Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26298 del 28/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10251/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

F.G., Z.D.F., Z.F.F., Z.M. e Z.S.;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 2271/34/2014, depositata il 7 marzo 2014;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 15 settembre 2021 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza n. 138/46/2012, dichiarava inammissibile l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli (n. 279/29/2010) che aveva accolto il ricorso presentato da Z.U. contro il silenzio-rifiuto dell’Ufficio in relazione alla richiesta di rimborso dell’Irpef sugli emolumenti pensionistici corrisposti dall’anno 1980 l’anno 2006, in virtù di varie disposizioni normative emanate in favore di categorie specifiche di dipendenti pubblici, che avrebbero previsto l’esenzione Irpef. In particolare, la Commissione regionale evidenziava che l’atto di appello non era stato correttamente notificato, in quanto l’Agenzia delle entrate si era limitata ad indicare a margine del gravame il numero del plico raccomandato con cui sarebbe stato spedito l’appello, senza addurre alcuna prova sull’avvenuta effettiva notificazione alla controparte. In tal modo, era stato violato il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 22, che prevedono il deposito, insieme con l’originale del ricorso notificato o di copia del ricorso consegnato o spedito per posta, anche della fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione della raccomandata.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate. Questa Corte, con ordinanza n. 323/2016, depositata il 12 novembre 2016, pronunciando sul ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate contro Z., Z.F.F., F.G. e Z.D.F., quali eredi di Z.U., accoglieva il ricorso, cassava la decisione e rinviava alla Commissione tributaria regionale della Campania, anche per le spese di lite. L’Agenzia aveva evidenziato che il giudice d’appello non aveva tenuto conto delle circostanze processuali, costituite dal fatto che il gravame, notificato il 18 luglio 2011 e depositato il 22 luglio 2011, era stato poi seguito, in data 2 settembre 2011, dal deposito presso la segreteria della CTR”, come emergeva dalla copia della ricevuta di deposito della copia notificata dell’appello, sottoscritta dal difensore della parte appellata. Tale deposito era stato tempestivo, in quanto avvenuto il 2 settembre 2011, quindi entro i 30 giorni dalla data della notifica (18 luglio 2011), dovendosi tenere conto della sospensione del termine feriale. La Cassazione ha evidenziato che il giudice d’appello ha ritenuto non notificato l’atto introduttivo del giudizio di secondo grado per il solo fatto di avere esaminato solo la copia di quest’ultimo, senza essersi avveduto che il deposito della copia dell’atto introduttivo era stato tempestivamente integrato con il deposito della cartolina di ricevimento, riprodotta nell’atto introduttivo del ricorso per cassazione, come da certificazione nella nota di deposito del 2 settembre 2011, pure riprodotta nel ricorso per cassazione. Il giudice d’appello era, dunque, incorso nel vizio di insufficiente esame della circostanza decisiva di causa, in ordine alla avvenuta tempestiva produzione del documento comprovante l’avvenuta notifica.

3. Avverso la sentenza d’appello è stata proposta anche revocazione dinanzi al medesimo giudice. La Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza n. 2271/34/2014, depositata il 7 marzo 2014, rigettava il ricorso rilevando che l’appello era stato proposto il 18 luglio 2011, data di spedizione dell’atto, che l’appello era stato depositato dinanzi alla Commissione regionale il 22 luglio 2011 e che “non si rinviene invece la relata di notifica dell’impugnazione che è stata depositata alla Commissione il 2 settembre 2011 e che non è stata inserita nel fascicolo”. Da ciò derivava che la richiesta di revocazione, “non risultando dagli atti del processo definito con sentenza di inammissibilità il documento che avrebbe invece reso ammissibile l’appello, non è proponibile”. Ha aggiunto, poi, la Commissione regionale che “sarebbe stato onere dell’appellante verificare se nel fascicolo fossero presenti tutti i documenti prodotti e, una volta verificata la mancanza di quello allegato alla richiesta di revocazione, produrlo prima della decisione”.

