LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24146-2015 proposto da:
O.T., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELL’OROLOGIO 7, presso lo studio dell’avvocato CORRADO MARINELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURIZIO DI SALVO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 951/2015 della COMM.TRIB.REG.ABRUZZO SEZ.DIST.
di PESCARA, depositata il 22/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2021 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;
lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha chiesto che la Corte di Cassazione respinga il ricorso.
FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE p. 1. O.T. propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 951 del 22.9.2015, con la quale la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione per imposta proporzionale di registro ed imposta catastale in misura fissa notificatole dalla Agenzia delle Entrate sulla sentenza n. 830 del 13 novembre 2012; sentenza con la quale il Tribunale di Chieti aveva dichiarato lo scioglimento della comunione ereditaria tra le parti in causa rinviando ad altra sentenza per il trasferimento dei lotti già peritalmente individuati.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:
anche se facente indistinto richiamo all’art. 8 della tariffa prima parte allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, l’avviso opposto doveva ritenersi adeguatamente motivato, perché l’imposta di registro in esso liquidata (Euro 131.340,00) corrispondeva esattamente all’aliquota dell’1% sull’ammontare del valore dei beni caduti nella successione ereditaria (Euro 13.134.000,00), il che rendeva agevole per la contribuente specificamente risalire all’applicazione, da parte dell’ufficio, del suddetto art. 8, “lett. c)”;
corretta era l’applicazione della imposta di registro così stabilita in misura proporzionale dell’1%, dal momento che la sentenza del tribunale in questione, pur non trasferendo gli immobili caduti in successione, conteneva comunque l’accertamento di diritti a contenuto patrimoniale relativi allo scioglimento della comunione ereditaria, alla quota di legittima, alla riduzione e collazione dei beni ricevuti in donazione dagli eredi, alla divisione dei beni ereditari (disposta dal Tribunale secondo il progetto divisionale del CTU allo scopo designato).
Nessuna attività difensiva è stata posta in essere in questa sede dalla parte intimata Agenzia delle Entrate.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Fissato all’udienza pubblica del 17 giugno 2021, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, sopravvenuto art. 23, comma 8-bis, inserito dalla legge di conversione L. n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3 nonché della L. n. 241 del 1990, art. 21 septies. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato che, nelle more del giudizio di appello, era intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 2015 che aveva sancito l’illegittimità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito con modificazioni nella L. n. 44 del 2012, con conseguente decadenza dalla qualifica dirigenziale di una serie di funzionari amministrativi dell’agenzia delle entrate, tra i quali quelli che avevano sottoscritto (sia quale delegante sia quale delegato) l’avviso di liquidazione opposto, da ritenersi perciò invalido.
p. 2.2 Il motivo è infondato.
Successivamente al presente ricorso per cassazione è intervenuta la pronuncia di questa Corte di Cassazione n. 22810 del 9.11.2015 che ha specificamente affrontato – a seguito della su riportata pronuncia di incostituzionalità – il problema della validità degli atti tributari sottoscritti da funzionari dell’amministrazione finanziaria privi di qualifica dirigenziale, affermando il principio di diritto secondo cui: “In tema di accertamento tributario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito nella L. n. 44 del 2012”.
Si tratta di un principio successivamente più volte ribadito (da ultimo, Cass. n. 5177/20) e che gli argomenti in ricorso non sono in grado di sovvertire.
p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato che l’avviso opposto non indicava, tra le sette contemplate nell’art. 8 cit., la specifica ipotesi tariffaria in concreto applicata; il che lo rendeva indeterminato ed incomprensibile, anche in ragione del fatto che, nel corso del giudizio, più volte l’ufficio aveva dichiarato di intendere applicare l’aliquota propria degli atti giudiziari disponenti “trasferimenti immobiliari” (nella specie inesistenti) e che, inoltre, l’importo intimato poteva in effetti corrispondere sì all’1% dell’intero asse ereditario (lett. c), ma anche al 3% del valore di uno dei lotti componenti questo asse (4.378.000 Euro) ai sensi della lettera a) del medesimo art. 8.
p. 3.2 Il motivo è infondato.
