Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26251 del 28/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19337-2018 proposto da:

Z.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DI BATTISTA, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCIO LEONI;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.

VITELLESCHI, 26, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE SPADARO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI DEZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2605/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 09/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DI MARZIO MAURO.

RILEVATO

che:

1. – C.M. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Velletri Z.R. esponendo di avere ottenuto in altro giudizio, conclusosi con sentenza della Corte d’Appello di Roma passata in giudicato, il riconoscimento della sua esclusiva titolarità delle somme e dei titoli (quote di fondi ARCA), depositati presso la Banca Popolare del Lazio, che, invece, la Lamponi riteneva fossero di sua spettanza al 50% in forza di un rapporto di vitalizio instaurato con A.M., madre deceduta di esso attore.

Questi ha chiesto, di fronte ai tentativi della Z. di ottenere dalla banca lo svincolo delle somme corrispondenti al valore dei titoli (oggetto di sequestro giudiziario nell’ambito del giudizio definito con la sentenza d’appello), di dichiarare illegittima la condotta della convenuta e di accertare che egli era l’unico legittimato a richiedere lo svincolo dei titoli e la loro monetizzazione.

2. – Si è costituita la Z. eccependo il giudicato in ordine all’accertamento del diritto ad incassate il controvalore dei fondi ARCA.

3. – Il Tribunale adito ha accolto la domanda e dichiarato illegittima la condotta della Lamponi, accertando il diritto esclusivo del C. alla riscossione del controvalore dei titoli.

4. – Avverso la predetta sentenza ha proposto appello la Z.. Si è costituito il C. per resistere.

5. – Con sentenza del 19 aprile 2018 la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello e regolato di conseguenza le spese di lite, osservando quanto segue: “L’appello è infondato e va rigettato. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente giacché si tratta di definire l’ambito dei due giudizi, l’esistenza di un giudicato preclusivo della domanda proposta in questo procedimento e la portata della sentenza della Corte d’Appello passata in giudicato. Nell’atto di citazione introduttivo del primo giudizio il C. ha chiesto che fosse accertata la proprietà esclusiva in capo ad esso istante dei depositi e dei titoli concernenti tutti i rapporti intestati o cointestati all’ A., dichiarando, quanto a questi ultimi, illegittima la richiesta di voltura inoltrata alla banca dalla Z., con condanna di quest’ultima alla restituzione di quanto incassato e con riconoscimento del diritto di esso istante alla liquidazione delle relative somme a sua semplice richiesta. Il Tribunale ha riconosciuto parzialmente la pretesa dell’attore, condannando la Z. a restituire il 50% delle somme presenti sui conti cointestati e delle quote dei titoli. Dunque, il Tribunale, dando per scontato che la disponibilità di somme e titoli l’avesse solo la Z., la condannava alla restituzione del solo 50% del valore complessivo di questi ultimi, ritenendo assorbita evidentemente ogni altra richiesta. La sentenza della Corte d’appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, ha ritenuto, invece, che il controvalore dei titoli (e dei flussi liquidi presenti sui conti) spettasse unicamente al C., omettendo nel dispositivo di estendere la condanna della Z. alla restituzione dell’intero importo del valore dei fondi ARCA (anziché del 50%). Non vi è dubbio, tuttavia, che la sentenza, passata in giudicato, abbia riconosciuto il diritto del C. alla liquidazione del controvalore integrale dei titoli, avendo accolto tutti e due i primi motivi d’appello aventi ad oggetto proprio tale richiesta. Essendo mancato il solo capo di condanna, la decisione assunta in grado d’appello ha comunque sancito, con effetto di giudicato, l’esistenza del diritto del C. ad ottenere la restituzione degli importi corrispondenti alle quote dei fondi intestati anche alla Z. (ed oggetto di sequestro giudiziario). Al C., proprio in mancanza di un capo di condanna, sarà, quindi, necessario munirsi di un decreto ingiuntivo per poter agire nei confronti della Z.. Nel presente giudizio il C., il quale non poteva richiedere la condanna della Z. non ottenuta nell’altro giudizio (l’omessa pronuncia avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione), né poteva reiterare la domanda di accertamento della propria pretesa (già accolta e decisa con efficacia di giudicato), si è limitato a chiedere al Tribunale di accertare l’illegittimità della condotta della Z. (successiva alla sentenza della Corte d’Appello e tesa a far svincolare in suo favore il 50% dei titoli) ed il proprio diritto esclusivo a “richiedere alla banca lo svincolo dei titoli (sequestrati) e la corresponsione dell’intero controvalore degli stessi”. Si tratta di domande che non coinvolgono i precedenti accertamenti, in quanto dirette ad ottenere un’ulteriore pronuncia dichiarativa, pronuncia chiaramente fondata – stante l’intervenuto accertamento (irrevocabile) della titolarità esclusiva dei fondi in capo all’odierno appellato – e che da sola dovrebbe indurre la banca a consegnare il controvalore dei titoli (ferma la necessità di ottenere un decreto ingiuntivo nei confronti della Z. in caso di rifiuto dell’istituto di credito). Il C. ha, quindi, ottenuto due pronunce di accertamento solo apparentemente identiche, giacché con la prima è stato sancito il suo diritto di proprietà sull’intero plafond titoli, con la seconda attribuito allo stesso il diritto esclusivo di richiedere alla banca lo svincolo delle obbligazioni in suo favore e l’accreditamento del loro controvalore. La sentenza di primo grado, pertanto, va integralmente confermata”.

