Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26354 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2492/2015 R.G. proposto da:

Seconda s.n.c. di B.R. e V.V., in persona del legale rappresentante p.t., corrente in *****, nonché B.R. e V.V., entrambi in qualità di soci della Seconda s.n.c., tutti con il prof. avv. Massimo Basilavecchia e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Quirino D’Angelo, in Roma, via Paolo Emilio n. 34;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo, L’Aquila, n. 613/05/14, pronunciata il 17 aprile 2014 e depositata il 03 giugno 2014, non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 giugno 2021 dal Cons. Marcello M. Fracanzani.

RILEVATO

1. La società contribuente, operante nel settore della ristorazione, era oggetto di una verifica fiscale per l’anno d’imposta 2006, che si concludeva con la notifica, in data 31.08.2009, di un avviso di accertamento. L’Amministrazione finanziaria, dopo aver invitato la società contribuente a presentare la documentazione presso i suoi uffici, accertava maggiori ricavi, con conseguente recupero a tassazione ai fini Irap e IVA, oltre interessi e sanzioni.

2. La successiva istanza di adesione non sortiva esito alcuno, sicché la contribuente adiva il giudice di prossimità svolgendo plurime censure. Adivano la Commissione tributaria provinciale anche i due soci, esperendo distinti ricorsi avverso gli avvisi di accertamento ai fini Irpef, loro notificati per trasparenza in relazione al medesimo periodo d’imposta e motivati per relationem rispetto a quello promosso nell’interesse della società. Costituitosi l’Ufficio, la commissione di prossimità riuniva i ricorsi e li accoglieva, annullando gli atti impositivi.

3. La decisione di primo grado, impugnata dall’Amministrazione finanziaria, veniva riformata dalla Commissione tributaria regionale, previa dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi (denominati appelli per mero refuso) promossi in primo grado dai soci.

4. Ricorrono congiuntamente per la cassazione della sentenza la società contribuente e i soci, affidandosi a quattro motivi di ricorso, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso.

In prossimità dell’udienza le parti private hanno depositato memoria illustrativa delle loro posizioni.

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente – L. n. 212 del 2000 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In particolare, i contribuenti protestano l’illegittimità dell’impugnata sentenza in parte qua, ove ha respinto l’eccezione secondo cui l’atto impositivo avrebbe potuto essere emesso solo decorso il termine dilatorio di sessanta giorni e, quindi, solo dopo aver assicurato il rispetto delle garanzie del contraddittorio previsto dall’art. 12 dello Statuto del contribuente.

Il motivo è infondato.

2.Occorre premettere che l’accertamento oggetto del giudizio non trae origine da controlli, ispezioni, verifiche od accessi eseguiti presso la società contribuente. E’ incontestato tra le parti, infatti, che l’amministrazione finanziaria abbia notificato alla società un invito alla produzione delle scritture contabili relative all’anno 2006 e che la contribuente vi abbia successivamente provveduto, producendo la documentazione richiesta presso gli uffici dell’amministrazione finanziaria. La fattispecie in esame è pertanto riconducibile al cd. accertamento “a tavolino”, ossia eseguito senza essere accompagnato da una attività dell’amministrazione finanziaria di accesso nella sfera diretta del contribuente.

2.1 Tanto premesso, l’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente, invocato dalla difesa della parte ricorrente, si applica ai soli casi di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali” del contribuente: l’emissione di un processo verbale di contestazione non è normativamente prevista in caso di accertamento a tavolino come nel caso in esame. Trattasi, peraltro, di principio assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che, con la sentenza n. 24823/2015 resa a Sezioni Unite, ha affermato che “le garanzie fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali dove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente”, così trovando avvallo e conferma anche in recenti arresti (cfr. Cass., V, n. 9725 del 2021; Cass., V, n. 766 del 2020). Il motivo è quindi infondato.

3. Con il secondo motivo si profila doglianza ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione della L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 4-bis, nel testo ratione temporis vigente. In buona sostanza la parte ricorrente critica il capo della sentenza ove ha ritenuto ammissibile l’attività di accertamento anche nella fattispecie in esame, caratterizzata dalla conformità per adeguamento della dichiarazione agli studi di settore.

Il motivo è fondato.