In base alla previsione generale di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 l’atto dell’amministrazione finanziaria deve essere motivato alla stregua dei provvedimenti amministrativi, L. n. 241 del 1990, ex art. 3 indicando “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
Con specifico riferimento all’imposta di registro, viene stabilito (con riguardo alla tassazione di atti traslativi di beni immobili o aziende, ma in ragione di una regola di più ampia portata) che l’atto deve “indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato”, aggiungendosi che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale” (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 bis come introdotto dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 4).
Nell’adattare queste prescrizioni alla liquidazione dell’imposta di registro sugli atti giudiziari D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 37 questa corte di legittimità ha recentemente stabilito – con ciò raggiungendo un condivisibile punto di equilibrio, in chiave di effettività della tutela del contribuente, tra precedenti orientamenti interpretativi non del tutto univoci – che: “in tema di imposta di registro, l’avviso di liquidazione emesso D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 54, comma 5, in relazione ad un atto giudiziario deve contenere l’indicazione dell’imponibile, l’aliquota applicata e l’imposta liquidata, ma non deve necessariamente recare, in allegato, la sentenza o il suo contenuto essenziale, rispondendo l’obbligo di motivazione di cui all’art. 7 St. contr. all’esigenza di garantire il pieno ed immediato esercizio delle facoltà difensive del contribuente, senza costringerlo ad attività di ricerca, e non riguardando perciò atti o documenti da lui conosciuti o conoscibili, sempre che il contenuto delle informazioni fornite garantisca la conoscenza dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa fiscale e si tratti di informazioni facilmente intellegibili” (Cass. n. 239/21).
Nello stesso senso si è espressa Cass. n. 15895/21 la quale, nel ripercorrere anch’essa le diverse opzioni interpretative, ha individuato nell’autosufficienza (indipendentemente dalla materiale allegazione dell’atto giudiziario) il criterio discretivo fondamentale della adeguatezza motivazionale dell’avviso di liquidazione.
Tra la tesi della necessaria ed “esimente” allegazione all’avviso dell’atto giudiziario tassato (v. Cass. nn. 18532/10; 12468/15; 29402/17) e quella, opposta, della non necessità in ragione del fatto che il contribuente, in quanto parte del processo, sempre conosce o è comunque in grado di conoscerne l’esito e gli effetti anche fiscali (Cass. nn. 24098/14; 21713/20; 9344/21), si è addivenuti ad una soluzione intermedia che respinge l’assolutezza di entrambe, ed i cui passaggi argomentativi fondamentali possono così individuarsi:
– la natura di “imposta d’atto” attribuibile al registro (ancora da ultimo ribadita anche dal giudice delle leggi; v. C. Cost. nn. 158/20 e 39/21) rileva pure nell’ipotesi di liquidazione dell’imposta dovuta sugli atti giudiziari e, in particolare, sulle sentenze, nel qual caso per stabilire i presupposti e i criteri della tassazione (tanto ai fini della base imponibile D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 43, comma 4, quanto ai fini dell’aliquota applicabile ex art. 8 Tariffa, Prima Parte, all. al D.P.R. cit.) occorre fare riferimento al contenuto ed agli effetti che emergono dalla sentenza stessa, senza possibilità di utilizzare elementi ad essa estranei né di ricercare contenuti diversi da quelli su cui si sia formato (se si è formato) il giudicato (Cass. nn. 12013/20; 19247/2012; 23243/06);
– è indifferente, ai fini qui considerati, che gli elementi da porre a base della liquidazione dell’imposta di registro siano desumibili direttamente dalla motivazione dell’atto impositivo, ovvero indirettamente dal contenuto di un diverso atto da questo richiamato (seppure ad esso non allegato) allorché si tratti di un atto conosciuto o comunque agevolmente conoscibile dal contribuente; ciò perché l’obbligo di motivazione non può essere inteso in senso formalistico e va anch’esso reso coerente con il principio di collaborazione e buona fede nei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1), in modo tale che “l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di comunicare, in allegato all’avviso di liquidazione, un atto già noto al contribuente integrerebbe un adempimento superfluo ed ultroneo, che, da un lato, determinerebbe un eccessivo aggravamento degli oneri connessi all’esercizio della potestà impositiva e, dall’altro, non varrebbe a fornire elementi utili e significativi per la tutela del diritto di difesa nei confronti della pretesa tributaria” (Cass. n. 21713/2020 cit.);
