Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26211 del 28/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

– sul ricorso iscritto al n. 17809/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

B.M. e G.L., rappresentati e difesi dagli avv.ti Giorgio Pietrobon e Alberto Maria Papadia, elettivamente domiciliati presso quest’ultimo in Roma, alla via Catanzaro n. 9;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 174/06/15 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, emessa in data 15/12/2014, depositata in data 12/1/2015 e non notificata;

– nonché sul ricorso iscritto al n. 17810/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Bagar s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Pietrobon e Alberto Maria Papadia, elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, alla via Catanzaro n. 9;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 176/06/15 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, emessa in data 15/12/2014, depositata in data 12/1/2015 e non notificata;

– ed il ricorso n. 18274/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Bagar s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Pietrobon e Alberto Maria Papadia, elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, alla via Catanzaro n. 9;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 173/06/15 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, emessa in data 15/12/2014, depositata in data 12/1/2015 e non notificata;

– nonché il ricorso n. 1814/2016 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Bagar s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Pietrobon e Alberto Maria Papadia, elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, alla via Catanzaro n. 9;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1015/1/15 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, emessa in data 28/5/2015, depositata in data 11/6/2015 e non notificata;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10 giugno 2021 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

RILEVATO

che:

1. Nel procedimento n. 17809/2015 R.G., l’Agenzia delle Entrate ricorre con tre motivi contro B.M. e G.L. per la cassazione della sentenza n. 174/06/15 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, emessa in data 15/12/2014, depositata in data 12/1/2015 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento con cui l’Amministrazione rettificava i redditi da partecipazione di due soci della società a ristretta base Bagar s.r.l., per l’anno di imposta 2007, sul presupposto dell’illegittimità dell’accertamento del maggiori reddito emesso nei confronti della società.

A seguito del ricorso, i soci resistono con controricorso, con cui spiegano ricorso incidentale contro la compensazione delle spese dei due gradi di merito, in cui erano risultati totalmente vittoriosi, chiedendo anche la condanna della ricorrente ex art. 96 c.p.c..

2. Nel procedimento n. 17810/2015 R.G., l’Agenzia delle Entrate ricorre con tre motivi contro la società Bagar s.r.l., in liquidazione, per la cassazione della sentenza n. 176/06/15 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, emessa in data 15/12/2014, depositata in data 12/1/2015 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento con cui l’Amministrazione rettificava la dichiarazione del sostituto di imposta per omesso versamento di ritenute sui presunti dividendi distribuiti ai soci nell’anno di imposta 2007, sul presupposto dell’illegittimità dell’accertamento del maggior reddito emesso nei confronti della società.

A seguito del ricorso, la società resiste con controricorso, con cui spiega ricorso incidentale contro la compensazione delle spese dei due gradi di merito, in cui era risultata totalmente vittoriosa, chiedendo anche la condanna della ricorrente ex art. 96 c.p.c..

3. Nel procedimento n. 18274/2015 R.G., l’Agenzia delle Entrate ricorre con tre motivi contro la società Bagar s.r.l., in liquidazione, per la cassazione della sentenza n. 173/06/15 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, emessa in data 15/12/2014, depositata in data 12/1/2015 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento con cui l’Amministrazione accertava il maggior reddito nei confronti della società per l’anno di imposta 2007.

A seguito del ricorso, la società resiste con controricorso, con cui spiega ricorso incidentale contro la compensazione delle spese dei due gradi di merito, in cui era risultata totalmente vittoriosa, chiedendo anche la condanna della ricorrente ex art. 96 c.p.c..

4. Nel procedimento n. 1814/2016 R.G., l’Agenzia delle Entrate ricorre con un unico motivo contro la società Bagar s.r.l., in liquidazione, per la cassazione della sentenza n. 1015/1/15 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, emessa in data 28/5/2015, depositata in data 11/6/2015 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’atto di irrogazione delle sanzioni a seguito dell’annullamento dei due avvisi di accertamento emessi nei confronti della società per l’anno di imposta 2007.

La società contribuente resiste con controricorso.

5. I ricorsi sono stati fissati per la Camera di consiglio del 10 giugno 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente deve disporsi la riunione dei procedimenti nn. 17810/2015, 18274/2015 e 1814/2016 R.G. al procedimento n. 17809/2015 R.G., in quanto essi riguardano l’impugnazione degli accertamenti del reddito societario emesso nei confronti della società a ristretta base partecipativa e del reddito di partecipazione dei due soci della stessa per l’anno di imposta 2007, nonché l’atto di contestazione delle sanzioni conseguente agli accertamenti di maggiori reddito.

