LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO A. Maria – Presidente –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –
Dott. CASTORINA R. Maria – Consigliere –
Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 28320 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:
Seven Wonders s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, e Serra Di Mare s.r.l,. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Giuseppe Falcone e dall’Avv.to Edoardo Ferragina, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’ultimo difensore in Roma, Via Federico Cesi n. 21;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 633/04/2015, depositata in data 28 aprile 2015, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 luglio 2021 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera Maria Giulia.
RILEVATO
che:
– con sentenza n. 633/04/2015, depositatà in data 28 aprile 2015, non notificata, la Commissione tributarla regionale della Calabria aveva rigettato l’appello proposto da Seven Wonders s.r.l. e da Serra Di Mare s.r.l., in persona dei rispettivi rappresentati legali pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 397/2/14 della Commissione tributaria provinciale di Catanzaro che aveva rigettato i ricorsi proposti dalle suddette società avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), aveva contestato nei confronti di queste ultime, ai fini Ires, Irap e Iva, oltre sanzioni, per l’anno 2007, tra l’altro, maggiori ricavi in relazione a diverse cessioni di immobili, effettuate nell’anno di imposta verificato, a prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato, tenuto conto delle quotazioni Omi, dei valore commerciale dei beni in base a stime peritali di istituti di credito nonché di quello di altri immobili della medesima tipologia, risultante anche da annunci pubblicitari del settore;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che, con riguardo alla rettifica del valore di compravendita degli immobili da parte dell’Amministrazione finanziaria, correttamente la CTP aveva ritenuto legittimo l’accertamento, avendo l’Ufficio ricostruito i maggiori ricavi alla luce della emersa incongruenza del prezzo dichiarato dalle società nella cessione degli immobili rispetto, non solo alle quotazioni OMI, ma a valore degli stessi beni emergente dalle stime peritali degli istituti di credito, da quello di immobili della stessa tipologia ceduti negli anni successivi, ovvero risultante da depliant e annunci pubblicitari del settore nonché in base alle incongruenze relative alla cessione di immobili dichiarati non ultimati e al prezzo minimo di unità immobiliari del tipo di quelle da stimare indicato in un accordo scritto di mandato a vendere concluso dalle contribuenti con altra società; 2) i singoli punti della motivazione dell’avviso di accertamento non erano stati “analiticamente compulsati” dalle contribuenti né erano stati offerti elementi di prova atti a contrastare gli stessi; 3) l’accertamento era stato basato sulla ricognizione di prezzi di confronto riguardanti terreni con caratteristiche analoghe a quelli ceduti che, in ragione della loro rappresentatività, costituivano idonei parametri di determinazione del valore da attribuire ai beni oggetto di stima; il prezzo di mercato poteva, infatti, essere tratto da fonti diverse quali cessioni volontarie, perizie giudiziarie, accertamenti di valore di natura fiscale, pubblicazioni specializzate etc. purché gli immobili ad oggetto presentassero carattere di omogeneità con quelli da stimare;
– avverso la suddetta sentenza, Seven Wonders s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, e Serra Di Mare s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, hanno proposto ricorso per cassazione affidato quattro motivi cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;
– le ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380bis1 c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo, le ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, art. 24 Cost., per avere CTR omesso alcuna motivazione o comunque fornito una motivazione fittizia o apparente in relazione alla questione centrale dell’accertamento relativa alle “modalità di determinazione del valore degli immobili da parte dell’Amministrazione finanziaria” dedotta dalle contribuenti nel terzo motivo di appello (corrispondente alla motivo di cui alla lett. d) del ricorso introduttivo); in particolare, ad avviso delle ricorrenti, la CTR avrebbe apoditticamente confermato la ricostruzione dei maggiori ricavi operata dall’Ufficio esclusivamente sulla base del valore degli immobili ceduti risultante dalla “perizia” dell’istituto di credito mutuante, ancorché – come contestato nei gradi di merito – non fosse stato indicato alcun metodo di calcolo per pervenire alla somma di Euro 1.097.491, 73 ripresa a tassazione a titolo di maggiori ricavi;
– il motivo si profila inammissibile;
– in primo luogo la censura relativa all’assunto vizio di error in procedendo di nullità della sentenza impugnata per omessa o apparente motivazione, in quanto riferita ad un singolo motivo di appello (il terzo) in ordine al quale il giudice di appello “non avrebbe in sostanza dato alcuna risposta” (pag. 4 del ricorso), avrebbe dovuto essere formulata quale vizio di omessa pronuncia e, quindi, nei termini prospettati, non risponde all’archetipo dei vizio denunciato le ricorrenti;
