quali egli risultava farne parte. L’assunzione della qualità di amministratore di fatto che ciò comporta rende certamente applicabili al soggetto che la rivesta le sanzioni previste. (Cass. n. 10975 del 2019; Cass. n. 5924 del 2017; Cass. n. 19716 del 2013).

3. Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione del D.L. 7 luglio 2006, n. 223, art. 37, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 24 e 25: decadenza erariale dall’esercizio dell’azione di contestazione delle sanzioni IRAP per mancanza dei presupposti di legge per l’applicazione del cd. raddoppio dei termini, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, ed ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.1. Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata ha respinto il motivo sulla errata applicazione del raddoppio sui termini richiamando la normativa sulle imposte dirette e sull’IVA, oltre al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20, sulle sanzioni. Ciò erroneamente, in quanto il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’IRAP posto che, “non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione ternporis (cfr. Cass. n. 20435 del 2017; Cass. n. 4775 del 2016, Cass. n. 26311 del 2017, Cass. n. 23629 del 2017; Cass. 3 maggio 2018, n. 10483; Cass. n. 4742 del 2020).

4. Conclusivamente, vanno respinti il primo e secondo motivo del ricorso; accolto il terzo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR della Lombardia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il terzo motivo del ricorso, rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR della Lombardia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472