4. In merito alla portata preclusiva degli studi di settore che parte ricorrente desume dalla L. n. 146 del 1998, citato art. 10, comma 4-bis, occorre precisare che “questa Corte (Cass. civ., 4 luglio 2019, n. 17990) proprio con riferimento al regime intertemporale in esame, ha precisato che il divieto di effettuare le rettifiche sulla base di presunzioni semplici, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, ultimo periodo, nei confronti dei contribuenti che non superino la soglia del quaranta per cento di scostamento tra i ricavi o i compensi non dichiarati e quelli dichiarati, previsto dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 4-bis (comma inserito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 17), ha avuto efficacia sin dall’anno d’imposta 2006, atteso che della stessa L. n. 296 del 2006, art. 1, il comma 14 nel disporre l’applicazione, per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2006, degli “specifici indicatori di normalità economica”, stabilisce, al suo ultimo periodo, che “si applicano le disposizioni di cui alla medesima L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 4-bis”; in particolare, ai fini di una ricognizione completa della normativa, deve considerarsi anche quanto disposto dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 14; infatti, solo i “valori di coerenza” di cui alla L. n. 146 del 1998, art. 10-bis, comma 2, come inserito dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 13, risultanti da specifici indicatori definiti da ciascuno studio dovevano essere applicati a decorrere dal 1 gennaio 2007. Nell’anno 2006, invece, non essendo ancora presenti i “valori di coerenza”, dovevano essere applicati gli “indicatori di normalità economica”. Gli indicatori di normalità economica dovevano essere utilizzati proprio nel periodo transitorio relativo all’anno di imposta 2006; la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 14, ha, infatti, previsto nella formulazione vigente ratione temporis, che “fino alla elaborazione e revisione degli studi di settore previsti dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-bis, convertito con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni, che tengono conto degli indicatori di coerenza di cui alla L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10-bis, comma 2, introdotto dal comma 13, con effetto dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2006, ai sensi dell’art. 1 del regolamento di cui al D.P.R. 31 maggio 1999, n. 195, si tiene altresì conto di specifici indicatori di normalità economica, di significativa rilevanza, idonei alla individuazione di ricavi, compensi e corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta”; sicché, per l’anno d’imposta al 31 dicembre 2006, individuato come una sorta di periodo transitorio, devono essere applicati, non gli “indici di coerenza” di cui alla L. n. 146 del 1998, art. 10-bis, comma 2, come inserito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 13, ma “specifici indicatori di normalità economica”; alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 14, dedicato agli indicatori di normalità economica, per il periodo di imposta fino al 31 dicembre 2006, poi, si aggiunge che “si applicano le disposizioni di cui alla medesima legge, art. 10, comma 4-bis”. Ciò significa che la rilevanza della soglia del 40% dello scosta mento tra l’ammontare delle attività non dichiarate ed i ricavi o compensi dichiarati trova applicazione sin dall’anno di imposta 2006; infine, va evidenziato che la L. n. 148 del 1998, art. 10, comma 4-bis è stato abrogato dal D.L. n. 201 del 2011, art. 10, comma 12, ma il successivo comma 13 ha conservato l’efficacia della norma (abrogata) per gli anni di imposta anteriori al 2011 (“Per le attività di accertamento effettuate in relazione alle annualità antecedenti il 2011 continua ad applicarsi quanto previsto dalla L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, comma 4-bis e art. 10-ter”), sicché, poiché l’anno in contestazione è il 2006, trova applicazione l’originario disposto della L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 4-bis” (Cfr. Cass. V, n. 17990/2019). Va dunque ammessa l’applicabilità della norma in commento alla fattispecie in esame.

4.1 Tanto premesso, nell’anno 2006 la contribuente ha dichiarato ricavi per Euro 19.591,00, mentre il totale dei ricavi non dichiarati ammontava ad Euro 55.839,45, così come risulta dall’avviso di accertamento. Ne consegue che il 40% del totale di ricavi non dichiarati corrisponde ad Euro 22.335,78. A ciò aggiungasi che non è stata superata la soglia di attività non dichiarata pari ad Euro 50.000,00. La contribuente, quindi, nell’anno 2006, non poteva essere assoggettato ad accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 lett. d) in ragione della ricordata portata preclusiva di cui alla L. n. 146 del 1998, citato art. 10), comma 4-bis.

Il motivo merita pertanto accoglimento.

