LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29691/2018 proposto da:
AGENZIA SPAZIALE ITALIANA, in persona del legale rappresentante pro tempore, MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– ricorrente –
contro
S.D., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI SCIALDONI;
– controricorrente –
e contro
COMUNE DI SERRARA FONTANA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2533/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/08/2018 R.G.N. 2730/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/03/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;
il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’
Stefano, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Roma, respingendo il gravame avverso la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa città, ha confermato l’accoglimento della domanda con cui S.D. aveva chiesto accertarsi il suo diritto all’inquadramento nei ruoli dell’Agenzia Spaziale Italiana (di seguito ASI), quale dirigente, per effetto del perfezionarsi della cessione del contratto di lavoro quale segretario comunale, già intercorrente con il Ministero dell’Interno, con incardinamento organico presso il Comune di Serrara Fontana, in esito alla procedura di individuazione di personale dirigenziale avviata e definita nel corso del 2013 da parte dell’Agenzia stessa.
La Corte riteneva che il bando di selezione costituisse offerta contrattuale al pubblico e che la definizione delle procedure fino all’approvazione della graduatoria, cui la S. aveva fatto seguire un’immediata accettazione, determinasse, saldandosi con il nulla osta della P.A. di provenienza, il perfezionamento ad ogni effetto di legge del negozio di cessione del contratto di impiego.
Il protrarsi e concludersi della procedura selettiva, nonostante la coeva decisione dell’ente di intervenire sul sistema organizzativo, metteva inoltre in dubbio secondo la Corte territoriale – l’effettiva incompatibilità poi addotta tra il nuovo modello organizzativo e l’acquisizione di personale dirigenziale di cui alla selezione stessa, né si erano verificate le ipotesi (non completamento della procedura; differimento dell’inserimento in ruolo), cui il bando aveva riconnesso la non obbligatorietà per l’ente della procedura indetta, tanto che l’Agenzia, lungi dal risolversi nel senso di posticipare l’inserimento della S. nei propri ruoli, aveva piuttosto affermato di volerla acquisire temporaneamente, quindi con modalità difformi da quelle al cui rispetto si era impegnata ab origine. Infine, la Corte d’Appello escludeva che potesse risultare ostativo il disposto del D.Lgs. n. 213 del 2009, art. 6, comma 2, che, nel disciplinare i regolamenti degli enti di ricerca, stabiliva che essi dovessero prevedere modalità procedurali per l’espressione, da parte del Consiglio di Amministrazione, di un parere vincolante sulla validità curriculare dei dirigenti, in quanto il regolamento ASI, nell’attuare quella norma, aveva riferito tale parere al conferimento degli incarichi e non alla (previa) acquisizione dei lavoratori ai ruoli dirigenziali dell’ente, sicché quelle norme non potevano essere ritenute ostative al transito della ricorrente presso ASI.
2. L’Agenzia Spaziale Italiana ed il Ministero dell’Interno hanno proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti da controricorso della S., nel quale si è insistito anche per la condanna di ASI e del Ministero ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha insistito per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità per difetto di interesse di ASI, dispiegata sul presupposto che vi fosse stata assunzione per mobilità della S..
E’ infatti evidente che tale assunzione, avvenuta in stretta consequenzialità temporale con la sentenza di primo grado, ha costituito adempimento alla pronuncia provvisoriamente esecutiva del Tribunale, poi confermata dalla Corte d’Appello, e di cui non può non seguire le sorti, sicché il ricorso per cassazione, ove venisse accolto, vanificherebbe il contratto così stipulato.
2. Con il primo motivo le ricorrenti deducono violazione (art. 360 c.p.c., n. 3), D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 e degli artt. 1406 c.c. e segg., sostenendo che sarebbe mancato un corretto accertamento della volontà della P.A., non potendosi affermare che fosse sufficiente l’approvazione del Direttore Generale di ASI, in quanto era necessario anche il consenso dell’Amministrazione presso la quale il dipendente prestava servizio.
2.1 In proposito si osserva che i segretari comunali, come è noto, sono legati da rapporto di lavoro o di impiego con il Ministero dell’Interno (D.Lgs. n. 267 del 2001, art. 97, comma 1 e D.L. n. 78 del 2010, art. 7, comma 31-septies) e sono utilizzati dai Comuni di nomina, presso i quali essi sono organicamente incardinati e prestano servizio: v. Cass. S.U. 20 giugno 2007, n. 14288 e, più di recente, Cass. 11 agosto 2016, n. 170965.
Indubbiamente, la cessione del contratto, in cui consiste la mobilità volontaria, coinvolge sia il rapporto di lavoro, sia il rapporto organico con il Comune. Sembra non dubitabile, pertanto, che il consenso alla mobilità debba provenire da entrambi i soggetti pubblici nei cui confronti intercorrono i predetti rapporti e che sono destinati a cessare per effetto del trasferimento presso altro e diverso ente.
2.2 Su tale presupposto si osserva che la sentenza di appello ha affermato che era “processualmente provato che anche l’amministrazione di provenienza della S. aveva prestato il suo consenso alla cessione del contratto di lavoro”.
