LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –
Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4359/2018 proposto da:
Comune di Concordia sulla Secchia (MO), con sede in Concordia sulla Secchia (MO), alla Piazza della Repubblica n. 19 (C.F. e P.IVA:
*****), in persona de Sindaco pro tempore P.L., nato a Concordia sulla Secchia il ***** (C.F.: *****), elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Monte Zebio n. 37, presso lo studio degli Avv.ti Marcello Furitano (C.F.: *****) e Cecilia Furitano (C.F.: *****), dai quali è rappresentato e difeso, unitamente all’Avv. Marco Zanasi del Foro di Modena (C.F.:
*****), in virtù di procura in calce al ricorso e giusta Giunta Comunale Delib. 21 settembre 2017, n. 79;
– ricorrente –
contro
Caseificio sociale La Cappelletto di San Possidonio – Società
Cooperativa Agricola (C.F.: *****), con sede in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore D.L., nato a Schivenoglia (MN) il *****, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del controricorso, dal Prof. Avv. Riccardo Vianello (C.F.: *****) e dal Prof. Avv. Giuseppe Marini (C.F.: *****) ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla Via di Villa Sacchetti n. 9;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2216/01/2017 emessa dalla CTR Emilia Romagna in data 07/07/2017 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Penta Andrea.
RITENUTO IN FATTO
Il Caseificio Sociale San Paolo s.c.a.r.l. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento n. *****, notificato il 25.07.2008 ed emesso dal Comune di Concordia sul secchia, in riferimento al mancato pagamento dell’ICI 2006, per Euro 15.686,21, oltre sanzioni ed interessi, su alcuni fabbricati iscritti in catasto, non appartenenti alle cat. A6 e/o D10.
La ricorrente lamentava il fatto che, essendo una società cooperativa agricola, anche i fabbricati usati per lo svolgimento di tale attività erano da considerarsi rurali e, quindi, non soggetti ad imposizione ICI.
La Commissione tributaria adita accoglieva il ricorso, condannando il Comune al rimborso delle spese di giudizio, ritenendo che i fabbricati oggetto del contenzioso fossero da considerare rurali e, quindi, esclusi dall’ICI per mancanza del presupposto impositivo.
La Commissione Regionale, con sentenza 26.13.2011 del 17.01.2011, confermava la pronuncia della Commissione provinciale, in quanto, a suo parere, il D.L. n. 207 del 2008, art. 23 (convertito dalla L. n. 14 del 2009) ha statuito che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono requisiti di ruralità di cui al D.L. n. 557 del 1993, art. 9 (convertito dalla L. n. 133 del 1994). La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 426/2014, accoglieva il ricorso del Comune e cassava la sentenza della Commissione Regionale, rinviandola ad altra sezione della stessa Commissione Regionale, che avrebbe dovuto decidere anche in ordine alla validità della domanda di variazione catastale. La Corte affermava che, qualora l’immobile sia iscritto in una categoria catastale diversa da quelle A6 o D10, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI.
Riassumeva il processo la contribuente, puntualizzando che in data 29.09.2011 aveva presentato la domanda di variazione catastale prevista dal D.L. n. 70 del 2011, art. 7, commi 2 bis, 2 ter e 2 quater, al fine di variare la categoria catastale in A6 e D10 dei fabbricati oggetto dell’avviso di accertamento impugnato, e, stante la regolarità della suddetta domanda, chiedeva la conferma della ruralità degli immobili oggetto del contenzioso, con conseguente annullamento dell’avviso di accertamento.
Resisteva il Comune con proprie controdeduzioni.
Con sentenza del 7.7.2017, la CTR Emilia Romagna accoglieva l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:
1) preliminarmente, occorreva dare atto che il Comune aveva confermato la ruralità per due immobili oggetto dell’avviso impugnato;
2) avuto riguardo ai restanti quattro immobili, dalle visure catastali allegate dal Comune e dal prospetto allegato alla memoria depositata dalla contribuente si evinceva che gli stessi erano stati soppressi ed erano confluiti, per il mappale ***** sub *****, nei mappali ***** sub ***** e ***** e mappali ***** sub ***** e *****, per il mappale ***** sub *****, nei mappali ***** sub *****, *****, ***** e *****, per il mappale ***** sub *****, nei mappali ***** sub *****, *****, ***** e ***** e, per il mappale ***** sub *****, nei mappali ***** sub *****, *****, ***** e *****;
3) da ciò conseguiva che la richiesta fatta dalla contribuente con l’apposita domanda di variazione copriva la retroattività dell’esenzione ICI per l’anno 2006 anche per i quattro immobili rimasti oggetto del contenzioso, in quanto dalla visura catastale emergeva, tramite l’apposita annotazione evidenziata negli immobili di cui ai subalterni soppressi, che erano confluiti in altri mappali e subalterni che risultavano essere stati oggetto della richiesta di variazione di cui al D.L. n. 70 del 2011, art. 7;
4) più precisamente, il mappale 87 sub 4 era confluito nel mappale ***** sub ***** e *****, mentre gli altri tre immobili di cui ai mappali ***** sub *****, ***** e ***** erano confluiti nel mappale 89 sub 8.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Concordia sulla Secchia, sulla base di tre motivi.
