Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.26329 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 23511 del ruolo generale dell’anno 2018 proposto da:

T.V., (C.F.: *****), rappresentata e difesa, giusta procura allegata in calce al ricorso, dall’avvocato Fabio Pisani, (C.F.: PSNFBA63P29H501G);

– ricorrente –

nei confronti di:

T.G., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, giusta procura allegata in calce al controricorso, dagli avvocati Mariangela Amiconi, (C.F.: MCNMNG66A63H501D), e Germana Gatto, (C.F.: GTTGMN64M67H224M);

– controricorrente –

nonché

T.G. (C.F.: non indicato); T.M.C., (C.F.:

non indicato), T.A., (C.F.: non indicato), T.V., (C.F.: non indicato), T.A.A., (C.F.: non indicato), T.N.G., (C.F.: non indicato);

– intimati –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Avezzano n. 22/2018, pubblicata in data 24 gennaio 2018;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 18 maggio 2021 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo;

viste le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso.

FATTI DI CAUSA

T.V. ha promosso (nel 2007) l’esecuzione forzata per obblighi di fare, nei confronti di T.G. e F.A., sulla base di una sentenza di condanna di questi ultimi alla riduzione dell’altezza di un loro fabbricato ad almeno tre metri sotto la veduta esercitata dall’adiacente fabbricato della ricorrente. Il giudice dell’esecuzione, dopo aver disposto accertamenti tecnici, ha dichiarato estinto il processo esecutivo, con ordinanza emessa nel 2014, ritenendo non eseguibile l’obbligo posto in esecuzione.

La creditrice procedente ha proposto opposizione agli atti esecutivi avverso tale provvedimento, ai sensi dell’art. 617 c.p.c..

L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Avezzano, dopo l’interruzione del giudizio a causa del decesso di F.A. e la riassunzione dello stesso nei confronti dei suoi eredi. Ricorre T.V., sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso T.G..

La trattazione in pubblica udienza ha avuto luogo in modalità cd. cameralizzata, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni in L. 18 dicembre 2020, n. 176.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 612, 6291 630 e 631 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Secondo la ricorrente non avrebbe potuto essere dichiarata l’estinzione della procedura esecutiva per obbligo di fare, sulla base di una assunta (ma inesistente) impossibilità di eseguire l’opera indicata dal titolo esecutivo.

Il motivo è infondato.

Va ribadito in diritto, che, in linea generale ed astratta, può ben essere dichiarata dal giudice dell’esecuzione l’improcedibilità dell’esecuzione forzata, laddove non sia assolutamente possibile conseguire, sul piano materiale, il risultato indicato dal titolo esecutivo.

E’ opportuno peraltro precisare, in proposito, che non si tratta di una ipotesi di estinzione in senso tecnico del processo esecutivo.

Le ipotesi di estinzione del processo esecutivo sono infatti tipiche e quindi ricorrono esclusivamente nei casi in cui siano espressamente previste, come tali, dalla legge.

Si tratta invece di una ipotesi di impossibilità del processo stesso di conseguire il suo scopo ordinario, con necessità di dichiarare quindi la sua chiusura anticipata con provvedimento di improcedibilità (provvedimento impugnabile, come è noto, esclusivamente con l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c., mentre i provvedimenti di estinzione sono impugnabili esclusivamente con il reclamo di cui all’art. 630 c.p.c.).

Diversa è la questione della effettiva e concreta sussistenza, nella specie, di una situazione di assoluta impossibilità di conseguire, sul piano materiale, il risultato indicato dal titolo esecutivo, questione oggetto dei successivi motivi di ricorso.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 612 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Con il terzo motivo si denunzia “Nullità della sentenza impugnata per omessa od apparente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento all’asserita preesistenza dei collegamenti con il vicino manufatto degli stessi esecutati”.

Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324 e 612 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso sono logicamente e giuridicamente connessi; possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati.

Secondo la ricorrente, il giudice dell’esecuzione avrebbe violato la disposizione di cui all’art. 612 c.p.c., nonché quelle sul giudicato (art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c.), omettendo di procedere alla determinazione delle modalità necessarie per attuare l’obbligo di fare oggetto della sentenza definitiva di condanna emessa nei confronti degli esecutati (per la precisione, si tratta di un obbligo di “disfare”, trattandosi di una demolizione parziale), sebbene non fosse emersa l’impossibilità di tale attuazione, ma semplicemente la necessità di procedere all’adeguamento, sotto il profilo della normativa di sicurezza antisismica, dei manufatti interessati dalla demolizione imposta dal titolo.