Essa ha poi aggiunto che era in atti il “nulla osta rilasciato Sindacato” (rectius rilasciato dal Sindaco) del Comune presso il quale la S. prestava servizio, senza che siano stati devolute questioni in ordine alla carenza di potere dell’ufficio che aveva adottato il predetto atto ovverosia in merito a violazioni di legge commesse nel procedimento di sua deliberazione e tali da inficiarne la validità e l’efficacia negoziale.
2.3 Pertanto, la Corte territoriale ritiene esservi il consenso della amministrazione “di provenienza” ed argomenta poi in specifico sul consenso del Comune.
Ciò posto, il motivo non precisa se il consenso di cui esso asserisce la mancanza fosse quello del Ministero dell’Interno o quello del Comune di destinazione. Tuttavia, per proporre rituale impugnazione sul punto, era necessario chiarire quale, tra i consensi che richiede il complesso rapporto del segretario comunale, fosse invece mancante, per quanto riguarda le amministrazioni a quibus.
Ma tale precisa focalizzazione non è rintracciabile nel motivo, che è formulato del tutto genericamente.
A tutto concedere, se proprio dovesse attribuirsi al richiamo, contenuto nel motivo, alla mancanza di consenso della “amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio”, si dovrebbe dire che, essendo il servizio, in forza dell’assetto particolare del rapporto di cui si è detto, prestato presso il Comune, proprio rispetto a quel consenso dell’ente locale la sentenza contiene un ben preciso ed inequivoco accertamento di fatto, sopra riepilogato, rispetto al quale nulla è replicato con il ricorso per cassazione.
In definitiva, il motivo va in ogni caso disatteso.
3. Il secondo motivo è impostato con riferimento all’asserita violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) ancora del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, nonché degli artt. 1328 e 1336 c.c..
ASI ed il Ministero sostengono che erroneamente la Corte avrebbe assimilato la selezione ad una procedura concorsuale, ritenendo obbligatori gli esiti di essa, che viceversa avrebbero potuto essere superati da provvedimenti organizzativi datoriali motivati e non irragionevoli. Secondo le parti ricorrenti, nella mobilità volontaria vi sarebbe una netta distinzione tra una fase pubblicistica di scelta del contraente ed una fase privatistica e sarebbe pertanto errato concludere che fosse sufficiente a perfezionare la cessione del contratto la sola conclusione della procedura selettiva, anche perché l’avviso di ricerca espressamente precisava di non generare alcun obbligo per la P.A. che lo aveva emanato.
3.1 Premesso che ormai pacificamente (Cass. 10 gennaio 2009, n. 431; Cass. 25 luglio 2017, n. 18299) il trasferimento volontario del dipendente tra Pubbliche Amministrazioni diverse si attua attraverso una cessione del contratto secondo moduli civilistici (art. 1406 c.c.), salve le integrazioni derivanti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, non è corretta la pretesa delle parti ricorrenti di individuare una fase di tipo pubblicistico nella procedura di selezione dei candidati.
La posizione di chi si candidi alla mobilità non è assimilabile a quella di chi acceda dall’esterno ai ruoli in ragione di assunzioni totalmente nuove o di procedure di attribuzione di livelli superiori in concorrenza tra esterni ed interni, in quanto non si procede attraverso una valutazione di base delle capacità e professionalità, da aversi già per acquisita per effetto dell’originario concorso di accesso alla dirigenza pubblica.
Le procedure, ora espressamente previste come “bandi” dalle modifiche apportate all’art. 30 cit. dalla c.d. Riforma Madia e che dalla normativa vigente ratione temporis erano imposte limitatamente alla predisposizione di una pubbiicità dei posti disponibili (oltre alla fissazione preventiva di criteri di scelta e al previo parere del Dirigente responsabile) coinvolgono pertanto solo una capacità di diritto privato di acquisizione e gestione di personale, in senso trasversale, da una P.A. ad un’altra, da esercitare secondo le regole per essa previste, ma senza che ne siano coinvolti poteri autoritativi.
Ne deriva che non risulta un fuor d’opera, ma costituisce ordinario esercizio di potestà qualificatoria, l’avere il giudice individuato nella procedura indetta da ASI una forma di offerta al pubblico, da aversi da ultimo per individualizzata con l’approvazione della graduatoria ad opera del Dirigente Generale, in sé ritenuta dalla sentenza atto idoneo a perfezionare la volontà di acquisizione del candidato prescelto da parte della cessionaria.
3.2 D’altra parte, essendo evidente che l’approvazione della graduatoria di una selezione svolta su parametri di meritoi non può non assorbire l’apprezzamento curriculare illo tempore richiesto dall’art. 30, comma 1, u.p., va da sé che la contestazione, mossa con il ricorso per cassazione, della qualificazione nei termini di cui sopra che è stata operata dalla Corte territoriale ha il senso della censura rispetto all’interpretazione di atti unilaterali di diritto privato.
