Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26210 del 28/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18344/2015 R.G. proposto da:

P.L., rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dall’avv. Cinzia De Micheli e dall’avv. Piero Pollastro, ed elettivamente domiciliato in Roma, via Tacito n. 23, presso lo studio dell’avv. Cinzia De Micheli;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 59/36/15 della Commissione tributaria regionale per il Piemonte, depositata il 21/1/2015 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/5/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

RILEVATO

che:

1. In seguito all’invio di questionario, relativo agli anni di imposta 2006, 2007 e 2008, notificato in data *****, cui P.L. diede risposta in data *****, l’Agenzia delle Entrate notificò a quest’ultimo due distinti avvisi di accertamento con i quali rideterminò sinteticamente il reddito relativo rispettivamente agli anni 2006 e 2007, provvedendo al recupero di imposte, interessi e sanzioni, sulla base di alcuni elementi di capacità contributiva, dati dalla residenza principale in ***** e di altra residenza in ***** (Francia), e da due autovetture Lexus Toyota, possedute, la prima, per sette mesi nel 2006 e, la seconda, per i successivi mesi del medesimo anno e per tutto il 2007, nonché per le assicurazioni casa pagate con assegno per entrambe le annualità. Impugnati i predetti atti dal contribuente con due distinti ricorsi, preceduti da istanza di accertamento con adesione conclusasi negativamente, la C.T.P. di Novara, previa loro riunione, rigettò la domanda con sentenza n. 68/01/13 del 7/6/2013, che fu confermata dalla C.T.R. per il Piemonte, adita dal medesimo contribuente, con sentenza n. 59/36/2015, depositata il 21/1/2015.

2. Contro la predetta sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso, il contribuente lamenta l’error in procedendo, ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sul motivo di appello afferente alla dedotta nullità degli avvisi di accertamento per mancata preventiva instaurazione del contraddittorio antecedentemente alla loro emissione;

2. Col secondo motivo, il contribuente lamenta l’error in procedendo, ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di doglianza afferente all’avvenuta dimostrazione che i costi sostenuti per l’uso dell’autovettura fossero inferiori a quelli presunti, ciò che avrebbe comportato il venir meno dei presupposti degli avvisi di accertamento in seguito al venir meno di uno degli addendi della somma, indipendentemente dalla prova dell’infondatezza della presunzione di reddito collegata al possesso di altri beni;

3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dei principi fondamentali del diritto tributario e, in particolare, della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 5, 6, 7,10 e 12, e della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea, artt. 41-47 e 48, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, qualora fosse stata ritenuta assorbita dalle ulteriori statuizioni la questione sulla quale vi era stata l’omessa pronuncia, la C.T.R. aveva comunque errato allorché aveva sottovalutato il principio dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale da attivare prima dell’emissione degli avvisi di accertamento, posto che la relativa motivazione avrebbe dovuto dar conto del perché erano state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in quella sede, non essendo sufficiente il mero scostamento dai parametri. Inoltre, ad avviso del contribuente, le norme contenute nel D.L. n. 78 del 2010, andavano considerate come mera conferma di un principio esistente anche in precedenza alla stregua dello Statuto del contribuente, che impone l’obbligo di cooperazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente e di motivazione in merito alle osservazioni di quest’ultimo, e della Carta fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea, che sanciscono il diritto dell’individuo di esser ascoltato prima dell’adozione di un provvedimento per lui lesivo e il diritto al contraddittorio.

4. Col quarto motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. affermato che il contribuente avrebbe dovuto provare la provenienza non reddituale delle somme necessarie per provvedere al mantenimento dei beni, dimostrando che il maggior reddito era frutto di redditi esenti già assoggettati alla fonte, senza considerare che quelle indicate nel D.P.R. n. 600, art. 38, sono presunzioni semplici e che il contribuente non è tenuto a provare di avere fruito di altri redditi da non includersi in denuncia, potendo invece limitarsi a dimostrare che il reddito presunto sulla base del coefficiente non esiste o esiste in misura inferiore, ciò che il contribuente aveva fatto allorché aveva prodotto copiosa documentazione attestante i chilometri effettivamente percorsi e le spese di manutenzione sostenute. Pertanto, i giudici di merito avevano erroneamente interpretato la norma in esame allorché avevano sostenuto che l’unica prova contraria sarebbe dovuta consistere nella titolarità, in capo al contribuente, di redditi non soggetti a dichiarazione.