– non è neppur detto, per contro, che l’obbligo motivazionale sia sempre e comunque soddisfatto con la sola allegazione all’avviso di liquidazione dell’atto giudiziario tassato, dovendosi anche in tal caso, ed in attuazione dello scopo pratico ed effettivo della motivazione, verificare caso per caso se il contribuente sia stato con ciò solo posto in condizione di prontamente (al fine di evitare attività di ricerca ed indagine erosive dei tempi liberi di impugnazione) ed esattamente (al fine di ben delimitare petitum e causa petendi dell’eventuale impugnazione) cogliere tutti gli elementi (fattuali, giuridici e matematici) del prelievo, tanto che: “la mera allegazione della sentenza civile può essere talora insufficiente ad integrare il contenuto dell’avviso di liquidazione, come nel caso in cui l’elevato grado di complessità delle statuizioni giudiziali non assicuri un’agevole comprensione in ordine alle modalità di individuazione della base imponibile ed ai criteri di calcolo dell’imposta” (Cass. n. 21713/20 cit.);
– ne segue che, allorquando il contribuente deduca il mancato assolvimento dell’obbligo motivazionale gravante sull’amministrazione finanziaria stante la affermata esistenza di ben specificati elementi di dubbio e di non comprensibilità della pretesa, la valutazione di fondatezza di questa deduzione non si esaurisce nel mero riscontro della formale allegazione all’avviso della sentenza assoggettata all’imposta di registro (trattandosi di atto che, per un verso, si presume conosciuto o comunque conoscibile dal contribuente e che, per altro verso, può essere caratterizzato, sotto il profilo del contenuto informativo che qui interessa, dai più vari ed anche complessi enunciati), richiedendo piuttosto una globale valutazione di sufficienza circa l’indicazione degli elementi essenziali (sia normativi sia applicativi, quali la base imponibile e l’aliquota applicata: Cass. n. 13402/20) sui quali la liquidazione dell’imposta si fonda; e ciò tanto nel caso in cui questi elementi siano immediatamente riportati nell’avviso impugnato, tanto in quello in cui essi siano desumibili dal provvedimento giudiziario richiamato nell’atto impositivo (anche se a quest’ultimo non materialmente annesso), purché in entrambi i casi si tratti di un corredo di informazioni che integri, anche per relationem, una motivazione dell’atto impositivo adeguata secondo i suddetti parametri cli sostanza ed effettività (Cass. n. 9344/21);
– nel caso di sentenze o lodi, in particolare, questa valutazione di congruità motivazionale non può prescindere dalla maggiore o minore complessità e varietà tipologica e di effetti delle statuizioni giudiziali tassate in ragione, a titolo meramente esemplificativo, del numero delle parti interessate dal giudizio; del numero, complessità, interdipendenza e connessione dei capi decisori e della loro specifica riferibilità ed inerenza (in caso di pluralità di parti) alla sfera giuridica del contribuente inciso quale parte in senso sostanziale del rapporto racchiuso nel giudizio e dei suoi effetti decisori; della eventuale sussistenza di fenomeni successori nel processo che possano aver determinato la scissione soggettiva tra parte del medesimo e parte del rapporto tributario da esso poi derivato; della più o meno immediata individuabilità in esse degli elementi economici rilevanti per l’imposizione; della presenza di dubbi interpretativi sulla reale portata della statuizione, così come desumibile dall’integrazione di motivazione e dispositivo; della pluralità delle voci tariffarie astrattamente applicabili agli effetti giuridici del decisum ecc…
Deriva quindi da questa impostazione, volta ad ampliare e non a restringere la tutela del contribuente, che il criterio discretivo non passa attraverso la formalità della “allegazione – non allegazione”, vista una varia e sfuggente fenomenologia che può presentare tanto avvisi adeguatamente motivati pur in assenza di allegazione dell’atto giudiziale in esso specificamente indicato, quanto avvisi non adeguatamente motivati pur in presenza di allegazione – bensì attraverso un controllo sostanziale ed effettivo (spettante al giudice di merito perché di natura prettamente fattuale) della concreta congruità motivazionale dell’avviso nella valutazione complessiva ed interdipendente del contenuto suo proprio (livello di specificazione ed identificazione del provvedimento giudiziale tassato, oltre che degli elementi essenziali e dei parametri di liquidazione dell’imposta applicati), degli elementi già noti al contribuente (in quanto parte del processo definitosi con quel provvedimento), del livello di maggiore o minore complessità ed intellegibilità di tale provvedimento in rapporto alla imposizione.
