LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –
Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2060/2015 R.G. proposto da:
D.C.M., D.C.L., D.C.V., elettivamente domiciliati in Roma, viale Pasteur n. 77, presso lo studio dell’Avv. Gianluigi Lallini, dal quale sono rappresentati e difesi, giusta procura a margine del ricorso introduttivo;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 6510/2013 della Commissione tributaria centrale – sezione di Roma, depositata il 30 dicembre 2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 giugno 2021 dal Consigliere Raffaele Rossi.
RILEVATO
che:
1. L’Agenzia delle Entrate (illo tempore denominata Ufficio delle Imposte dirette) di Roma procedeva, ai sensi del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 120 al recupero a tassazione della imposta di ricchezza mobile e dell’imposta complementare sui redditi non corrisposte dalla società ” D.C.A. e F.lli s.r.l.” nelle annualità 1972 e 1973.
A seguito di iscrizione a ruolo per definitività degli accertamenti, D.C.A. adiva gli organi della giustizia tributaria avverso l’avviso di mora notificatogli nel novembre 1984.
Il ricorso del contribuente, rigettato dalla Commissione tributaria di primo grado ed accolto dalla Commissione tributaria di secondo grado, è stato disatteso, in conseguenza di gravame interposto dall’A.F., dalla Commissione tributaria centrale – sezione di Roma, con la sentenza in epigrafe indicata.
Ricorrono per cassazione uno actu D.C.M., L. e V., figli di D.C.A., deceduto lite pendente, affidandosi ad unico motivo; resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate. Considerato che:
4. Con l’unico motivo parte ricorrente denuncia: violazione dell’art. 100 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per manifesta carenza di legittimazione passiva di D.C.A.; nullità della sentenza e/o del procedimento (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per inesistenza del soggetto giuridico destinatario della pronuncia; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
5. Preliminarmente, la descritta tecnica espositiva non preclude il vaglio delle doglianze sollevate.
Come chiarito da questa Corte nella composizione più tipica di organo di nomofilachia, “la circostanza che l’unico motivo di ricorso sia articolato in più profili, ciascuno dei quali avrebbe ben potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non è certo, di per sé sola, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione. Per rendere ammissibile il ricorso è sufficiente che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (Cass., Sez. U., 06/05/2015, n. 9100; conf. Cass. 17/03/2017, n. 7009; Cass. 11/04/2018, n. 8915).
Nel caso in esame, la censura sviluppata appare chiaramente individuabile: essa sviluppa, riconducendola sotto le differenti ragioni dell’impugnazione di legittimità, la questione della inesistenza del soggetto destinatario dell’accertamento fiscale, ovvero la società ” D.C.A. e fratelli s.r.l.”, che si assume invece essere stata erroneamente ritenuta dalla Commissione tributaria centrale sulla scorta di una non corretta lettura dei documenti acquisiti al processo, nonché della conseguente carenza di legittimazione passiva di D.C.A., promotore in proprio dell’impugnativa giurisdizionale.
6. Il motivo e’, tuttavia, per altra ragione inammissibile.
Il rigetto della domanda del contribuente nella sentenza qui impugnata si fonda su una duplice ratio decidendi, avendo il giudice di prossimità argomentato il proprio convincimento:
– sulla non estraneità, nel periodo d’imposta controverso, di D.C.A. alla società ” D.C.A. e F.lli s.r.l.”;
– sulla definitività (per rigetto di impugnativa giurisdizionale) dell’avviso di accertamento prodromico all’avviso di mora contestato.
Avverso questa seconda motivazione parte ricorrente non ha rivolto alcuna, neppur generica, censura.
Ed è noto che qualora la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (principio di diritto affermato ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c. da Cass. 03/11/2011, n. 22753, ribadito, ex plurimis, da Cass. 21/06/2017, n. 15350; Cass. 29/05/2015, n. 11169; Cass. 29/03/2013, n. 7931; Cass. 28/01/2013, n. 1891; Cass. 23/01/2013, n. 1610).
7. Il regolamento delle spese di lite segue la soccombenza.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 22 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021