4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

5. Restano intimati F.G., Z.D.F., Z.F.F., Z.M. e Z.S., quali eredi di Z.U..

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 36, nonché dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Invero, la sentenza della Commissione regionale, oggetto di revocazione (revocanda), n. 138 del 2012, ha dichiarato inammissibile l’appello della Agenzia delle entrate in assenza della prova dell’avvenuta notifica del gravame alla controparte. Al contrario, la sentenza della Commissione regionale che ha deciso sull’istanza di revocazione (n. 2271/2014), ha affrontato un tema diverso, incorrendo nel vizio di extrapetizione. Infatti, la prova documentale, richiesta dal giudice d’appello, non era costituita dalla relazione di notificazione, ma dall’esistenza del documento che comprovasse l’avvenuta effettiva notifica, ossia la cartolina di ricevimento della raccomandata. Nel ricorso per revocazione l’Agenzia delle entrate aveva, infatti, dedotto che, diversamente da quanto affermato dalla CTR del 2012, agli atti del fascicolo erano presenti documenti attestanti la regolare notifica dell’atto di appello, avendo la segreteria della Commissione, in data 22-7-2011, rilasciato la ricevuta dell’atto di appello depositato. Successivamente, in data 2 settembre 2011, l’Agenzia aveva depositato anche la copia della ricevuta di ritorno della raccomandata inviata ai difensori costituiti e firmata dagli stessi. La domanda proposta dall’Agenzia in revocazione e, conseguentemente, il thema decidendum del giudizio di revocazione, erano incentrati sull’esistenza della ricevuta di ritorno e non, come affermato dalla CTR, sull’esistenza della relata di notifica, del tutto irrilevante peraltro in quanto la notifica era stata effettuata con raccomandata con avviso di ricevimento ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 3.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Invero, la sentenza della Commissione regionale n. 138/2012, dopo aver affermato che l’appello era stato proposto il 18 luglio 2011, data di spedizione dell’atto, ed era stato depositato dinanzi alla CTR il 22 luglio 2011, ha poi affermato che non si rinveniva invece la relata di notificazione dell’impugnazione che, però, era stata depositata alla Commissione il 2 settembre 2011 e non era stata inserita nel fascicolo. Pertanto, la stessa Commissione regionale aveva dato atto che la relata era stata depositata, ma non si rinveniva nel fascicolo. Di qui l’assoluta contraddittorietà della decisione che, da un lato, ammetteva l’esistenza del deposito dell’atto, supposto inesistente, e, dall’altro, riteneva non provata l’esistenza del medesimo documento.

3. Con il terzo motivo di impugnazione l’Agenzia deduce la “violazione degli artt. 100,169 e 402 c.p.c., e dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto sussisteva l’attestazione che la prova dell’avvenuta notificazione era stata depositata, mentre erroneamente il giudice d’appello aveva ritenuto di dover addossare all’Agenzia ricorrente, che aveva correttamente assolto all’onere di proposito, le conseguenze del mancato rinvenimento nel fascicolo di parte del documento in oggetto (notificazione dell’atto di appello). Al contrario, il giudice avrebbe dovuto, in caso di mancato rinvenimento, al momento della decisione della causa, di un documento che la parte invocava, disporre la ricerca del documento e la possibilità per la parte di ottenere di depositarlo nuovamente oppure di ricostruirne il contenuto, nel caso in cui fosse stato ritualmente prodotto.

4. Il ricorso è inammissibile, per la sopravvenuta carenza di interesse, a seguito della intervenuta ordinanza di questa Corte (n. 323/1026, depositata il 12 gennaio 2016) che ha cassato la sentenza della Commissione tributaria regionale n. 138/2012 (sentenza revocanda), rinviando la controversia dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania. In particolare, per questa Corte il deposito della copia dell’appello era stato tempestivamente integrato con il deposito della cartolina di ricevimento, come risultava dalla nota di deposito del 2 settembre 2011.

5. Quanto al rapporto fra il processo di cassazione ed il giudizio di revocazione si evidenzia che, mentre in precedenza, la proposizione della revocazione comportava ex lege la sospensione del giudizio di cassazione, impedendo la contemporanea pendenza dei due giudizi, l’art. 398 c.p.c., come modificato ai sensi della L. 26 novembre 1990, n. 353, consente di regola la contemporanea pendenza dei due giudizi, con un temperamento; resta salva, infatti, la possibilità per le parti di chiedere la sospensione del termine per proporre il ricorso per cassazione o del giudizio di cassazione stesso.

Si prevede infatti che “la proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre ricorso per cassazione o il procedimento relativo. Tuttavia il giudice davanti a cui è proposta revocazione, su istanza di parte, può sospendere l’uno o l’altro fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, qualora ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta”.