5.Con il terzo motivo i ricorrenti avanzano censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denunziando la nullità della sentenza per inesistente e contraddittoria motivazione nonché per avere deciso, in violazione dell’art. 115 c.p.c., ignorando circostanze di fatto non contestate e accertate dalla stessa sentenza. In particolare, la parte ricorrente si duole che la CTR non abbia esaminato realmente le doglianze svolte in relazione al merito dell’accertamento e per non aver la sentenza sufficientemente motivato nel rigettare la censura circa l’illegittima ricostruzione del reddito operata dai verificatori e ripresa dall’Ufficio.

6.Il terzo motivo, che la parte ricorrente ha svolto in via subordinata rispetto al secondo, resta assorbito dall’accoglimento di quest’ultimo.

7. Con il quarto e ultimo motivo la parte ricorrente prospetta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 14, dell’art. 2909 c.c. con riferimento all’art. 5 del TUIR e al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. In particolare, impugna il capo della sentenza con cui la CTR ha dichiarato inammissibili i ricorsi dei soci perché privi di motivi autonomi e strutturati con il mero rinvio alle motivazioni del ricorso proposto dalla società. Afferma altresì che la mancata cassazione della sentenza anche nei confronti dei soci violerebbe il principio di unitarietà dell’accertamento nelle società soggette al principio di trasparenza ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 e art. 5 TUIR, come peraltro stabilito da questa Corte con la sentenza resa a Sezioni Unite n. 14815/2008.

Il motivo è fondato.

8. Come correttamente rilevato dalla parte ricorrente, con la sentenza a S.U. n. 14815/2008 questa Corte ha affermato che “L’unicità dell’atto di accertamento (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40) e la consequenzialità del riparto tra i soci (art. 5 TUIR), costituiscono il presupposto unitario, che determina di per sé la situazione tipica del litisconsorzio necessario originario, anche se all’attività di accertamento non sia seguita la notifica dei relativi avvisi a tutti i soggetti interessati (società e soci)… (…)… In sintesi, l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società, sancito con sentenza passata in giudicato, spiega i suoi effetti a favore di tutti i soci, i quali possono opporlo alla amministrazione finanziaria, che è stata parte in causa nel relativo processo, esercitando quindi, senza limitazioni di sorta il diritto di difesa”.

8.1 Trattasi di principi, peraltro, che questo Giudice di legittimità ha condiviso e ribadito anche di recente, e da cui non v’e’ motivo di discostarsi, secondo cui “Ciò premesso è corretto, come sopra precisato, ritenere che il venir meno dell’avviso di accertamento o la riduzione della pretesa creditoria nei confronti della società di persone, comporta l’annullamento o la corrispondente diminuzione della pretesa fiscale anche della cartella di pagamento emessa nei confronti della socia illimitatamente responsabile. Va tuttavia sottolineato che secondo l’orientamento espresso da questa corte sezioni unite (sentenza 4 giugno 2008, n. 14815) solo la sentenza passata in giudicato in ordine all’avviso di accertamento emesso nei confronti della società di persone spiega efficacia anche nei confronti dei soci che, pur avendo partecipato al giudizio in qualità di litisconsorti necessari, non hanno impugnato l’avviso di accertamento emesso nei loro confronti. In particolare la Suprema Corte, nella predetta pronuncia ha affermato che “quanto agli accertamenti divenuti definitivi perché non impugnati, vale la regola già ricordata della non autonoma impugnabilità (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 6) e della opponibilità all’amministrazione finanziaria del giudicato favorevole al contribuente, che si formi nel giudizio nel quale lo stesso intervenga come litisconsorte, con il solo limite della irripetibilità di quanto pagato” (cfr. Cass., VI, n. 9860/2021).

Il motivo è pertanto fondato.

Peraltro, non essendo necessario eseguire ulteriori accertamenti di fatto, l’accoglimento del ricorso, nei limiti di cui in motivazione, comporta l’accoglimento del ricorso originario promosso dalla società che, per effetto del giudicato, esplica i suoi effetti anche nei confronti dei soci, con conseguente annullamento di tutti gli atti impositivi.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e il quarto e dichiara assorbito il terzo e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi originari della società contribuente e dei soci.

Compensa fra le parti le spese per i gradi di merito, condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dei ricorrenti, che liquida in Euro quattromilacento/00, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15%, Iva e Cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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