Riassumendo, in materia di imposta di registro su atti giudiziari definitori di procedimenti nei quali il contribuente sia stato parte, l’avviso di liquidazione può ritenersi adeguatamente motivato anche quando, riportando esso gli estremi identificativi essenziali sia dell’atto giudiziario medesimo (natura del provvedimento, ufficio emanante, estremi di ruolo e pubblicazione) sia dei criteri normativi e matematici di determinazione del dovuto (base imponibile, aliquota tariffaria applicata ed imposta), non alleghi l’atto in sé. Tuttavia, nel caso in cui il contribuente contesti in maniera specifica e circostanziata la sufficienza motivazionale dell’avviso e la comprensibilità della pretesa impositiva rinveniente da quelle sole indicazioni, il giudice di merito deve procedere al vaglio complessivo del livello motivazionale dell’avviso stesso, indipendentemente dalla allegazione o non allegazione ad esso dell’atto giudiziario tassato, anche in relazione agli eventuali elementi di complessità ed equivocità che possano in concreto emergere da quest’ultimo.
p. 3.3 Orbene, nel caso di specie l’avviso di liquidazione (riportato nel ricorso per cassazione) faceva richiamo alle norme applicate (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37, art. 8 Tariffa all.) ed agli estremi della sentenza civile da registrare (n. 830/2012 del 13/11/12 emessa dal Tribunale di Chieti), quantificando poi l’imposta con la seguente motivazione: “registro: trasferimento fabb. – 104T 131.340,00”).
Sebbene, l’ufficio abbia adottato una dicitura impropria (facente apparente richiamo alla tassazione del trasferimento di fabbricati, qui non rilevante) la contribuente era stata tuttavia messa ugualmente in condizione di immediatamente ed adeguatamente comprendere tutti gli elementi costitutivi della fattispecie impositiva, compresi quelli di quantificazione del dovuto.
In applicazione dei suddetti criteri interpretativi, va infatti osservato come – da un lato – la sentenza tassata non presentasse (né è stato dalla ricorrente dedotto alcunché sotto questo specifico profilo) alcun particolare elemento di complessità ricostruttiva (né per numero delle parti, né per tipologia dei capi decisori e neppure per individuazione degli effetti giuridici propri di questi ultimi) e come – dall’altro anche gli aspetti puramente matematici e di calcolo dell’imposta liquidata risultassero ictu oculi percepibili in termini di univoca riferibilità normativa; ciò per la sola ed elementare considerazione (già tale ritenuta dal giudice di merito) che l’importo richiesto costituiva esattamente 11% (art. 8 tariffa lett. c) cit.) della base imponibile costituita dal valore dell’asse ereditario da dividere, così come specificamente indicato nella sentenza (in recepimento della CTU) in euro 13.134.000,00.
In definitiva, e proprio in applicazione dei suddetti parametri di tutela sostanziale del contribuente, deve qui escludersi la dedotta insufficienza motivazionale dell’avviso di liquidazione, essendo da quest’ultimo immediatamente rilevabili gli elementi a questo fine necessari e sufficienti.