La fattispecie in esame trae origine dall’accertamento, per l’anno 2007, di un maggior reddito di impresa pari ad Euro 347.827,63, rispetto a quello dichiarato a fini Ires di 56.977,00, in conseguenza di maggiori ricavi accertati e dell’indebita deduzione di costi.

L’Agenzia delle entrate, in primo luogo aveva ritenuto che la società avesse emesso scontrini per un prezzo inferiore rispetto a quello effettivamente praticato, in secondo luogo aveva presunto un maggior numero di capi venduti, dal raffronto tra il numero degli scontrini e la variazione della giacenza di magazzino, che risultava ridotta di 2.084 capi contro 1329 scontrini emessi.

L’ufficio emetteva, dunque, l’avviso di accertamento n. *****, la cui impugnazione è oggetto del ricorso n. 18274/2015 R.G..

Sulla base di tale accertamento, trattandosi di società a ristretta base, l’Agenzia emetteva gli avvisi di accertamento del maggior reddito di partecipazione dei soci, la cui impugnazione è oggetto del ricorso n. 17809/2015 R.G., e l’avviso di accertamento n. *****, la cui impugnazione è oggetto del ricorso n. 17810/2015 R.G., con cui accertava l’omesso versamento di ritenute su redditi di capitale per un importi di 12.542,54 Euro (il 12,50% di 100.340,29 Euro).

In particolare, con tale avviso di accertamento, l’Agenzia procedeva, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41 bis, ad accertare l’omessa effettuazione del versamento delle ritenute su redditi “tenuto conto che nel 2007 le partecipazioni della società Bagar s.r.l. sono detenute dai sigg. B.M. (35,00%), G.L. (35,00%), G.B. (15,00) e G.A. (15,00), partecipazioni dalle quali sono derivati 334.4 67,63 Euro che costituiscono redditi di capitale ai sensi del D.P.R. n. 917186, art. 45”.

Rilevava l’ufficio che “che gli utili distribuiti ai soci G.B. e G.A., complessivamente pari ad pari ad 100.340,29 (calcolati applicando la percentuale di partecipazione di ciascuno di essi nella società, pari al 15%, al maggior reddito accertato in capo alla stessa, pari ad 334.467,63) non dovevano essere dichiarati dai soci, perché relativi a partecipazioni non qualificate secondo il disposto dell’art. 67 T.u.i.r., ma dalla società mediante la compilazione del modello 770 ordinario e che la stessa avrebbe dovuto applicare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, una ritenuta a titolo d’imposta pari al 12,50% degli utili distribuiti”.

Infine, l’Agenzia delle entrate, emetteva l’atto di irrogazione delle sanzioni n. *****, la cui impugnazione è oggetto del procedimento n. 1814/2016 R.G., per Euro 3.762,00 per l’omesso versamento delle ritenute ammontanti ad Euro 12.542,54.

2. Vanno, quindi, esaminati, per priorità logica, i motivi del ricorso n. 18274/2015 R.G. (del tutto identici ai motivi dei ricorsi nn. 17809 e 17810/2015 R.G., rispettivamente nn. 1 e 2 dell’illustrazione in fatto), relativi all’impugnazione della sentenza n. 173/06/15 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, emessa in data 15/12/2014, depositata in data 12/1/2015 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento con cui l’Amministrazione accertava il maggior reddito nei confronti della società per l’anno di imposta 2007 (n. 3 della illustrazione in fatto).

Con la sentenza impugnata, il giudice di appello, dopo aver ritenuto l’ammissibilità del ricorso dell’Agenzia delle entrate, confermava la sentenza di primo grado, affermando che l’avviso di accertamento era nullo perché sottoscritto da un soggetto che aveva ecceduto il limite della delega, che si riferiva alla sottoscrizione di un atto impositivo che non superasse il valore di 400.000,00 Euro, mentre, nel caso di specie, l’importo complessivo di imposte, sanzioni ed interessi ammontava a 407.016,00 di cui 202.972,00 a titolo di maggiori imposte dovute.

2.1. Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1367 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo la ricorrente, il giudice di appello non aveva tenuto conto del fatto che era stata attribuita al Dott. P., che aveva sottoscritto l’avviso di accertamento, valida delega all’adozione dell’atto, in quanto l’atto di conferimento delle deleghe (atto dispositivo 77/10) conferiva espressamente al delegato il potere di adottare atti di accertamento fino ad un valore di 4000.000,00 dell’imposta accertata.

