Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.26459 del 29/09/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3219-2020 proposto da:

D.M., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMILIANO VIVENZIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 3478/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/08/2019 R.G.N. 62/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/04/2021 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

RILEVATO

CHE:

D.M. cittadino della *****, chiedeva alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale:

a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

la Commissione Territoriale rigettava l’istanza;

avverso tale provvedimento proponeva ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che ne disponeva il rigetto;

tale provvedimento appellato dal soccombente, è stato confermato dalla Corte distrettuale;

a fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale evidenziava l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto che il richiedente aveva lasciato il proprio paese per motivi personali, che in base alle informazioni reperibili sul sito *****, negli anni 2017-2018 non erano emerse situazioni di violenza generalizzata, trattandosi di un Paese democratico in cui si erano svolte libere elezioni; quanto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, non sussisteva alcuna condizione di vulnerabilità né di alcuna significativa integrazione in Italia che ne giustificasse il rilascio;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione con ricorso fondato su due motivi;

il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea.

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 9, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; si critica la statuizione con la quale è stata rigettata la domanda di protezione sussidiaria sulla base di informazioni di ordine generale relative a periodo anteriore di due anni alla decisione;

2. il secondo motivo attiene alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19;

si deduce la carenza della decisione di ogni valutazione in ordine ad una possibile violazione dei diritti fondamentali del soggetto, così come di un accertamento in ordine alla sussistenza di condizioni idonee a garantire al richiedente rimpatriato, una esistenza libera e dignitosa nel proprio Paese;

ci si duole altresì che il giudice del gravame abbia negato rilevanza al radicamento nel paese di accoglienza realizzato mediante l’avvio di un percorso lavorativo;

3. il ricorso, nei suoi articolati profili, è inammissibile;

secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’ inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (vedi Cass. 29/11/2016 n. 24298, Cass. 5/8/2020 n. 16700);

Nello specifico il ricorso non si conforma agli enunciati dicta, esprimendo un riferimento del tutto generico alle fonti informative che si ritiene siano state ingiustamente tralasciate dai giudici di seconda istanza; così come si tacciono del tutto i riferimenti alla effettiva situazione di vulnerabilità che avrebbero giustificato l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria;

sotto tale ultimo profilo, le generiche considerazioni in ordine alla sussistenza di una condizione di effettivo radicamento in Italia, si risolvono nella mera prospettazione di una tesi di natura meramente contrappositiva rispetto a quella argomentata dai giudici del gravame, insuscettibile di scrutinio in questa sede di legittimità;

il ricorso va pertanto, dichiarato inammissibile;

nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede;

si dà infine atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, quanto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ivi previsto, se dovuto giacché le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale non sono annoverate tra quelle esentate dal contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 9 e 10 (vedi ex aliis, Cass. 8/2/2017 n. 3305).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472