6. – Per la cassazione della sentenza Z.R. propone ricorso per un mezzo e deposita memoria.

7. – C.M. resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

8. – L’unico mezzo denuncia “Violazione dell’art. 324 c.p.c.”, osservando: “La Corte di Appello ha ritenuto che nel nuovo giudizio il C. si sia limitato a chiedere di accertare l’illegittimità della condotta della Z. (successiva alla sentenza della Corte di Appello e tesa a far svincolare in suo favore il 50% dei titoli) ed il proprio diritto esclusivo a “richiedere alla banca lo svincolo dei titoli (sequestrati) e la corresponsione dell’intero controvalore degli stessi”. Ebbene, nel giudizio del 1999, il C. chiedeva che fosse riconosciuta la proprietà esclusiva di tutte le somme transitate sui rapporti intestati o cointestati alla madre; che venisse dichiarata illegittima la richiesta di voltura dei fondi ARCA da parte della signora Z. e per l’effetto, dichiarare e ordinare che tutte le somme in questione venissero messe nella sua piena ed esclusiva disponibilità; con conseguente condanna della Z. alla restituzione delle somme prelevate. L’identità di petitum e causa petendi nei due giudizi è fin troppo evidente. Lascia sinceramente sconcertati la considerazione della Corte, secondo cui il C. avrebbe ottenuto due pronunce di accertamento “solo apparentemente identiche, giacche con la prima è stato sancito il suo diritto di proprietà sull’intero “plafond titoli”, con la seconda attribuito allo stesso il diritto esclusivo di richiedere alla banca lo svincolo delle obbligazioni in suo favore e l’accreditamento del loro controvalore”. Il Giudice di II grado ha doppiamente errato, poiché, anche ritenendo diverso il petitum, avrebbe dovuto accogliere l’eccezione di “ne bis in idem”. Per costante giurisprudenza di codesta Corte, “qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano ad oggetto un medesimo rapporto giuridico e uno dei due pervenga al giudicato, l’accertamento di una situazione giuridica comune a entrambe le cause preclude il riesame del punto accertato e risolto con il suddetto giudicato, quand’anche il giudizio successivo sia instaurato per finalità diverse da quelle costituenti lo scopo e il “petitum” del primo”… Lo si ripete fino alla noia: il C. avrebbe dovuto impugnare la sentenza 1766/12 della Corte di Appello e non iniziare un nuovo giudizio!! Che si tratti di omessa pronuncia lo riconosce la stessa Corte nella motivazione della sentenza qui impugnata… dove afferma: “il C., il quale non poteva richiedere la condanna della Z. non ottenuta nell’altro giudizio (l’omessa pronuncia avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione) né poteva reiterare la domanda di accertamento (cosa che invece ha fatto!)…”. Vi e’, poi, violazione dell’art. 324 c.p.c. nell’interpretazione della portata della sentenza n. 1766/12. Secondo la Corte di Appello, poiché la sentenza passata in giudicato riconosceva il diritto del C. alla liquidazione del controvalore integrale dei titoli, pur omettendo nel dispositivo di estendere la condanna alla restituzione dell’intero importo del valore dei fondi Arca, tale decisione avrebbe sancito, con effetto di giudicato, l’esistenza del diritto ad ottenere la restituzione degli importi di cui ai fondi. Intanto, come ricordato in premessa, la motivazione non è affatto lineare, poiché da un lato si dice…: “deve per un verso ritenersi che le somme immesse sui conti fossero di esclusiva proprietà della A.”; dall’altro si aggiunge…: “le sole somme spettanti all’attore sono quelle pervenute alla Z. sulla base della lettera del 20 marzo 2000 della Banca Popolare del Lazio, ossia, Lire 979.243, Lire 20.050.632, Lire 39.862, ed in totale Lire 21.069.701, pari a 10.881,59”. Si ricordi poi il tenore del provvedimento con cui la Corte respingeva l’istanza di correzione di errore materiale. Il dispositivo, infine, recita solamente: “in riforma della sentenza impugnata condanna la Z. al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di Euro 10.881,59, con interessi nella misura legale dalla domanda; spese del doppio grado integralmente compensate”. Non vi è solo mancanza della condanna alla restituzione delle somme (come ritiene la Corte nella sentenza qui impugnata), ma anche della pronuncia dichiarativa richiesta dal C. nel capo A delle conclusioni: che fosse cioè riconosciuta la proprietà esclusiva in capo ad A.M. ed, intervenuto il decesso di questa, in capo a C.M., di tutte le somme transitate nel tempo a qualunque titolo sui rapporti (conti titoli, libretti di risparmio, fondi comuni ecc.) intestati o cointestati alla A. e dichiarare illegittima la richiesta di voltura dei fondi ARCA da parte della convenuta Z. (la famosa omessa pronuncia ammessa dal Giudice di II grado)”.

