LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10689/2015 proposto da:
T.D., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO RUGOLO;
– ricorrente –
contro
ASSESSORATO REGIONALE DEI BENI CULTURALI E DELL’IDENTITA’ SICILIANA –
REGIONE SICILIANA (prima Assessorato dei Beni Culturali ed Ambientali e della P.I. della Regione Siciliana), SOPRINTENDENZA PER I BENI CULTURALI ED AMBIENTALI DI MESSINA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, entrambi rappresentati e difesi ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 62C/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 16/04/2014 R.G.N. 1285/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/04/2021 del Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;
il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, visto il D.L. 28 ottobre 2020. n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 16 aprile 2014, la Corte d’Appello di Messina, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Messina, rigettava la domanda proposta da T.D. nei confronti dell’Assessorato Beni culturali e ambientali e pubblica istruzione della Regione siciliana – Dipartimento regionale dei beni culturali, ambientali ed educazione permanente e della Soprintendenza per i beni culturali di Messina, alle cui dipendenze il T. operava con qualifica di Assistente tecnico incaricato della progettazione e della direzione lavori in alcuni cantieri per la riparazione e manutenzione di edifici di valore artistico e culturale, avente ad oggetto l’accertamento dell’esercizio di fatto delle superiori mansioni di dirigente tecnico e la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle relative differenze retributive;
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non aver il T. provato di aver svolto mansioni superiori rispetto a quelle da svolgere secondo i compiti assegnatigli in forza del suo profilo di inquadramento, atteso che, trattandosi di opere il cui valore rientrava comunque nei limiti e nelle possibilità proprie dell’Ufficio tecnico di appartenenza, risultava incluso nei compiti dell’assistente tecnico addetto all’ufficio l’elaborare e firmare progetti ed assumere la direzione lavori;
Per la cassazione di tale decisione ricorre il T., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resistono, con controricorso, le Amministrazioni intimate;
Il Pubblico Ministero ha depositato la propria requisitoria concludendo per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, posto sotto la rubrica “Omessa insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia – Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e quindi di ultra petizione e quindi violazione o falsa applicazione di norme di diritto” il ricorrente imputa alla Corte territoriale di essere incorsa in un vizio di ultrapetizione, con violazione del giudicato interno formatosi in ordine all’accertamento del primo giudice circa l’effettivo svolgimento di fatto delle superiori mansioni, per aver la Corte territoriale stessa pronunciato sul punto in difetto di impugnazione da parte delle Amministrazioni convenute, per di più con motivazione carente, inidonea a confutare le argomentate contrarie ragioni del primo giudice;
Con il secondo motivo, genericamente denunciando la violazione di norme di diritto, il ricorrente lamenta come erroneo il pronunciamento della Corte territoriale anche perché in contrasto con la L.R. n. 116 del 1980, recante “norme sulla struttura, il funzionamento e l’organico del personale dell’amministrazione dei beni culturali in Sicilia” nella parte in cui, all’art. 52, demanda alla professione di architetto “il restauro ed il ripristino degli edifici contemplati dalla legge per le antichità e le belle arti” e comunque con la disciplina ivi posta in materia di classificazione del personale;
Con il terzo motivo la parimenti generica deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto è prospettata con riguardo al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5 e, più in generale, alla complessiva disciplina risultante dalla sentenza resa dal primo giudice e da questi posta a fondamento della decisione di accoglimento della domanda;
Tutti gli esposti motivi devono ritenersi inammissibili non provandosi il ricorrente neppure a confutare l’argomentazione di fondo su cui la Corte territoriale basa il proprio pronunciamento, data dall’essere risultato accertato, alla stregua della disciplina in materia di classificazione del personale, come i compiti eseguiti, che il ricorrente assume essere riconducibili alle superiori mansioni di dirigente tecnico, rientrino, viceversa, in ragione della natura dei lavori affidati, nella competenza dell’assistente tecnico, in effetti abilitato, in base alla declaratoria richiamata nel ricorso dallo stesso ricorrente, a provvedere agli atti di sua competenza in relazione alla qualifica professionale posseduta, accertamento che la Corte territoriale era chiamata a svolgere, avendo l’Amministrazione allora appellante, nel confutare la spettanza delle differenze retributiva riconosciute in prime cure, censurato l’accertamento ivi compiuto circa l’effettivo svolgimento di fatto delle rivendicate mansioni superiori, conseguendone pertanto l’inconsistenza di quanto qui denunciato circa la ricorrenza del vizio di ultrapetizione, la configurabilità di un giudicato interno (primo motivo) la violazione delle declaratorie contrattuali afferenti alle professionalità tecniche impiegate dall’amministrazione (secondo motivo) e la violazione della disciplina in materia di riconoscimento del trattamento economico corrispondente alle superiori mansioni svolte (terzo motivo);
Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile;
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese dl presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021