Tale valore, infatti, era indicato nell’atto di conferimento della delega con la dicitura MIA, acronimo di “massima imposta accertata”; dunque nel caso di specie si rientrava nei limiti della delega per il fatto che la MIA in contestazione alla società era di 202.972,00 Euro.

I Giudici di appello avevano ritenuto che il Capo Area Controlli, Dott. P., avesse superato il limite di valore entro il quale gli era stato conferito il potere di adottare atti impositivi.

La C.t.r. era giunta a siffatta conclusione ritenendo che l’acronimo MIA, indicato nell’atto di conferimento della delega, non potesse riferirsi univocamente alla “maggiore imposta accertata”, potendo essere inteso anche come “maggior imponibile accertato”.

Secondo il giudice di appello, l’atto di delega era poco chiaro e l’indicazione dell’acronimo MIA non consentiva di superare, senza incertezze, la previsione contenuta nello stesso atto dispositivo, secondo cui “se non specificato, gli importi limite di delega sono riferiti alla somma complessiva dell’atto (imposta – sanzioni – interessi)”.

La ricorrente, quindi, ritiene che la C.t.r. non avrebbe fatto un uso corretto dei criteri ermeneutici degli atti amministrativi, cui erano applicabili gli artt. 1362 e ss., in merito all’interpretazione del contratto tra i quali, in particolare, il principio per il quale la ricerca dell’effettiva volontà delle parti (ovvero, nel caso di specie, dell’Amministrazione) deve tener conto anche del comportamento successivo all’adozione dell’atto (art. 1362 c.c., comma 2), il principio dell’interpretazione sistematica, in forza del quale le clausole di un atto si interpretano le une per mezzo delle altre (art. 1363 c.c.), nonché, specialmente, il principio dell’interpretazione conservativa (art. 1367 c.c.), per il quale, nel dubbio, occorre attribuire alle clausole di un atto un’interpretazione che ne faccia discendere qualche effetto.

2.2. Con il secondo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, prevede che ” Gli avvisi di accertamento sono sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”.

Secondo la ricorrente, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nella parte in cui riconnette la delega alla sottoscrizione, dimostrerebbe con evidenza che il legislatore ha inteso riferirsi all’istituto della delega di firma e non a quello della delega di funzioni.

Dunque, anche in caso di eventuale superamento del limite di valore fissato con la delega, non potrebbe discendere la nullità dell’avviso di accertamento, poiché lo stesso risulterebbe in ogni caso imputabile al Capo dell’Ufficio (per delega del quale è firmato), vale a dire al soggetto normativamente competente all’adozione dell’atto impositivo.

La ricorrente sostiene, dunque, che come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la nullità dell’avviso di accertamento deve riconnettersi alla sola ipotesi della mancanza di sottoscrizione dell’atto, come, del resto, è espressamente indicato dal citato art. 42, u.c..

2.3. Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 1, anche in relazione alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo la ricorrente, seppure si dovesse riconoscere che, nel caso in esame, si è in presenza di delega di funzioni e non di delega di firma (o, meglio, che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, faccia riferimento all’istituto della delega di funzioni e non a quello della delega di firma), la conseguenza dell’eventuale superamento dei limiti ivi fissati non potrebbe essere quella della nullità dell’atto impositivo.

Al riguardo, infatti, bisognerebbe considerare che il vizio denunciato è meramente formale, da ritenersi non invalidante, posto che, anche in caso di sua assenza, il procedimento non sarebbe potuto concludersi con un provvedimento di diverso contenuto.

In tal senso si è pronunciata la giurisprudenza comunitaria, secondo cui l’esistenza di vizi formali (nel caso di specie, la violazione del diritto ad essere sentiti prima dell’emanazione del provvedimento in caso di infrazioni in tema di Iva) non dà luogo all’annullamento dell’atto qualora il suo contenuto, anche in assenza del vizio formale, non sarebbe stato diverso (CGUE sentenza Kamino 3 luglio 2014 cause riunite C-129/13 e 130/13 punto 79).

Di tale principio, secondo la ricorrente, avrebbe fatto applicazione anche questa Corte, nella sentenza n. 5632/15, che nel rigettare un motivo di ricorso diretto a censurare un atto impositivo per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ha espressamente affermato che “la Corte di giustizia, con la recente pronunzia del 3 luglio 2014 sul caso Kamino, ha dato copertura Eurounitaria al più generale principio giuspubblicistico di strumentalità delle forme (v. Cass. n. 5518113)”.

