LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – rel. Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19764/2019 proposto da:
DA.VI.OL SAS, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato PASQUALE FIORENTINO, in Trinitapoli (BT) alla via Taranto, n. 11, dal medesimo rappresentata difesa;
– ricorrente –
contro
GENERALI ITALIA SPA, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN GODENZO, 15, presso lo studio dell’Avvocato ENRICO IANNOTTA, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA PER L’OCCUPAZIONE E LO SVILUPPO DELL’AREA NORD BARESE OFANTINA SCARL e BANCO DI NAPOLI SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 893/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 11/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/05/2021 dal Presidente Dott. RAFFAELE GAETANO ANTONIO FRASCA.
RITENUTO
che:
1. La s.a.s. DA.VI.OL. ha proposto ricorso per cassazione contro l’Agenzia per l’Occupazione e lo Sviluppo dell’Area Barese Ofantina società consortile a r.l., il Banco di Napoli s.p.a. e la Generali Italia s.p.a., avverso la sentenza parziale n. 182 del 31 gennaio 2018 – fatta oggetto di riserva facoltativa di ricorso ai sensi dell’art. 361 c.p.c. – e quella definitiva n. 893 dell’11 aprile 2019, con le quali la Corte di Appello di Bari, ha, rispettivamente dichiarato inammissibile per tardività il suo appello avverso la sentenza n. 1443 del 2014 resa in primo grado dal Tribunale di Trani, condannandola alle spese nei confronti della detta Agenzia, ed ha rigettato l’appello di quest’ultima condannandola alle spese nei confronti del Banco di Napoli e della Generali Italia. Gli appelli erano stati proposti separatamente e quindi riuniti.
2. Al ricorso ha resistito con controricorso soltanto la Generali Italia s.p.a..
3. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. ed in vista di essa parte resistente ha depositato memoria.
4. Poiché nelle more era sopravvenuto un impedimento del relatore designato, il Presidente del Collegio è stato designato in sostituzione alla trattazione.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce, sebbene in modo che non rappresenta certo un modello di chiarezza (dato che si evoca anche incomprensibilmente una violazione dell’art. 112 c.p.c., “per non aver pronunciato (la corte) sulla dedotta inammissibilità dell’impugnazione, stane la sua natura di atto endoprocedimentale”), la “violazione o falsa applicazione della L. n. 742 del 1969 e successiva modificazione”, censurando la declaratoria di inammissibilità per tardività dell’appello separato proposto dalla qui ricorrente contro la sentenza di primo grado, riunito a quello proposto dall’Agenzia qui intimata deciso con la sentenza definitiva.
Si postula la cassazione della sentenza parziale dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello per la pretesa erroneità della ritenuta tardività dell’appello e in conseguenza la cassazione della sentenza definitiva, là dove è stata pronunciata senza considerare le difese svolte con l’appello dalla ricorrente.
L’illustrazione sostiene in primo luogo che, essendo stata emessa la sentenza di primo grado del Tribunale di Trani il giorno 27 agosto 2014 in un procedimento iniziato in primo grado nell’anno 2008, il termine lungo per impugnare era di un anno solare e che l’applicabilità di tale termine implicava che fosse applicabile la sospensione feriale di 46 giorni anche per l’anno 2015, di modo che l’appello notificato il 28 ottobre 2015 si sarebbe dovuto reputare tempestivo.
In sostanza, si sostiene che, essendo stata la sentenza soggetta al termine lungo di un anno decorso (per essere stata pubblicata il 27 agosto 2014) dalla scadenza del periodo feriale del 2014, che era di 46 giorni, anche per il 2015 sarebbe rimata operante la stessa durata del periodo feriale.
In particolare, si afferma che “inequivocabilmente la sentenza che ha dichiarato inammissibile per intempestività l’appello proposto da Da.VI.Ol. s.a.s. deve essere annullata perché il principio ratione temporis in virtù del quale veniva applicato la L. n. 742 del 1969, art. 1, che novellava il termine di sospensione feriale considerando tout court che dal 01.01.2015 il termine di sospensione feriale veniva ridotto da 46 giorni a 31 giorni, mancava di specifiche disposizioni transitoria che rende perciò illegittima (sic) la norma alla generalità indiscriminata dei casi, avrebbe al contrario giustificato l’applicazione di 46 giorni di sospensione feriale, che nella specie si attaglia”.
Si asserisce che il termine ultimo per appellare era allora quello del 31 ottobre 2015, donde la tempestività dell’appello e si sostiene che la tesi contraria a quella sostenuta imporrebbe di sollevare questione di costituzionalità “in relazione all’art. 10 della C.” (sic).
In buona sostanza, la pur poco chiara prospettazione della censura (che, però, non attinge le inammissibilità predicate dalla resistente) è che la riduzione del periodo feriale da 46 a 31 giorni disposta dal D.L. n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, nella L. n. 162 del 2014, non opererebbe in relazione alla pendenza di temine di impugnazione al momento della sua entrata in vigore e ciò – sembra di capire – perché sarebbe stata necessaria una norma transitoria che avesse detto il contrario.
2. Il motivo è privo di fondamento.
Ai sensi del D.L. n. 132 del 2014, art. 16, comma 3, convertito con modificazioni, nella L. n. 162 del 2014, la modifica della disposizione della L. n. 742 del 1969, art. 1, nel senso della riduzione del periodo feriale al periodo dal 1 al 31 agosto, là dove essa era prevista in precedenza per il periodo dal 1 agosto al 15 settembre di ogni anno, acquistò efficacia “a decorrere dall’anno 2015”.
