LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
A.F., in proprio e quale socio ill. resp. e l.r. di ***** S.N.C., rappr. e dif. dall’avv. Caro Borromeo, carloborromeo.ordineavvocatiroma.org elettivamente domiciliato presso lo studio in Roma, via Nizza n. 45, come da procura in calce all’atto;
– ricorrente –
contro
BRERAMODE DI G.P. & C. S.N.C., in persona del l.r.p.t.
G.P., rappr. e difesa dall’avv. Francesco Catricalà, avv.fcatricala-legalmail.it, elettivamente domiciliato presso lo studio, in Roma, via Vincenzo Tangorra n. 12, come da procura a margine dell’atto;
– controricorrente –
FALLIMENTO DI ***** S.N.C. e dei suoi soci ill. resp. in persona del cur.fall. p.t.;
AM.FA.;
– intimati –
per la cassazione della sentenza App. Roma 18.6.2018, n. 4164/2018, in R.G. n. 51829/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2021 dal Presidente relatore Dott. Ferro Massimo.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. F.A., in proprio e quale socio ill. resp. e L.R. di ***** S.N.C., impugna la sentenza App. Roma 18.6.2018, n. 4164/2018, in R.G. n. 51829/2017 che ne ha rigettato il reclamo, interposto ex art. 18 L. Fall., avverso la sentenza Trib. Roma 25.7.2017, n. 628/2017 dichiarativa del fallimento della società oltre al proprio e a quello di Am.Fa., su istanza del BRERAMODE S.N.C. DI G.P. & C.;
2. ha premesso la corte, per quanto qui d’interesse, che dagli atti del procedimento risultava il superamento dei limiti nominalistici di cui alla L. Fall., art. 15, u.c., afferente a debiti scaduti e non pagati, in quanto: a) il titolo di debito azionato dall’istante, una cambiale emessa per debito commerciale accertato per 29.861 Euro, doveva essere aumentato degli interessi, così ammontando ad Euro 34.000; b) la situazione debitoria risultante dalla relazione ex art. 33 L. Fall. del curatore evidenziava, all’epoca della sentenza di fallimento, l’esecuzione immobiliare sul bene eretto a sede della società e la negatività del pignoramento mobiliare da questa subito, la cessazione dell’attività dal 2008, l’ammasso fuori locale degli strumenti di lavoro, crediti tributari, bancari e di fornitori per oltre 300.000,00 Euro, constatazione che rendeva irrilevante l’accertamento dell’esatto ammontare del credito vantato (per cessione dall’originario titolare) dall’istante Breramode, comunque ammessa al passivo per 34.335,81 Euro;
3. il ricorso è su un motivo e ad esso resiste con controricorso il già creditore istante;
4. con il ricorso si deduce la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 112 c.p.c., avendo la corte omesso di pronunciare sul mancato raggiungimento della soglia di 30.000 Euro, condizione di fallibilità esclusa per via dell’importo di Euro 29.861 del credito, originariamente in capo a E-Distrib sarl e da essa ceduto alla finale istante per il fallimento; il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. il ricorso è inammissibile, per plurime ragioni; la corte invero ha formulato una duplicità di rationes decidendi, laddove, pur dopo il richiamo – ritenuto bastevole – di una pluralità di dati indicatori dell’esposizione debitoria finale della società, quali tratti dall’acquisizione al giudizio della relazione ex art. 33 L. Fall. del curatore, ha comunque riscontrato che anche il credito contestato, prospettato dall’istante per la dichiarazione di fallimento, superava la soglia di 30.000 Euro, nella considerazione datane nell’ambito della verifica del passivo, ove era stato ammesso, appunto, per Euro 34.335,81;
2. per tale parte, non sussiste dunque il vizio di omessa pronuncia, al di là dell’inversione logica con cui pure la questione appare essere stata trattata rispetto all’insolvenza, altro requisito autonomamente accertato in via pregiudiziale; va invero ribadito che non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in sede d’impugnazione “qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione”, nella specie di non accoglimento del reclamo, “deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione” (Cass. 24953/2020);
3. peraltro, dal riepilogo delle attività difensive svolte dal ricorrente in sede di reclamo (in prospettiva di corretta autosufficienza), così come dal confronto con le circostanze esposte in controricorso, risulta che la controversia sulla effettiva entità del debito scaduto ed esigibile, quale condizione di fallibilità ai sensi della L. Fall., art. 15, u.c., sia stata avanzata per la prima volta nella sola sede giudiziale del procedimento per la dichiarazione di fallimento, come ben presente anche al giudice del reclamo; né dunque in sede di precetto (ove il credito azionato era stato richiesto per la dichiarata somma cartolare di 34.000Euro), né nell’ambito dei contesti esecutivi promossi, con quel titolo, a carico della società, è stato richiamato, dal ricorso, l’essere già insorto un contenzioso con il medesimo creditore, cui solo nella finale sede prefallimentare è stata opposta la tesi della improduttività degli interessi, da un canto e la scissione del credito fra la sua parte commerciale (di poco inferiore alla soglia dei 30.000 Euro e non disconosciuta) e l’importo cambiario (maggiore e contestato, per la differenza); in tal senso, anche il ricorrente, ad invocazione della dedotta improduttività degli interessi, non ha richiamato alcun patto autonomo rispetto a quello sottostante alle originarie forniture, né uno nuovo con il finale creditore, cessionario del credito, limitandosi a postulare la cristallizzazione del debito alla somma commerciale effettivamente riconosciuta per via della mancanza di fatture ad hoc ovvero additive richieste, secondo un apprezzamento di fatti che, rispetto alla pur estrema sintesi adottata dalla corte per esaminare la portata del credito globale ultimo, si pone come mera lettura alternativa del materiale probatorio, come tale inammissibile;
4. in questo senso, per un verso, può essere confermato che il giudice di merito – mediante il riferimento alla verifica del passivo – si è inteso esprimere sull’ammontare aggiornato del credito azionato, in ossequio al principio interamente devolutivo del giudizio di reclamo, così ricostruendone l’importo, seguendo il principio per cui “ai fini del computo del limite minimo di fallibilità previsto dalla L. Fall., art. 15, u.c., deve aversi riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati accertati non già alla data della proposizione dell’istanza di fallimento, ma a quella in cui il tribunale decide sulla stessa (Cass. 10952/2015); per altro verso, come detto, si tratta di un apprezzamento demandato alle prerogative del giudice di merito, dovendosi ripetere che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. s.u. 8053/2014);
5. la stessa questione, poi, non appare affrontabile nemmeno in un’ottica di ipotetica omissione di pronuncia, poiché infondata e dunque alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a essi; anche una volta eventualmente riscontrata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Corte deve infatti omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo sia infondata (Cass. 15112/2013, Cass. 28663/2013); e nella specie non va invero trascurata la circostanza della sussistenza provata in sede di reclamo, e tra gli altri, di debiti tributari, per importo che non viene contestato dal ricorrente e rispetto ai quali, una volta accertati dall’amministrazione mediante l’atto impositivo conosciuto dal destinatario (e finanche prima di tale momento ove il presupposto risulti dalla dichiarazione del contribuente), va ribadito che essi sono da considerare giustappunto scaduti; né assume rilevanza se il carico fiscale sia stato o meno trasmesso all’ente deputato a riscuoterlo (Cass.28192/2020);
il ricorso è dunque inammissibile, conseguendone, oltre alla condanna alle spese regolata secondo il principio della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo, la dichiarazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 7.600 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al rimborso in via forfettaria nella misura del 15% e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021