6. E’ evidente, come rilevato dalla dottrina, che il nuovo meccanismo di interconnessione fra i due giudizi è stato inserito per impedire manovre dilatorie delle parti, tese a procrastinare il passaggio in giudicato della sentenza d’appello, con l’utilizzo strumentale dell’istituto della revocazione. E’ del pari evidente, come anche annotato dalla dottrina, che il giudizio di revocazione è pregiudiziale al processo di cassazione, in quanto, nell’iter logico della decisione, i vizi che si fanno valere con la revocazione, mezzo di impugnazione a critica vincolata ex art. 395 c.p.c., si collocano in un momento anteriore rispetto i vizi, che si denunciano con il ricorso per cassazione, anch’esso a critica vincolata ex art. 360 c.p.c.. La subordinazione del ricorso per cassazione al giudizio di revocazione è solo eventuale ai sensi dell’art. 398 c.p.c., comma 4, e risponde alla esigenza di assegnare priorità alla impugnazione di merito, tesa a far valere vizi di “giustizia” della sentenza, rispetto a quella di pura legittimità, che si innerva della “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”.

7. Nel caso di contemporanea pendenza del giudizio di cassazione e del giudizio di revocazione, quindi nell’ipotesi in cui il giudice del provvedimento impugnato abbia ritenuto che l’istanza di revocazione fosse manifestamente infondata (non concedendo la chiesta sospensione del termine per proporre ricorre per cassazione o il relativo procedimento), ai sensi dell’art. 398 c.p.c., comma 4, oppure nell’ipotesi in cui la parte impugnante con la revocazione non abbia chiesto la sospensione del termine per presentare il ricorso per cassazione, deve distinguersi l’ipotesi in cui la sentenza sulla revocazione sia anteriore all’esito del giudizio di cassazione, dall’ipotesi in cui il provvedimento che chiude il processo di cassazione sia anteriore all’esito del giudizio di revocazione.

8. Se, infatti, il giudice d’appello provvede alla revocazione della propria decisione, il ricorso per cassazione deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse, per essere cessata la materia del contendere nel giudizio di cassazione, a nulla rilevando che la sentenza di revocazione potrebbe a sua volta essere impugnata in cassazione, giacché l’eventuale impugnazione costituisce una mera possibilità, mentre la carenza di interesse del ricorrente a coltivare il ricorso per cassazione è attuale, essendo venuta meno la pronuncia che ne costituiva l’oggetto. Alla cessazione della materia del contendere consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass., sez. un., 29 novembre 2006, n. 25278; Cass., sez. 2, 12 novembre 2007, n. 23515; Cass., sez.2, 25 settembre 2013, n. 21951).

9. Nel caso, invece, nella contemporanea pendenza dei due giudizi, vi sia preventiva pronuncia da parte della cassazione di rigetto del ricorso, resta in piedi il giudizio di revocazione. Invero, per questa Corte, i due rimedi, quello del ricorso per cassazione e quello della revocazione, essendo entrambi a critica vincolata, ma per motivi diversi e per di più tra loro incompatibili, danno luogo a due impugnazioni tra loro concorrenti e potenzialmente del tutto tra loro autonome; ma la prima di esse è subordinata, da un punto di vista logico, come evidenziato dall’art. 398 c.p.c., alla seconda. Infatti, la revocazione tende a minare alla base l’intrinseca correttezza della decisione, essendo diretta a dimostrare l’erroneità dei presupposti di fatto esaminati e, quindi, l’insopprimibile ingiustizia dell’impianto motivazionale volto a sorreggerla. Deve, quindi, essere esaminata dapprima la revocazione, per le conseguenze radicali che l’eventuale accoglimento di quest’ultima potrebbe avere sullo stesso oggetto della prima (Cass., sez. 2, 20 marzo 2009, n. 6878; Cass., sez. 5, 13 febbraio 2004, n. 2818).