5. Col quinto motivo, si lamenta l’error in procedendo, ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sull’istanza di rinvio dell’udienza fissata per la data del 9/12/2014 per la discussione della causa in pubblica udienza, ritualmente formulata in data 26/11/2014 in ragione di concomitante impegno processuale comunicato il 16/9/2014, e avere emesso alla medesima udienza della quale si era chiesto il rinvio la sentenza oggi impugnata.

6. Per motivi di priorità logica deve essere esaminato il quinto motivo, il quale è infondato.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. c.p.c., applicabile anche nel processo tributario D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 1 (Cass., Sez. 6-5, 15/10/2018, n. 25783), allorché non faccia riferimento all’impossibilità di sostituzione dello stesso mediante delega conferita ad un collega (facoltà generalmente consentita dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 9, e tale da rendere riconducibile all’esercizio professionale del sostituito l’attività processuale svolta dal sostituto) si risolve nella prospettazione di un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore incaricato che non consente la concessione del differimento di tale udienza, stante la sua irrilevanza a tali fini, con conseguente legittimità della sentenza pronunciata a seguito del legittimo diniego del provvedimento di rinvio (Cass., Sez. 6-5, 15/10/2018, n. 25783; Cass., Sez. U, 26/03/2012, n. 4773; Cass., Sez. 6 – 3, 03/05/2018, n. 10546).

Alla stregua di tale principio, deve ritenersi che l’omesso esame dell’istanza da parte dei giudici d’appello e l’assunzione della decisione alla medesima udienza della quale era stato chiesto un differimento non comporta la voluta nullità della sentenza emessa, in assenza di indicazioni in merito all’impossibilità del difensore di farsi sostituire mediante conferimento di delega, aspetto questo non evidenziato né nella richiesta inoltrata in sede di merito e riportata integralmente nella censura proposta, né nella descrizione della doglianza.

Ne deriva l’infondatezza del motivo.

7. Il primo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente connessi, non possono trovare accoglimento.

Risulta dalla lettura della sentenza impugnata che i giudici d’appello abbiano del tutto omesso di pronunciarsi sulla censura proposta dal contribuente in merito alla dedotta sussistenza dell’obbligo di preventiva instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale quale principio generale applicabile ai casi di determinazione presuntiva del reddito.

Nonostante da tale omissione possa astrattamente scaturire la nullità della pronuncia, deve tuttavia ritenersi che ciò non valga nel caso di specie, essendo il motivo di gravame infondato nel merito ed essendo pertanto il vizio di omessa pronuncia di cui al primo motivo di ricorso inammissibile per difetto di decisività della questione (vedi Cass., Sez. 2, 22/1/2018, n. 1539; Cass., Sez. 6-3, 2/8/2016, n. 16102) per le seguenti ragioni.

L’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, cui l’Amministrazione finanziaria è gravata, attiene, infatti, soltanto ai contributi armonizzati, pena l’invalidità dell’atto, ma non anche a quelli non armonizzati, per i quali, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, è configurabile esclusivamente ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, comma 1, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.

Quest’ultima disposizione, tuttavia, prevede che le modifiche apportate al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, producano effetti “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”, ossia per i periodi d’imposta relativi al 2009 e seguenti (Cass., Sez. 6-5, 31/05/2016, n. 11283; Cass., sez. 6-5, 06/10/2014, n. 21041).

Ciò comporta che, attenendo l’oggetto della odierna contesa agli anni di imposta 2006 e 2007, trovi applicazione il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nella formulazione antecedente alla novella del 2010, in virtù del quale l’accertamento compiuto va considerato legittimo anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, non essendo necessaria la previa contestazione al contribuente degli elementi e delle circostanze di fatto fondanti la rideterminazione del reddito, ferma restando la possibilità di quest’ultimo di fornire, in sede di impugnazione dell’atto, la dimostrazione che il redito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’amministrazione finanziaria (Cass., Sez. 5, 18/12/2006, n. 27079).