Il Caseificio sociale La Cappelletta di San Possidonio ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale il Comune ha depositato memoria illustrativa.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2, D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis (conv. in L. n. 106 del 2011), D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 14 bis (conv. in L. n. 214 del 2011), D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5 ter (conv. in L. n. 124 del 2013) e D.M. 26 luglio 2012, art. 1, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che difettava, con riferimento a quattro su sei, l’inserimento dell’annotazione della domanda di variazione nelle visure catastali sia per i fabbricati soppressi ed oggetto di accertamento sia per i “nuovi” fabbricati originati dalla loro soppressione.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per omissione di pronuncia ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver la CTR omesso di verificare, come invece richiestogli dalla S.C. con l’ordinanza di rirnessione, se la richiesta di ruralità fosse stata espressamente annotata negli atti catastali.
2.1. I motivi meritano di essere trattati congiuntamente, essendo strettamente connessi, e si rivelano, per quanto di ragione, fondati.
Nel caso di specie, non è in discussione il principio, ormai consolidatosi, secondo cui è decisiva la classificazione catastale come elemento determinante per escludere, o affermare, l’assoggettabilità ad Ici di un fabbricato.
E’ necessario, invece, verificare se gli immobili in esame siano stati inseriti in catasto nelle categorie A/6 o D/10, tenendo presente che, qualora un fabbricato sia stato catastalmente classificato come “rurale” (categoria A/6 per le unità abitative, categoria D/10 per gli immobili strumentali alle attività agricole) resta precluso ogni accertamento, in funzione della pretesa assoggettabilità ad ICI del fabbricato in questione, che non sia connesso ad una specifica impugnazione della classificazione catastale riconosciuta nei riguardi dell’amministrazione competente.
Orbene, nel caso di specie, risulta dalla sentenza qui impugnata e dagli stralci della documentazione prodotta riprodotti nel controricorso (cfr. pagg. 16-18) che il mappale ***** sub ***** e’, a seguito di soppressione, confluito nei mappali ***** sub ***** e ***** e ***** sub ***** e *****, laddove i mappali ***** sub *****, ***** e ***** sono confluiti, sempre a seguito di soppressione, nei mappali ***** sub *****, *****, *****, ***** e *****.
Sempre dalla documentazione prodotta dalla contribuente si evince che la domanda di ruralità è stata presentata per le particelle ***** sub *****, ***** e ***** (pur evidenziandosi che quest’ultima già era iscritta catastalmente nella categoria rurale D/10) e ***** sub *****.
Ragion per cui, anche a voler accedere alla tesi della contribuente secondo cui la detta domanda giammai avrebbe potuto riguardare i fabbricati medio tempore soppressi, non vi è chi non veda che comunque non sarebbe stata formalizzata per tutti i fabbricati “nuovi” in quel momento censiti al catasto edilizio urbano. In particolare, l’istanza di ruralità non avrebbe avuto ad oggetto i mappali ***** sub ***** e ***** sub *****, *****, ***** e *****.
Nessun rilievo assume, poi, l’istanza di rettifica del classamento avanzata dalla resistente e volta ad ottenere la categoria D/10. Ritenere, infatti, sufficiente un’istanza, rispetto alla quale non sarebbe neanche necessaria alcuna valutazione da parte dell’Amministrazione a ciò preposta, contrasta con l’orientamento consolidato di questa Corte che fonda il riconoscimento dell’esenzione in esame sul dato formale del classamento (recte, dell’annotazione del classamento) dell’immobile nelle indicate categorie essendo, all’uopo, insufficiente anche la mera autocertificazione del contribuente D.L. n. 70 del 2011, ex art. 7, comma 2 bis.
Infine, l’esenzione dal pagamento dell’imposta richiesta dal Comune di Concordia sulla Secchia non può discendere dall’istanza formulata dalla resistente ai sensi del citato D.L. n. 70 del 2011, art. 7, in quanto il relativo procedimento, volto al riconoscimento del carattere rurale degli immobili, presuppone, oltre che il loro mancato accatastamento nelle rispettive categorie A/6 e D/10 (laddove il fabbricato ***** sub ***** già godeva dell’accatastamento nella categoria D/10 in esito alla procedura DOCFA, ragion per cui la richiesta di variazione catastale non aveva ragion d’essere e non trova applicazione lo ius superveniens di cui al D.L. n. 70 del 2011), l’avvenuta conclusione del procedimento conseguente alla domanda in tal modo proposta dalla contribuente.