Ritenuto che:

9. – Il ricorso, volto a denunciare l’errore commesso dalla Corte territoriale nel disconoscere il giudicato asseritamente derivante dalla pronuncia della pregressa sentenza resa tra le parti dalla stessa Corte d’appello, peraltro erroneamente formulato in riferimento all’art. 324 c.p.c., che disciplina il giudicato in senso formale, anziché all’art. 2909 c.c., è inammissibile.

Difatti, la violazione della cosa giudicata, in quanto importa disapplicazione dell’art. 2909 c.c., è sì denunciabile in Cassazione, ma il controllo di legittimità deve limitarsi all’accertamento degli estremi legali per la efficienza del giudicato esterno nel processo in corso, senza potersi sindacare l’interpretazione che del giudicato stesso abbia dato il giudice di merito, perché essa rientra nella sfera del libero apprezzamento di quest’ultimo e, quindi, è incensurabile in sede di legittimità, quando l’interpretazione stessa sia immune da errori giuridici o da vizi di logica (Cass. 8 giugno 2017, n. 14297): con l’ovvia precisazione che la massima tralaticia va rapportata all’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che consente la denuncia del vizio motivazionale solo in caso, non ricorrente nell’ipotesi considerata, come emerge con evidenza dalla motivazione sopra trascritta, di violazione del “minimo costituzionale” (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Ciò detto, è agevole sottolineare che, nel caso di specie, il motivo mira per l’appunto a porre in discussione l’interpretazione data dal giudice di merito, con motivazione eccedente la soglia del minimo costituzionale, della pregressa sentenza ivi considerata.

Di qui l’inammissibilità del motivo.

10. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021

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