Sostiene la ricorrente che, facendo applicazione di questi principi in relazione all’odierno giudizio, dovrebbe concludersi che il vizio dell’atto rappresentato dal superamento dei limiti della delega non può comportare la nullità dello stesso, trattandosi di mera irregolarità non invalidante.

2.5. Il primo motivo è fondato e va accolto, con conseguente assorbimento dei rimanenti.

Invero, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42, ha natura di delega di firma – e non di funzioni – (vedi Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11013 del 19/04/2019 citata) e che l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale (ex multis da ultimo Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 5177 del 26/02/2020).

Tuttavia, come si è visto, vi è la possibilità che la delega, nell’indicare i poteri specifici che sono conferiti al delegato, ponga dei limiti, ad esempio, con l’indicazione dei valori minimi e massimi delle somme relative ai tributi richiesti con gli avvisi di accertamento o con altri determinati criteri.

In caso di contestazioni del contribuente, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere producendo, anche nel corso del secondo grado di giudizio, la relativa delega, che pure è solo di firma e non di funzioni (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19190 del 17/07/2019).

Nel caso in esame, l’amministrazione ha fornito prova, con l’atto di disposizione e di conferimento della delega, dell’esistenza della delega stessa e della previsione di un limite in relazione alla MIA complessiva.

Il giudice di appello ha ritenuto che l’avviso di accertamento fosse nullo in quanto l’indicazione dell’acronimo MIA non consentiva di superare, senza incertezze, la previsione contenuta nello stesso atto dispositivo, secondo cui “se non specificato, gli importi limite di delega sono riferiti alla somma complessiva dell’atto (imposta – sanzioni – interessi)”.

La C.t.r. era giunta a siffatta conclusione ritenendo che l’acronimo MIA, indicato nell’atto di conferimento della delega, non potesse riferirsi univocamente alla “maggiore imposta accertata”, potendo essere inteso anche come “maggior imponibile accertato”.

Il giudice, quindi, ha ritenuto che l’ambiguità dell’acronimo utilizzato non consentiva al contribuente di verificare agevolmente la ricorrenza dei poteri in capo al sottoscrittore dell’atto impositivo.

Deve, però, rilevarsi che non vi è alcun dubbio sul fatto che l’atto di conferimento della delega contenesse l’elencazione dei limiti di importo per i diversi tipi di provvedimenti delegati e che, nello specifico, per l’avviso di accertamento, fosse indicato il parametro “MIA complessiva”, mentre per altri atti della stessa casella fosse indicato “importo totale atto”.

La C.t.r., nell’arrivare alla conclusione che la delega non indicasse in maniera univoca il limite di valore, avrebbe dovuto considerare, in primo luogo, che l’acronimo MIA è normalmente e comunemente utilizzato negli atti ufficiali dell’amministrazione, nei disegni di legge e negli atti parlamentari per indicare la maggiore imposta accertata; inoltre, avrebbe dovuto tenere conto delle altre clausole contenute nell’atto dispositivo, in cui, per i singoli atti, si faceva riferimento, ora all’imponibile (indicato per esteso), ora ad altri parametri, tra i quali, appunto, la maggiore imposta accertata.

L’interprete, nel valutare la chiarezza dell’informazione, avrebbe dovuto esaminare il significato proprio delle parole, l’uso normale dell’acronimo ed il tenore testuale complessivo dell’atto, così come l’uso del genere femminile con riferimento all’acronimo utilizzato e la collocazione sistematica delle singole voci nel corpo dell’atto.

3. Pertanto, il primo motivo del ricorso n. 18274/2015 R.G. dell’Agenzia delle entrate va accolto, con conseguente assorbimento dei rimanenti motivi e del ricorso incidentale della società contribuente.

Egualmente va accolto il primo motivo dei ricorsi principali dei procedimenti riuniti nn. 17809 e 17810/ 2015 R.G., con conseguente assorbimento dei ricorsi incidentali, nonché l’unico motivo del ricorso n. 1814/2016, con cui la ricorrente, nella controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’atto di irrogazione delle sanzioni a seguito del mancato versamento delle ritenute da parte della Bagar s.r.l. sui dividendi presunti degli altri due soci, denunzia la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 111 Cost., e dell’art. 118 disp. att. c.c..

Le sentenze impugnate vanno cassate, con rinvio alla C.t.r. del Veneto in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo dei ricorsi principali riuniti nn. 17809, 17810/ 2015 e 18274/2015 R.G., assorbiti il secondo ed il terzo ed i ricorsi incidentali, nonché l’unico motivo del ricorso n. 1814/2016; cassa le sentenze impugnate in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.t.r. del Veneto in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021

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