Inoltre, il tribunale avrebbe posto, a sostegno della decisione di rigetto dell’opposizione agli atti esecutivi avverso il relativo provvedimento del giudice dell’esecuzione, una motivazione del tutto apparente (o comunque priva di coerenza logica), avendo fatto riferimento alla mancata prova del fatto che le connessioni tra il fabbricato la cui altezza avrebbe dovuto essere limitata e quello adiacente (sempre di proprietà degli esecutati) fossero venute in essere successivamente alla formazione del titolo, circostanza alla quale non poteva essere attribuito alcun rilievo, costituendo anzi essa – sempre se eventualmente corrispondente a realtà – una ulteriore ragione per cui era necessario dare attuazione al titolo, ed essendo comunque la questione coperta dal giudicato sostanziale.

Le censure colgono entrambe nel segno.

Una volta formatosi il giudicato in relazione alla condanna all’esecuzione di un obbligo di fare o non fare, il giudice dell’esecuzione deve esclusivamente determinare le modalità tecniche ed operative per attuare il comando contenuto nel titolo esecutivo, con l’unico limite della assoluta impossibilità materiale di pervenire a tale risultato (sull’indefettibilità della tutela giurisdizionale esecutiva, quale principio ispiratore dell’ordinamento, si veda, da ultimo: Cass., Sez. U., Sentenza n. 28387 del 14/12/2020, Rv. 659870 – 01, in motivazione, paragrafi 36 e ss.; ivi il richiamo di ulteriori precedenti, a sostegno, di questa stessa Corte, quali Cass. 10/06/2020 n. 11116 e Cass. Sez. U. 23/07/2019, nn. 19883 a 19888, della Corte costituzionale, quali le pronunzie nn. 419/95, 312/96 e 198/10, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dalla decisione 19/03/1997, Hornsby c/ Grecia, p. 40, fino alle più recenti, fra cui Corte EDU, Grande Camera, 29/05/2019, Ilgar Mamadov c/ Azerbaigian, causa 15172/13, nonché della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con riferimento al diritto a un ricorso effettivo ad un giudice, consacrato anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: tra le altre, Corte giust. U.E. Grande Camera, 29/07/2019, Alekszij Torubarov c/ Bev& Idorlasi es Menekiiltiigyi Hivatal, C-556/17, punto 57).

Ne consegue che, laddove si tratti della demolizione (totale o parziale) di un edificio, sarà certamente necessario che essa avvenga rispettando sia le norme tecniche per l’esecuzione dei lavori a regola d’arte, sia le disposizioni di legge eventualmente applicabili con riguardo all’esecuzione dell’opera stessa.

Il risultato finale (sempre che sia materialmente possibile) dovrà, peraltro, comunque essere garantito al creditore procedente, anche se a tal fine risulti necessario porre in essere ulteriori opere o attività non specificamente indicate nel titolo, a prescindere dal costo e dall’entità delle stesse.

In caso di condanna alla parziale demolizione di un edificio finalizzata al rispetto delle distanze legali, dunque, laddove sia eventualmente necessario, per motivi tecnici o per rispettare le disposizioni di legge vigenti, procedere a porre in essere misure di adeguamento statico e/o di consolidamento delle strutture residue, tali misure dovranno essere individuate e attuate. Nei casi estremi (esclusivamente, peraltro, nell’ipotesi in cui non sia in alcun modo possibile operare diversamente), potrà eventualmente anche risultare necessario procedere addirittura alla totale demolizione, con parziale ricostruzione della struttura nei limiti indicati dal titolo.

