LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18653/2020 R.G. proposto da:
C.B., rappresentato e difeso dall’Avv. Chiara Costagliola, con domicilio eletto in Roma, via M. Menghini, n. 21, presso lo studio dell’Avv. Pasquale Porfilio;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di L’Aquila depositato il 4 giugno 2020;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 giugno 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 4 giugno 2020, il Tribunale di L’Aquila ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta da C.B., cittadino del *****.
Premesso che, a sostegno della domanda, il ricorrente aveva dichiarato di essersi allontanato dal Paese di origine per sottrarsi alle minacce di morte del fratello, il quale voleva convincerlo ad abbandonare la religione *****, alla quale si era convertito, per tornare a quella *****, praticata dalla sua famiglia, il Tribunale ha ritenuto inattendibile tale racconto, in quanto accompagnato da una descrizione superficiale del percorso di conversione e contrastante con le informazioni disponibili in ordine alla libertà di culto ed ai rapporti tra le diverse confessioni religiose esistenti in *****. Ha ritenuto pertanto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, rigettando anche la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto il ricorrente non risultava esposto al rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti né ad una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona. Ha escluso inoltre che nel Paese di origine del ricorrente fosse in atto una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato, richiamando un rapporto della Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo relativo all’anno 2017, da cui risultava che l’unica regione del ***** interessata da tensioni interne era quella del *****, diversa da quella da cui proveniva il ricorrente. Ha ritenuto infine insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, rilevando che il ricorrente non aveva allegato fatti diversi ed ulteriori rispetto a quelli dedotti a sostegno della richiesta di riconoscimento delle altre forme di protezione, ritenendo non provato il definitivo radicamento nel territorio nazionale, e reputando irrilevante l’esposizione a difficoltà economiche in caso di rimpatrio, in assenza di un’effettiva condizione di vulnerabilità personale.
2. Avverso il predetto decreto il C. ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi. Il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, anziché mediante controricorso: nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione, il concorso delle parti alla fase decisoria deve infatti realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835).
2. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che, nell’escludere la sussistenza di una condizione di vulnerabilità personale, il Tribunale si è limitato a fare proprie le considerazioni svolte dalla Commissione territoriale, senza compiere un’autonoma valutazione. Aggiunge che il decreto impugnato non ha tenuto conto dei danni fisici e psicologici da lui riportati per effetto delle violenze subìte in Libia, dove è stato imprigionato e ferito.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Nella parte concernente la mancanza di un’autonoma valutazione in ordine alla condizione di vulnerabilità personale dedotta a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, le predette censure non attingono infatti la ratio decidendi del decreto impugnato, il quale, nell’escludere la sussistenza dei presupposti necessari per l’applicazione della predetta misura, non ha affatto richiamato la decisione adottata all’esito del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ma ha sottoposto ad uno specifico apprezzamento le dichiarazioni rese dal ricorrente, rilevando che quest’ultimo non aveva rappresentato episodi o situazioni di grave violazione dei diritti fondamentali, né allegato fatti diversi ed ulteriori rispetto a quelli dedotti a sostegno delle domande di riconoscimento delle forme di protezione c.d. maggiori, dei quali era stata esclusa l’attendibilità.
Nella parte riflettente l’omessa valutazione delle violenze subite dal ricorrente nel corso del soggiorno in Libia, le censure risultano invece prive di specificità, non essendo accompagnate da una puntuale descrizione dei fatti allegati a sostegno della domanda, ma da un generico richiamo al ricorso introduttivo, alle dichiarazioni rese nel corso del colloquio ed ai documenti prodotti, inidoneo a consentire qualsiasi riscontro in ordine alla rituale introduzione del predetto tema d’indagine, prima ancora della verifica in ordine alla fondatezza delle critiche rivolte al decreto impugnato.
3. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2 e 14, censurando il decreto impugnato per aver escluso che in ***** fosse in atto una situazione di violenza indiscriminata, sulla base del richiamo a fonti d’informazione risalenti ad un anno prima.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Nell’escludere la configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), il decreto impugnato ha infatti richiamato un rapporto della Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo relativo all’anno 2017, dal quale ha desunto che l’unica regione del ***** interessata da tensioni interne è quella meridionale del *****, teatro di un conflitto separatista la cui violenza è peraltro scemata a seguito di un cessate il fuoco proclamato nell’anno 2014, mentre nel resto del Paese, ivi compresa la regione dalla quale proviene il ricorrente, esiste una tradizione consolidata di governo civile, tale da giustificare l’esclusione di uno stato di violenza indiscriminata.
Tale apprezzamento non risulta validamente censurato dal ricorrente, il quale, nel lamentare la violazione del dovere di cooperazione istruttoria posto a carico del giudice dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, si astiene dall’indicare specificamente elementi di fatto idonei a di mostrare che il Tribunale abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, limitandosi a prospettare una situazione complessiva del suo Paese di origine diversa da quella ricostruita dal provvedimento impugnato, senza far accompagnare le proprie censure da precisi richiami, anche testuali, a fonti alternative o successive, in modo tale da consentire a questa Corte un’effettiva verifica in ordine al vizio dedotto (cfr. Cass., Sez. I, 20/10/2020, n. 22769; 21/10/2019, n. 26728).
4. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la mera apparenza della motivazione addotta a sostegno della ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni da lui rese, rilevando che il decreto impugnato ha omesso di valutarne il contenuto, essendosi limitato a fare riferimento alla situazione generale del suo Paese di origine.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Il controllo dell’attendibilità delle dichiarazioni rese a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, espressamente prescritto dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, per l’ipotesi in cui taluni elementi o aspetti delle stesse non siano suffragati da prove, postula infatti una verifica della coerenza interna ed esterna delle predette dichiarazioni, ovverosia della congruenza intrinseca del racconto e della sua concordanza con le informazioni generali e specifiche di cui si dispone, nonché della plausibilità della vicenda narrata, che deve risultare attendibile e convincente sul piano razionale (cfr. Cass., Sez. I, 7/08/2019, n. 21142; Cass., Sez. VI, 31/07/2019, n. 20580).
Tale verifica deve ritenersi nella specie correttamente effettuata, avendo il Tribunale proceduto ad un attento scrutinio delle dichiarazioni rese nel corso del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ed avendone escluso la credibilità non solo in virtù dell’incapacità del ricorrente di precisare le differenze tra la religione ***** e quella ***** e di spiegare le ragioni della propria conversione, ma anche del confronto con le informazioni desunte da fonti autorevoli ed aggiornate, da cui emergevano la libertà di culto e la pacifica convivenza tra le diverse confessioni religiose esistenti nel *****.
Nel lamentare l’inadeguatezza della motivazione svolta al riguardo, il ricorrente non è in grado d’indicare lacune argomentative o incongruenze di gravità tale da impedire la ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione, ma si limita ad insistere sulla credibilità intrinseca della vicenda narrata, specificamente esclusa dal Tribunale, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 da parte del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547).
5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021