LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21724/2014 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– ricorrente –
contro
Fallimento della ***** s.r.l. in liquidazione, in persona del curatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Giampiero Tasco, con domicilio eletto nello studio “Tasco & Associati”, sito in Roma, via Antonio Gramsci, 54;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 627/14/14, depositata il 4 febbraio 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 gennaio 2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.
RILEVATO
CHE:
– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 4 febbraio 2014, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della ***** s.r.l. per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l’anno 2004 e recuperata la maggiore i.v.a. accertata;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto impositivo l’Ufficio aveva contestato l’indebita detrazione dell’I.v.a. di rivalsa assolta sugli acconti relativi a due contratti preliminari di compravendita immobiliare, di cui era stato poi constatato dalle parti il mancato avveramento della pattuita condizione sospensiva avente ad oggetto la garanzia del rendimento minimo locativo, in ragione dell’inesistenza di tali operazioni;
– il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione provinciale, ha disatteso il gravame erariale, evidenziando la certezza dei costi, l’insorgenza del credito in contestazione a seguito del pagamento degli acconti pattuiti, la vantaggiosità, sotto il profilo economico, delle compravendite, in relazione all’idoneità a procurare alla promittente venditrice una ingente liquidità, e la assoggettabilità a tassazione dell’eventuale reddito realizzato dalla contribuente per effetto dell’operatività della convenuta clausola del cd. minimo rendimento garantito;
– il ricorso è affidato a due motivi;
– resiste con controricorso la ***** s.r.l., di cui, poi, è dichiarato il fallimento.
CONSIDERATO
CHE:
– deve preliminarmente affermarsi l’ammissibilità del ricorso, in quanto, diversamente da quanto eccepito dalla contribuente, il suo contenuto consente di cogliere il significato e la portata delle censure formulate; – ciò posto, con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per carenza di motivazione;
– nel merito, il motivo è infondato;
– come rilevato in precedenza la Commissione regionale ha escluso la correttezza del recupero erariale in considerazione del fatto che i costi in oggetto fossero certi, il pagamento degli acconti determinasse l’insorgenza del credito i.v.a., le operazioni, laddove perfezionatesi con la conclusione dei contratti definitivi di compravendita, sarebbero state’ economicamente vantaggiose e gli eventuali redditi di tali operazioni elevati a condizione sospensiva, poi non avveratasi – sarebbero stati assoggettati a tassazione;
– desume da tali circostanze che “l’accertamento dell’Ufficio manca dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza, basandosi su un criterio presuntivo che nega prescindere il diritto del contribuente impostare la sua strategia di impresa”;
– una siffatta argomentazione consente di individuare l’iter logico argomentativo seguito dal giudice e, per tale ragione, si sottrae alla critica di assenza;
– con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.P.R. ottobre 1972, n. 633, artt. 19, 21,26 e 54, e artt. 1417,2697 e 2729 c.c., per aver il giudice di appello, in presenza di una contestazione di inesistenza delle operazioni rilevate, ritenuto che fosse onere dell’Ufficio dimostrare l’effettività delle stesse;
– il motivo è fondato;
– ai sensi degli artt. 10, par. 2, e 17, paragrafo 1, della sesta direttiva 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, applicabile alle operazioni in esame ratione temporis, il diritto alla detrazione nasce quando l’imposta detraibile diventa esigibile, ossia all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi;
– da ciò consegue che il diritto alla detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi di cui trattasi, per cui in difetto della cessione effettiva dei beni o della prestazione dei servizi un siffatto diritto non può sorgere, non essendo sufficiente la sua indicazione della relativa fattura;
– ne consegue che il diritto alla detrazione è subordinato alla condizione che le operazioni corrispondenti siano state effettivamente realizzate, non ostandovi il principio della neutralità fiscale, il quale, costituendo la traduzione del principio generale della parità di trattamento, consente un trattamento differenziato degli operatori economici per l’assenza di operazioni imponibili rispetto a quelli che hanno posto in essere un’operazione imponibile effettivamente realizzata (cfr. Corte UE, 27 giugno 2018, SGI);
– può aggiungersi, inoltre, che il principio della neutralità fiscale non osta al diniego di detrarre l’I.v.a. a monte opposto al destinatario di una fattura, a causa dell’assenza di un’operazione imponibile, anche se, nell’avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente della fattura, l’I.v.a. dichiarata da quest’ultimo non è stata rettificata (Corte UE, 31 gennaio 2013, LVK);
– il diritto alla detrazione dell’I.v.a. richiede, dunque, quale sua condizione sostanziale, che l’operazione imponibile sia effettivamente realizzata, indipendentemente dagli scopi e dai risultati della stessa, per cui l’Amministrazione tributaria non è obbligata a procedere ad indagini per accertare la volontà del soggetto passivo, o a tener conto dell’intenzione di un operatore, diverso da tale soggetto passivo, che intervenga nella stessa catena di cessioni (cfr. Corte UE, 27 giugno 2018, SGI; Corte UE, 21 novembre 2013, Dixons Retail);
– qualora, come nel caso in esame, l’Amministrazione contesti l’inesistenza, sotto il profilo oggettivo, delle operazioni rilevate, è tenuta a dimostrare l’assunto, ma può assolvere tale onere probatorio anche attraverso l’indicazione di elementi indiziar’ (cfr. Cass., ord., 19 ottobre 2018, n. 26453; Cass., ord., 5 lugllio 2018, n. 17619);
– a tal fine, devono considerarsi utili le circostanze contestate dall’Ufficio relative ai legami tra le società coinvolte nelle operazioni, appartenenti al medesimo gruppo, alla stipula di analoghi contratti preliminari, sottoposti alla medesima condizione non realizzatasi, anche nel periodo di imposta precedente e successivo rispetto a quello in. esame, nonché nel versamento di un importo a titolo di acconto particolarmente rilevante, in relazione al prezzo pattuito per l’operazione e tenuto conto della prassi del settore;
– considerato assolto un siffatto onere, spetta al contribuente di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate e, a tal fine, inidonea è sia l’emissione delle relative fatture, sia la sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (cfr., sul punto, Cass., ord., 5 luglio 2018, n. 17619);
– orbene, la Commissione regionale, nel ritenere che, pur in presenza di una contestazione di inesistenza delle operazioni rilevate, sussistesse il diritto della contribuente alla detrazione dell’I.v.a. di rivalsa assolta sugli acconti versati, in ragione dell’effettivo pagamento degli stessi, non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, in quanto ha omesso i dovuti accertamenti in ordine all’effettività delle operazioni;
– deve, inoltre, evidenziarsi che benché, di regola, il fatto generatore dell’I.v.a. si verifica, e l’imposta diviene esigibile, nel momento in cui viene effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi, l’art. 65, direttiva 2006/112, prevede, a titolo di deroga, che nel caso di pagamento di acconti anteriore alla cessione di beni o alla prestazione di servizi, l’imposta divenga esigibile all’atto della riscossione, a concorrenza dell’importo riscosso;
– tuttavia, il diritto a detrazione dell’IVA riguardante il versamento di un acconto può essere negato al suddetto acquirente qualora si accerti, alla luce di elementi oggettivi, che, al momento del versamento dell’acconto, egli sapeva o non poteva ragionevolmente ignorare che la realizzazione di tale cessione era incerta (cfr. Corte UE, 31 maggio 2018, KollroB);
– la sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.
P.Q.M.
la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata con rifermento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021