10. Diversa ancora è l’ipotesi in cui la domanda di revocazione sia stata dichiarata inammissibile dalla corte d’appello per tardività del gravame, mentre è pendente contemporaneamente il processo di cassazione. Per questa Corte, infatti, in ipotesi di contestuale ricorso per cassazione e di domanda di revocazione avverso la sentenza della corte di appello che dichiari inammissibile per tardività un appello, rispettivamente per erronea applicazione di norma processuale sui termini e per errore revocatorio, le due impugnazioni conservano autonomia anche se fondate entrambe sull’erroneità del computo dei termini posto a base della declaratoria di inammissibilità. Ne consegue che la definizione del ricorso per cassazione non preclude né pregiudica in alcun modo la disamina della domanda di revocazione (Cass., sez. 3, 4 novembre 2014, n. 23445; Cass., sez. 2, 28 marzo 2019, n. 8689). Si è ribadito che, nell’ipotesi in cui una sentenza della corte d’appello venga impugnata sia per revocazione, sia per cassazione, e la corte d’appello abbia dichiarato inammissibile l’istanza di revocazione, mentre la Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso, abbia cassato con rinvio la sentenza impugnata, l’una e l’altra decisione devono ritenersi del tutto autonome, con la conseguenza che la sentenza della Cassazione non esplica alcuna efficacia immediata nel giudizio di impugnazione per cassazione della sentenza della Corte d’appello dichiarativa dell’inammissibilità della revocazione, salvo che non sia venuto meno l’interesse a coltivare il ricorso (Cass., sez.2, 20 luglio 2001, n. 9908).

11. Nel caso, invece, in cui la cassazione accolga il ricorso, annullando la sentenza d’appello, oggetto anche del giudizio di revocazione, è chiaro che diviene inammissibile il ricorso per revocazione per sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare.

Per questa Corte, infatti, qualora la sentenza di appello impugnata con revocazione sia cassata, integralmente o limitatamente alla statuizione oggetto di quella impugnazione o comunque dalla prima dipendente, con rinvio o senza, e la sopravvenuta decisione di legittimità non sia evidenziabile al giudice della revocazione che abbia già riservato in decisione la causa, la conseguente nullità, per sopraggiunta carenza di interesse, della sentenza che decida quest’ultima può essere fatta valere con ricorso per cassazione (Cass., sez. 6-3, 3 aprile 2015, n. 6885). Si è chiarito, invero, che la sentenza oggetto di ricorso per revocazione, a seguito dell’accoglimento del ricorso per cassazione, non esisteva più, essendone intervenuta la cassazione.

11.1. In dottrina, a sostegno della tesi da ultimo prospettata, si è sottolineato che la sentenza di revocazione può essere pronunciata solo se, nel frattempo, il non sospeso giudizio di cassazione non abbia già sortito l’annullamento della medesima sentenza; infatti, nel caso in cui giudizio di cassazione, non sospeso, si sia già concluso con l’annullamento della sentenza, il giudice adito con la revocazione dovrebbe dichiarare cessata la materia del contendere, in quanto una sua ipotetica sentenza di revocazione, in tale situazione, resterebbe priva di oggetto e sarebbe inefficace ed inutile. Si è anche affermato che se il ricorso per cassazione viene accolto, con cassazione con o senza rinvio, o con pronuncia nel merito ex art. 384 c.p.c., il giudice della revocazione deve dichiarare la cessazione della materia del contendere per difetto di interesse, in quanto è venuto meno l’oggetto della relativa impugnazione. Pertanto, l’accoglimento del ricorso per cassazione, indipendentemente dall’esito dell’eventuale giudizio di rinvio, facendo venir meno il provvedimento impugnato, limitatamente ai capi revocati o cassati e a quelli da essi dipendenti ex art. 336 c.p.c., comma 2, impedisce la prosecuzione del giudizio di revocazione, implicando la dichiarazione di cessazione della materia del contendere. La pronuncia della Cassazione travolge, allora, la sentenza di revocazione (rescindente e rescissoria), o la sentenza che ha rigettato la revocazione, come “atto dipendente” (anche se in senso particolarmente ampio, secondo la dottrina), dalla sentenza cassata.

12. Pertanto, in ragione dell’intervenuto accoglimento del ricorso per cassazione, essendo stata annullata la sentenza del giudice d’appello, oggetto anche di contemporaneo giudizio di revocazione, con perfetta specularità dei rispettivi motivi di impugnazione, deve essere pronunciata sentenza di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della corte d’appello che ha rigettato il ricorso per revocazione, stante il sopraggiunto difetto di interesse ad impugnare.

13. Le spese del giudizio di legittimità vanno interamente compensate tra le parti, proprio per la sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare.

14. Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass., 890/2017; Cass., 5955/2014).

P.Q.M.

pronunciando sul ricorso, dichiara l’inammissibilità dello stesso per sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021

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