LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorse 16640-2020 proposto da:
M.A.W., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MANNIRONI STEFANO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto 1446/2020 del TRIBUNALE di CAGLIARI depositato il 15/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MELONI MARINA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Cagliari sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 15/5/2020 ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Cagliari in ordine alle istanze avanzata da M.A.W. nata in Nigeria il 22/2/1994, volta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale. In particolare il ricorrente aveva riferito di essere fuggito dalla Nigeria dove era nato in quanto il padre voleva costringerlo a diventare musulmano mentre lui intendeva professare la religione cristiana come sua madre. La madre era andata via e lui non era riuscito a trovarla ed allora aveva deciso di fuggire in Italia.
Avverso il decreto del Tribunale di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione il ricorrente affidato a quattro motivi e memoria. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 13 ed all’art. 6 direttiva C.E.E. n. 115/2008; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti perché il Tribunale di Cagliari non ha tenuto conto che la fattispecie prefigurata al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 costituisce ipotesi del tutto autonoma, viepiù che l’art. 6,4 co., della direttiva C.E.E. n. 115/2008 prevede che gli Stati membri possono decidere di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi “caritatevoli o di altra natura” del tutto autonomi e differenti da quelli umanitari di cui al medesimo D.Lgs., art. 5.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 16 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti perché, contrariamente a quanto assunto dal tribunale, rilevano con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), le circostanze addotte ovvero il rischio pressoché certo che, se rimpatriato, si troverebbe in una situazione di conflitto generalizzato con riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); che parimenti il tribunale per nulla ha tenuto conto delle violenze subite e dei traumi sofferti.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360,1 co.n. 3, c.p.c. la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e dell’art. 6 direttiva C.E.E. n. 115/2008; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia perché, contrariamente a quanto assunto dal tribunale, sussistono nel caso di specie le condizioni perché sia riconosciuta la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, protezione del tutto autonoma e distinta da quella di cui allo stesso D.Lgs., art. 5, comma 6. Deduce in particolare che ben può essergli accordato il permesso di soggiorno ex art. 19 cit., atteso non ha più alcun legame con il suo paese d’origine.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia perché il tribunale ben avrebbe potuto accordargli il permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; che siffatta disposizione fa salva la ricorrenza di gravi motivi di carattere umanitario ovvero derivanti dagli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.
Il primo motivo proposto è inammissibile per difetto di specificità in quanto il ricorrente non spiega la censura e rimanda ad altre sentenze di Cassazione per l’illustrazione del motivo.
In ogni caso, ritenuta la connessione tra primo e terzo motivo di ricorso, strettamente avvinti, ambedue appaiono infondati.Richiamati gli insegnamenti di questa Corte n. 16362/2016 e n. 11110/2019 deve essere escluso che vi sia margine per far luogo alla protezione umanitaria toutcourt “per motivi caritatevoli o di altra natura”.
Il secondo motivo è infondato.
Il Tribunale di merito non ha riconosciuto al ricorrente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria di cui alle prime due lettere del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in quanto la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi.
L’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), che si configura anche in mancanza di un diretto coinvolgimento individuale dello straniero nella situazione di pericolo, è stata, poi, motivatamente esclusa dal Tribunale il quale, basandosi su fonti di informazione internazionale, ha appurato che sia il paese di nascita dell’odierno istante che quello nel quale il predetto si era trasferito per lavoro non è teatro di un “conflitto diffuso” e di una “violenza generalizzata”: Tale apprezzamento, che sfugge al sindacato di legittimità, porta ovviamente a disconoscere che nel presente giudizio di cassazione si possa far questione della “minaccia,grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armalo interno o internazionale”.
Il quarto motivo in ordine all’invocata protezione umanitaria è infondato. Il Tribunale territoriale infatti ha ritenuto che le vicende riferite dalla ricorrente, sebbene credibili, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio attenuato, non giustifichino la concessione della protezione umanitaria.
Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo e dell’avvenuta integrazione dello straniero in Italia esso può essere valorizzato non come fattore esclusivo bensì come presupposto della protezione umanitaria e come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.
In tema di integrazione nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” si configura, nelle motivazioni dell’impugnato decreto. Il tribunale ha soggiunto che il ricorrente non ha raggiunto in Italia un significativo livello di integrazione per il riconoscimento della protezione umanitaria. Il motivo infatti, pur rubricato sotto il solo profilo della violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), contiene in realtà una serie di critiche agli accertamenti espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto diretti a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata.
Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione della Corte di Cassazione, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021