Questa Corte ha peraltro già chiarito, in proposito, che, poiché l’esecuzione degli obblighi di fare o non fare deve svolgersi in perfetta aderenza, ma pur sempre nei limiti del dettato del titolo esecutivo, l’esecuzione forzata giudiziale non dovrà estendersi all’esecuzione di opere ulteriori non previste dal titolo stesso, anche se necessarie od opportune a tutela dei diritti dell’esecutato, ove questi abbia la facoltà e quindi l’onere di provvedervi direttamente (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 9280 del 11/04/2017, Rv. 643850 – 01). Resta ovviamente fermo che, nel caso in cui le opere ulteriori siano necessarie ai fini dell’ottenimento delle autorizzazioni amministrative per l’esecuzione dei lavori (e non semplicemente al fine della tutela dei diritti dell’esecutato, come nell’ipotesi di cui al precedente appena richiamato), esse dovranno comunque essere disposte e realizzate in sede di esecuzione.

La decisione impugnata non risulta conforme ai principi sin qui enunciati.

Il tribunale si è infatti limitato a dare atto che la parziale demolizione dell’edificio degli esecutati prevista dal titolo esecutivo avrebbe determinato una “inadeguatezza della struttura rimanente con la vigente normativa sismica”, senza affatto considerare la possibilità dell’esecuzione di opere di consolidamento della restante struttura o, comunque, della realizzazione di opere idonee a garantire la sicurezza sismica della stessa, al limite anche operando (laddove proprio non fosse possibile alcuna diversa alternativa) una totale demolizione e ricostruzione dei manufatti interessati, in conformità alla normativa antisismica e al dettato del titolo esecutivo.

Inoltre, la decisione risulta altresì priva di una motivazione effettiva e logicamente coerente, nella parte in cui attribuisce rilievo, al fine del rigetto dell’opposizione, alla circostanza della mancata prova della realizzazione, in epoca successiva alla formazione del titolo esecutivo, delle connessioni tra l’edificio oggetto della demolizione indicata nel titolo stesso e l’edificio adiacente, sempre di proprietà degli esecutati, senza neanche minimamente spiegare le ragioni per cui tale circostanza avrebbe rilievo nella presente controversia.

In proposito, è opportuno comunque osservare che, in realtà, se la realizzazione delle predette connessioni fosse stata precedente alla formazione del titolo, ogni questione risulterebbe coperta dal relativo giudicato sostanziale, mentre, se fosse stata posta in essere dai condannati successivamente, di certo non avrebbe potuto in alcun caso determinare l’ineseguibilità giuridica o materiale del comando contenuto nel titolo stesso. I motivi di ricorso in esame vanno quindi accolti, con conseguente cassazione della decisione impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (stante la natura meramente rescissoria del giudizio di opposizione agli atti esecutivi) è possibile decidere nel merito l’opposizione, con il suo accoglimento ed il conseguente annullamento dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione di chiusura anticipata della procedura esecutiva, oggetto di impugnazione.

3. Con il quinto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 612,615, e 624 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

La ricorrente sostiene che, essendo stata già proposta dagli esecutati una opposizione all’esecuzione, nel corso della procedura esecutiva, sulla base dell’assunta ineseguibilità del titolo esecutivo, e non essendo stata la stessa da essi coltivata con l’instaurazione del giudizio di merito, sulla questione di tale eseguibilità si sarebbe formata una sorta di preclusione e, quindi, essa non avrebbe potuto più essere valutata dal giudice dell’esecuzione.

La censura è infondata.

In caso di opposizione all’esecuzione, la mancata instaurazione del giudizio di merito, anche dopo il rigetto di una istanza di sospensione del processo esecutivo, non determina il giudicato sull’opposizione stessa, né altra preclusione processuale; laddove l’opposto intenda conseguire tale giudicato sull’esistenza del suo diritto di procedere ad esecuzione forzata, sarà suo interesse procedere alla predetta instaurazione del giudizio merito.

In caso contrario, le questioni a base dell’opposizione potranno essere successivamente riproposte dall’esecutato e comunque valutate liberamente dal giudice dell’esecuzione nell’esercizio dei poteri officiosi a questi spettanti.

4. Sono accolti il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso, che per il resto è rigettato.

La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, l’opposizione è accolta e il provvedimento del giudice dell’esecuzione impugnato è annullato.

Per le spese del giudizio si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso, che per il resto rigetta, cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione e annulla il provvedimento del giudice dell’esecuzione impugnato;

– condanna il controricorrente e gli intimati, in solido, a pagare le spese dell’intero giudizio in favore della ricorrente T.V., liquidandole in complessivi Euro 3.972,00, per il primo grado ed in complessivi Euro 7.800,00 per il giudizio di legittimità, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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