Invero, in tema di ICI, ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale del cespite come rurale, con il conseguente onere di impugnazione del diverso classamento da parte di chi richieda il riconoscimento del requisito di ruralità, né può ritenersi sufficiente a determinare la variazione catastale, nei limiti del quinquennio anteriore, la mera autocertificazione secondo le modalità di cui al D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2-bis, conv., con modif., dalla L. n. 106 del 2011, e delle norme successive, se il relativo procedimento non si sia concluso con la relativa annotazione in atti, atteso che, come sottolineato dalla Corte costituzionale (ord. n. 115 del 2015), il quadro normativo, ivi comprese le disposizioni regolamentari di cui al D.M. 26 luglio 2012, porta ad escludere l’automaticità del riconoscimento della ruralità per effetto della mera autocertificazione (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26617 del 09/11/2017; conf. Sez. 5, Sentenza n. 3226 del 10/02/2021). In definitiva, ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione (cfr. Cass. n. 28135/2019). In tal senso il D.M. 26 luglio 2012 ha regolamentato le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione ICI, sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme.
I giudici tributari emiliani hanno omesso di considerare che il procedimento di “variazione” della ruralità è stato regolamentato con D.M. 26 luglio 2012, che prevede, tra l’altro, l’annotazione della ruralità (verifica che questa Corte, con l’ordinanza di rimessione n. 426 del 2014, aveva espressamente demandato alla CTR Emilia Romagna: “Gli accertamenti di fatto relativi alla presentazione di detta domanda, alla relativa data, all’accoglimento della stessa con l’annotazione della conseguente variazione catastale sono preclusi in questa sede di legittimità”), nella specie non sussistente. In particolare, ai nostri fini, non è sufficiente, come invece sostenuto dai giudici tributari di secondo grado, che dalle visure catastali emerga che i subalterni soppressi siano confluiti in altri mappali e subalterni e che questi ultimi (peraltro, solo in minima parte, come si è visto) siano stati oggetto della richiesta di variazione di cui alla L. n. 70 del 2011, art. 7, essendo altresì necessario che la detta richiesta sia stata accolta e, per l’effetto, annotata come tale negli atti catastali.
Da ultimo, alla luce della ricostruzione in precedenza operata, nessun rilievo può riconoscersi allo stralcio della visura storica effettuato dalla contribuente a pagina 20 del controricorso, riferendosi lo stesso ad un mappale (quello iscritto al foglio *****, p.lla ***** sub *****) in relazione al quale è venuta meno ogni contestazione (avendo lo stesso Comune riconosciuto che la relativa visura catastale riporta l’annotazione sulla “dichiarata sussistenza dei requisiti di ruralità”; cfr. pag. 21 del controricorso).
Va, dunque, ribadito il principio (cfr., in tal senso, Cass. nn. 7930/2016 e 24947/2016) per cui per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è dirimente l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative, o D/10 per gli immobili strumentali).
3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la CTR omesso di esaminare il fatto che i “nuovi” fabbricati erano non solo catastalmente, ma anche strutturalmente diversi da quelli soppressi ed oggetto di accertamento.
3.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento dei primi due.
4. In definitiva, il ricorso merita accoglimento con riferimento ai primi due motivi, fatta eccezione per quanto concerne i due fabbricati censiti al foglio *****, mappale *****, subb ***** (cat. D/1) e 7 (cat. C/1), in relazione ai quali non vi è contestazione in ordine alla loro natura rurale (cfr. pagg. 4 della sentenza qui impugnata e 21 del ricorso).
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata nei predetti limiti e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel senso di accogliere parzialmente il ricorso originario della contribuente limitatamente ai menzionati fabbricati.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, laddove quelle relative ai gradi di merito possono essere compensate, in considerazione della parziale fondatezza delle ragioni addotte dalla contribuente ed essendosi l’orientamento sulla questione principale consolidato solo a partire dal 2016.
PQM
La Corte:
– accoglie, nei limiti di cui in motivazione, i primi due motivi, dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie parzialmente il ricorso originario della contribuente limitatamente ai fabbricati censiti al foglio *****, mappale *****, subb ***** (cat. D/1) e7 (cat. C/1);
– compensa le spese processuali relative ai gradi di merito;
– condanna la resistente al rimborso, in favore della ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge (se dovuti).
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da remoto, il 15 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021