Tuttavia, da tale angolazione, il motivo non fa riferimento, come dovrebbe, ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., applicabili agli atti unilaterali stante il rinvio di cui all’art. 1324 c.c. e limita le censure interpretative all’affermazione per cui nell’avviso di ricerca si affermava che non sarebbe sorto alcun obbligo per la P.A., sicché non si poteva perfezionare alcun diritto all’assunzione.
Ciò senza in concreto misurarsi con l’interpretazione – giusta o errata che sia data dalla Corte alle facoltà riservate alla proponente dall’avviso (limitate, secondo la sentenza impugnata, a mai attuate scelte di non completare la selezione o di dilazionare un’acquisizione comunque prevista) e quindi evidenziando una carenza ed una genericità impugnatoria che rende la censura da questo punto di vista inammissibile.
Va poi da sé che, una volta ritenuto perfezionato il contratto di cessione, sulla base di una valutazione che, per quanto appena detto, resiste al ricorso per cassazione, non può avere pregio, come afferma anche la Corte territoriale, l’esercizio di poteri di revoca della proposta riconnessi a scelte diverse del Consiglio di Amministrazione, comunque inidonee a vanificare, unilateralmente, gli effetti di un contratto ormai concluso.
4. Il terzo motivo, come anche il secondo, nella parte in cui esso fa riferimento alla completa formazione della volontà di ASI, afferma poi la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 213 del 2009, art. 6, nonché dell’art. 7, comma 2, lett. h) e dell’art. 12, comma 2, lett. d) dello Statuto ASI.
Le parti ricorrenti richiamano qui la norma di legge (art. 6, comma 2 cit.) secondo la quale i regolamenti avrebbero dovuto contenere le modalità procedurali attraverso cui il Consiglio di Amministrazione potesse esprimere il proprio “parere vincolante sulla validità curriculare dei dirigenti proposti”.
Secondo tale impostazione la Corte territoriale, affermando che il requisito riguardava il conferimento degli incarichi e non la nomina nei ruoli dirigenziali dell’ente, avrebbe mal interpretato la legge alla luce del contenuto dei regolamenti, mentre il procedimento era semmai quello opposto, sicché si doveva ricondurre la previsione regolamentare, poi in effetti modificata nel senso qui propugnato dalle parti ricorrenti, al disposto dell’art. 6, quale norma speciale dell’ordinamento degli enti di ricerca, destinata a condizionare la nomina in ruolo dei dirigenti, anche in esito a mobilità.
4.1 La prospettazione delle parti ricorrenti non può essere condivisa.
Il D.Lgs. n. 213 del 2009, art. 6, la cui rubrica fa riferimento ai “Regolamenti degli enti di ricerca”, al comma 2, prevede in effetti che “i regolamenti del personale prevedono modalità procedurali per l’espressione, da parte del consiglio di amministrazione, di un parere vincolante sulla validità curriculare dei dirigenti proposti, la cui individuazione e nomina resta in capo ai dirigenti apicali ai sensi della normativa vigente in materia”.
Come puntualmente osservato dal Pubblico Ministero nelle conclusioni scritte, la norma va tuttavia letta sistematicamente all’interno di un complessivo regime in cui la scelta dei dirigenti avviene mediante concorso.
In tale quadro, ipotizzare che, all’esito del concorso, sia esso per l’assunzione ex novo, sia esso una selezione per effetto di mobilità, sussista un potere discrezionale del Consiglio di Amministrazione di accettare o meno il dirigente nei propri ruoli, costituisce ipotesi destinata, se così intesa, ad introdurre una variabile del tutto incoerente con il fatto che è la selezione per merito, realizzata con i trasparenti strumenti comparativi del concorso tra più candidati e non la volontà dei preposti alla P.A., a definire l’assetto delle preferenze in ragione della capacità e professionalità.
La norma va dunque diversamente letta, come tale da introdurre, nello specifico settore, un eccezionale potere di veto, quale deriva dal riconoscimento di un parere vincolante, da esercitare al solo fine di assicurare coerenza curriculare tra le procedure di selezione che stanno alla base dell’acquisizione ai ruoli dei dirigenti e gli incarichi cui essi vengono destinati, anche al fine di controllare il rispetto del principio generale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 15, comma 2.
Diritto di veto che spiega l’inserirsi di esso a valle della individuazione dei vincitori sulla base del concorso o della selezione.
Ne deriva che lo Statuto ASI (art. 8, comma 2, lett. d; art. 7, comma 2 lett. h) nel testo vigente illo tempore ed ove esso prevede il parere vincolante del Consiglio di Amministrazione sulla “validità curriculare” del dirigente già individuato attraverso la selezione, è coerente con una corretta interpretazione della norma di legge su cui il medesimo si fonda, nei sensi sopra detti.
Ne’ hanno qui rilievo ratione temporis, le modifiche allo Statuto ASI apportate successivamente ai fatti di causa.
5. Il ricorso va quindi disatteso e le spese del grado seguono la soccombenza. L’esistenza di questioni giuridiche mai affrontate da questa S.C., come quella di cui al terzo motivo, è in sé ragione sufficiente ad escludere la fondatezza della richiesta di condanna delle parti ricorrenti ai sensi dell’art. 93 c.p.c., comma 3.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento, in solido tra loro ed in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021
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