Poiché tale disposizione, nel disporre in tal senso, assumeva come oggetto di disciplina necessariamente anche il periodo fra il 1 agosto ed il 31 agosto 2015 che anzi era il primo in concreto configurabile come suo oggetto, risulta palese che la sospensione per quell’anno doveva operare per i termini processuali il cui corso fosse caduto o fosse iniziato nel detto periodo. La prima ipotesi non poteva concernere solo i termini processuali e particolarmente quelli di impugnazione iniziati dall’anno 2015, cioè a far tempo dal 1 gennaio 2015, sì da non poter riguardare un termine di impugnazione iniziato a decorrere prima di tale data ed il cui corso fosse stato ancora operante al 1 agosto 2015. Il legislatore ha, infatti, disposto l’applicabilità della sospensione a far tempo dal 2015 e, dunque, assumendo come oggetto di possibile disciplina anche l’ipotesi che un termine fosse in corso per quell’anno ed il suo corso fosse ancora in fieri al 1 agosto 2015 cioè alla prima data utile per l’operare del nuovo termine di sospensione ferale. Se il legislatore avesse inteso disporre l’applicabilità del nuovo termine ridotto di sospensione solo ai termini processuali il cui decorso fosse iniziato a partire dal 1 gennaio 2015, avrebbe dovuto dettare una diversa disposizione dispositiva in questo senso e non limitarsi a disporre l’applicabilità della nuova disciplina della sospensione.
Il chiaro disposto legislativo sull’efficacia della novità normativa esclude, d’altro canto, che abbia rilievo la data di inizio del giudizio come giustificativa di una sorta di ultrattività del vecchio periodo di sospensione feriale: anche al riguardo sarebbe stata necessaria una disposizione dettata dal legislatore in questo senso.
Ciò è stato già affermato da questa Corte: si vedano: Cass. (ord.) n. 20866 del 2017, secondo cui: “La riduzione della durata del periodo di sospensione feriale – attualmente decorrente dal 1 al 31 agosto di ogni anno ai sensi della L. n. 741 del 1969, art. 1, nel testo modificato dal D.L. n. 132 del 2014, art. 16, comma 1, conv. con modif. dalla L. n. 162 del 2014 – è immediatamente applicabile con decorrenza dall’anno 2015, in forza dell’art. 16, comma 1, dello stesso D.L., a nulla rilevando la data di introduzione del giudizio, in attuazione, peraltro, del principio “tempus regit actum””; Cass. (ord.) n. 30053 del 2020, in senso conforme.
E’stato, d’altro canto statuito che “Con riguardo al termine “lungo” di impugnazione previsto dall’art. 327 c.p.c. (nella sua originaria formulazione), è manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale del D.L. n. 132 del 2014, art. 16, conv. con modif. nella L. n. 162 del 2014, dovendosi escludere che l’abbreviazione del periodo di sospensione feriale dei termini processuali da 46 a 31 giorni, “ivi” previsto, determini una compressione del diritto di difesa delle parti e del principio del giusto processo, in ragione dell’inequivocabile interpretazione della norma, applicabile, in assenza di disciplina transitoria, a tutti i termini decorrenti dal 1 gennaio 2015, e dell’oggettiva ampia durata del termine in questione.” (Cass. n. 18485 del 2018). Tanto evidenzia la non ricorrenza degli estremi della non manifesta- infondatezza della questione di costituzionalità proposta, al di là dell’oscurità del richiamo all’art. 10 Cost..
Nel caso di specie il termine lungo dall’impugnazione della sentenza oggetto dell’appello della qui ricorrente dichiarato inammissibile, essendo in corso il 1 gennaio 2015 e, dunque, nell’anno 2015, e prestandosi ad essere oggetto della sospensione di cui della L. n. 742 del 1969, citato art. 1, nella versione novellata, in quanto il suo corso era iniziato il 16 settembre 2014 (tenuto conto che quell’anno, proprio in ragione della norma dell’art. 16 citata, la sospensione durava fino al 15 settembre 2014, trovando applicazione il vecchio termine di 46 giorni, e che la sentenza venne pubblicata il 28 agosto precedente, cioè durante l’operare di detta sospensione) ed era pendente nel 2015, venendo a scadere effettivamente il 16 ottobre 2015, giacché al termine annuale dal 16 settembre 2014 al 15 settembre 2015, si aggiungeva la sospensione per i 31 giorni dal 1 al 31 agosto 2015, come esattamene ritenuto dalla sentenza parziale e non quella di 46 giorni ormai non operante nel 2015. All’anno solare iniziato a decorrere il 16 settembre 2014 e scadente il 15 settembre 2015 andava aggiunta la sospensione ridotta a 31 giorni, che operò per il 2015.
Mette conto, in fine, di rilevare che le considerazioni che precedono non sono in alcun modo infirmate dalla circostanza che nella specie, avuto riguardo alla data di pubblicazione della sentenza il termine per l’impugnazione fosse ricaduto per l’anno 2014 sotto il regime del vecchio termine di sospensione, atteso che, non solo per il chiaro disposto normativo dell’art. 16 citato, ma anche per l’assenza di una norma legislativa che avesse disposto una sorta di trascinamento nel 2015 della durata del detto periodo, non potrebbe ritenersi appunto che l’essere ricaduta la sentenza di primo grado sotto il regime della sospensione “vecchia” nel 2014 avesse determinato una sorta di ultrattività di tale regie pure per il 2015.
3. Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.
4. Non ricorrano le condizioni per l’applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 3, invocata dalla parte resistente, atteso che la norma non è applicabile, tenuto conto della data di inizio del giudizio in primo grado, che è stata anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009.
5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro seimila, oltre Euro duecento per esborsi, le spese generali e gli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021