Di ciò vi è poi conferma ultima e definitiva nella circostanza che la contribuente si oppose all’avviso di liquidazione in questione formulando motivi di contestazione (insussistenza nella specie di trasferimenti immobiliari; applicazione di una diversa aliquota tariffaria) concernenti il merito della pretesa impositiva così come da lei perfettamente individuati, ed indipendentemente tanto dall’inesatta dicitura utilizzata dall’ufficio, tanto dalla teorica possibilità che l’importo richiesto potesse riferirsi non al valore dell’asse ereditario ma a quello dei singoli lotti peritalmente stabiliti.
p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37 ed art. 8 Tariffa cit.. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato che con la sentenza in oggetto (riportata in ricorso) il Tribunale non aveva disposto trasferimenti immobiliari né compiuto accertamenti di diritti a contenuto patrimoniale (art. 8, lett. c), limitandosi a dichiarare i presupposti della divisione ereditaria ed a demandare il trasferimento dei beni caduti in successione a successiva sentenza definitiva (effettivamente intervenuta: n. 99 del 2014); il che rendeva la sentenza in oggetto tassabile in misura fissa ai sensi art. 8, “lett. d)” (atti dell’autorità giudiziaria non recanti trasferimento, condanna o accertamento di diritti a contenuto patrimoniale).
p. 4.2 Il motivo è infondato.
Quanto al quadro normativo di riferimento, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34 prevede un regime dedicato alla imposizione di registro degli atti di divisione, stabilendo che venga tassata secondo il regime degli atti propriamente traslativi (vendita) la sola parte di assegnazione eccedente la quota spettante al condividente sulla massa comune.
In base al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37 gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono “anche parzialmente” il giudizio sono soggette all’imposta di registro “anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili” e salvo conguaglio all’esito definitivo della lite.
L’art. 8 della tariffa allegata stabilisce a sua volta l’aliquota applicabile all’ipotesi di atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscano “anche parzialmente” il giudizio, compresi tra gli altri gli atti giudiziari adottati “in sede di scioglimento di comunioni”.
La medesima disposizione tariffaria prevede poi un prelievo diverso a seconda che l’atto giudiziario abbia ad effetto il trasferimento o la costituzione di diritti reali immobiliari (con applicazione delle stesse imposte stabilite per i corrispondenti atti: lett. a)), che implichi “l’accertamento di diritti a contenuto patrimoniale” (aliquota dell’1%, lett. c)), ovvero ancora che non comporti trasferimento, condanna o accertamento di diritti a contenuto patrimoniale (misura fissa, lett. d)).
Orbene, con la sentenza non definitiva in oggetto il Tribunale di Chieti ha:
– dichiarato aperta la successione ab intestato di O.G.; accertato e dichiarato l’insussistenza della lesione delle quote di legittima;
– rigettato le domande di riduzione proposte in via principale dal convenuto ed in via subordinata dalle attrici;
– dichiarato non tenuti alla collazione gli eredi per esserne stati dispensati dal de cuius con gli atti di donazione richiamati dalle parti e non lesivi delle quote di legittima;
– dichiarato lo scioglimento della comunione ereditaria tra gli eredi O.;
– disposto procedersi alla divisione tra le parti in conformità al progetto divisionale elaborato dal CTU e dichiarato far parte integrante della sentenza.
E’ dunque evidente come la sentenza in oggetto, pur demandando ad una pronuncia successiva l’assegnazione dei lotti ed il trasferimento dei cespiti ereditari, anche di natura immobiliare, abbia tuttavia immediatamente definito aspetti controversi fondamentali della divisione incidenti su posizioni di diritto soggettivo di sicuro contenuto patrimoniale.
Come esattamente affermato dal giudice regionale, l’ipotesi tariffaria andava dunque stabilita in quella di cui alla lett. e (non d) come sostenuto dai contribuenti) dell’art. 8 cit., con aliquota proporzionale dell’1% sul valore dell’asse ereditario non ancora assegnato.
In tal senso, ed in fattispecie del tutto analoga, si è del resto già pronunciata questa Corte (v. Cass. n. 22148/17).
In ricorso va dunque respinto; nulla si provvede sulle spese stante la mancata costituzione in giudizio della parte intimata.
PQM
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021