8.1 Il secondo e il quarto motivo, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.

In tema di accertamento tributario con metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nel testo vigente ratione temporis, anteriore alla modifica intervenuta con il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, l’Amministrazione finanziaria può presumere il reddito complessivo netto del contribuente sulla base della “spesa per incrementi patrimoniali” da questi sostenuta, la quale si presume affrontata nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro anni precedenti, e di una serie di indici di capacità contributiva fondati sui consumi e, in particolare, sulla disponibilità dei beni e servizi descritti nella tabella allegata al D.M. 10 settembre 1992, e nel D.M. 19 novembre 1992 (c.d. redditometro) e su ulteriori circostanze di fatto indicative di una diversa capacità contributiva (Cass., Sez. 5, 21/07/2015, n. 15289). La rettifica del reddito secondo tali modalità dispensa l’amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, in quanto la disponibilità dei beni individuati nei predetti decreti costituisce una presunzione di capacità contributiva da qualificare come legale ai sensi dell’art. 2728 c.c., con la conseguenza che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente l’onere di fornire la prova dell’inesistenza del reddito presunto o della misura inferiore dello stesso (Sez. 5, 19/04/2013, n. 9539; Cass., Sez. 6 – 5, 10/08/2016, n. 16912; Cass., Sez. 5, 31/10/2018, n. 27811; Cass., Sez. 6 – 5, 26/06/2017, n. 15899).

A questi fini, il contribuente, ai sensi del successivo comma 6, è tenuto non soltanto a dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile è costituito “in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”, ma a fornire altresì “idonea documentazione” attestante “l’entità” e “la durata” del relativo possesso, requisiti questi riferiti non tanto alla necessità di provare l’utilizzo di questi ulteriori redditi per sostenere le spese contestate, quanto di fare emergere, attraverso essa, elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (in tal senso, Cass. Sez. 6-5, 13/11/2018, n. 29067, Cass. Sez. 5, 20/1/2017, n. 1510) o che ne denotino l’utilizzo per effettuare le spese contestate e non altre (vedi da ultimo Cass. Sez. 6-5, 23/3/2018, n. 7389; Cass. Sez. 6-5, 16/7/2015, n. 14885; Cass., Sez. 5, 26/11/2014, n. 25104; Cass., Sez. 6 – 5, 26/01/2016, n. 1332), restando altrimenti irrilevante, ai fini voluti, il loro semplice “transito” nella disponibilità dello stesso (in questi termini, Cass. Sez. 5, 26/11/2014, n. 25104 cit.).

Ad avviso di questa Corte, infatti, la norma in esame persegue la finalità di ancorare a fatti oggettivi (da un punto di vista quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi e la conseguente riferibilità ad essi della maggior capacità contributiva, accertata con metodo sintetico, in capo al contribuente, escludendo l’utilizzo degli stessi per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico (ad esempio, per un ulteriore investimento finanziario), perché, in tal caso, non sarebbero utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, che andrebbero perciò ascritti a redditi non dichiarati (vedi Cass. Sez. 5, 18/04/2014, n. 8995, non massimata).

Più di recente, al fine di meglio delimitare l’ambito della prova contraria gravante sul contribuente, si e’, al riguardo, chiarito (Cass. Sez. 5, 27/05/2020, n. 9905) che ad esempio, la prova documentale richiesta dalla norma in grado di superare la presunzione di maggiore reddito ben può essere fornita con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo alla parte contribuente, idonei a dimostrare, mediante l’indicazione dell’entità dei redditi e delle date dei movimenti, anche la “durata” del possesso dei redditi e, quindi, non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente (Cass. sez. 6 – 5, ordinanza n. 12026 del 16/05/2018). Quanto alla disponibilità di immobili, l’effettiva capacità contributiva da essa derivante va individuata non in base alla mera proprietà e provenienza degli immobili, ma valutando le spese per il loro mantenimento (Cass. n. 10603 del 19/7/2002; Cass. n. 7408 del 31/3/2011), principio questo che vale anche per la manutenzione dei veicoli (Cass. n. 1294 del 22/1/2007).

8.2 Detto ciò, deve ritenersi che la C.T.R. si sia attenuta ai predetti principi, allorché ha affermato la correttezza dell’operato dell’Ufficio per avere rideterminato il reddito del contribuente sulla base di indici di capacità contributiva (individuati in due immobili e due autovetture di pregio, acquistate peraltro proprio nei periodi di imposta in verifica) e constatato, per contro, il mancato assolvimento della prova contraria, la quale avrebbe dovuto vertere sul possesso di “redditi esenti o già assoggettati alla fonte” e non, come suggerito dal contribuente, l’entità delle spese concretamente sostenute per la manutenzione dei beni o i reali percorsi chilometrici effettuati.

In ragione di ciò deve ritenersi che le doglianze oggi proposte non si confrontino affatto con il meccanismo di operatività del sistema di accertamento presuntivo e col sistema delle prove ad esso correlato, restando dunque del tutto prive di fondamento.

9. In conclusione, deve dichiararsi l’infondatezza di tutte le censure proposte e il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del contribuente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021

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