– in ogni caso, il motivo di censura non coglie la ratio decidendi, avendo la CTR, lungi dal ritenere legittimo l’accertamento in questione, in quanto fondato esclusivamente sulla incongruenza del valore degli immobili dichiarato dalle società negli atti di compravendita rispetto alle stime peritali degli istituti di credito, chiaramente evidenziato come la ricostruzione reddituale operata dall’Ufficio fosse stata fondata su plurimi elementi presuntivi stimati gravi, precisi e concordanti (rilevanti differenze tra i prezzi di vendita dichiarati negli atti pubblici di compravendita e le quotazioni OMI; incongruenza del valore degli immobili dichiarato negli atti pubblici di compravendita rispetto alle stime peritali degli istituti di credito; incongruenza del prezzo di compravendita degli immobili ceduti nel 2007 rispetto a quello di immobili delle medesime tipologie ceduti negli anni successivi; esistenza di depliant pubblicitari illustrativi e annunci pubblicitari riportanti prezzi di cessione superiori a quelli dichiarati; incongruenze relative alla cessione di immobili dichiarati non ultimati e prezzo minimo di unità immobiliari del tipo di quelle da stimare indicato in un accordo scritto di mandato a vendere concluso dalle contribuenti con altra società) che complessivamente considerati – non essendo stati neanche “analiticamente compulsati” dalle contribuenti – legittimavano la ripresa a tassazione dei maggiori ricavi; ciò, in conformità con l’orientamento di questa Corte secondo cui in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo – stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea – ha eliminato la presunzione relativa di corrispondenza dei corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, conv. in L. n. 248 del 2006, così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass. n. 23379 del 2019; n. 9474 del 2017; Cass. n. 26487 del 2016; n. 24054 del 2014; Cass. n. 11439 del 2018; n. 2155 del 25/1/2019; Cass., sez.. 5, n. 25523 del 2020); da qui anche l’inammissibilità- in quanto in contrasto con l’accertamento in punto di fatto da parte della CTR della ricostruzione reddituale operata dall’Ufficio sulla base di plurimi elementi presuntivi- di quanto eccepito dalle ricorrenti nella memoria illustrativa in ordine alla assunta determinazione del maggior valore degli immobili in questione da parte non solo dei verificatori ma dell’Ufficio in base all’unico elemento della “perizia” degli istituti di credito mutuanti;
– con il secondo motivo, le ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 42, del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 per avere la CTR erroneamente valutato i fatti di causa invece che, alla luce del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 42, in base al citato D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 (norme attinenti all’imposta di registro), riconducendo la ricostruzione reddituale operata dall’Ufficio al metodo c.d. sintetico-comparativo, incentrato sulla “ricognizione di prezzi storici e certi” e richiamando impropriamente la sentenza n. 25709/2011 in tema di indennità di espropriazione per pubblica utilità;
– il mezzo è inammissibile per difetto di rilevanza e, dunque, di interesse; ciò in quanto, ancorché in motivazione siano richiamati D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 (in base alla quale il potere di rettifica dei valori dichiarati negli atti era impedito qualora gli stessi fossero risultati pari o superiori a quel minimum determinato dalla capitalizzazione delle rendite catastali – che si otteneva moltiplicando per specifici coefficienti fissi di legge il valore catastale – con l’unico limite dato dall’eventuale individuazione, da parte dell’Ufficio, di corrispettivi non dichiarati), dalla sentenza impugnata si evince chiaramente che la CTR ha ritenuto legittima la ricostruzione (analitico-induttiva) dei maggiori ricavi operata dall’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in base a plurimi elementi presuntivi- stimati gravi, precisi e concordanti-dell’inattendibilità dei prezzi di vendita dichiarati negli atti di cessione degli immobili; peraltro anche il richiamo al c.d. metodo sintetico-comparativo (cui fa riferimento Cass. n. 25709/2011) è effettuato solo per avvalorare il carattere di “rappresentatività” dell’elemento presuntivo costituito dai prezzi di confronto riguardanti terreni con caratteristiche analoghe a quelli da stimare;
– con il terzo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 111 Cost., non avendo la CTR utilizzato, secondo l’art. 115 c.p.c., le prove presuntive offerte dall’Agenzia (presunzioni semplici di fonte bancaria) né di esse avendo esaminato i fatti noti e certi;
– il motivo è inammissibile;
– in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.. La doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è poi ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30 settembre 2020);
– con il quarto motivo, si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto legittimo l’accertamento dell’Ufficio basato esclusivamente sulla stima peritale degli immobili effettuata dalla banca mutuante – in assenza della indicazione del metodo di calcolo utilizzato per pervenire alla somma di Euro 1.097.491,73, reculArata a titolo di maggiori ricavi; con ciò non individuando fatti noti e certi necessari per configurare le presunzioni semplici;
– il motivo è inammissibile;
– premesso che “in sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3541 del 13/02/2020), nella specie il motivo non coglie la ratio decidendi, non avendo la CTR ritenuto legittimo l’accertamento in quanto basato esclusivamente sulla stima peritale dell’istituto di credito, bensì su plurimi elementi presuntivi dei maggiori ricavi derivanti dalla cessione dei beni immobili;
– in conclusione, il ricorso va rigettato;
– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
PQM
la Corte: rigetta il ricorso; condanna le società ricorrenti al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021
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