Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26463 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25269-2019 proposto da:

S.M., (alias S.M.), rappresentato e difeso dall’Avvocato CATERINA BOZZOLI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in PADOVA, VIA TRIESTE 49;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5898/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA depositato il 17/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5/11/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

CENNI DEL FATTO S.M. (alias S.M.) proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il solo riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il ricorrente aveva dichiarato di essere nato e vissuto a *****, nella regione di *****, nel sud del *****; di non essere sposato e di non avere figli; che il padre era morto nel ***** in un attentato al mercato ed egli era rimasto a vivere lì, pur non andando d’accordo con la moglie del padre; che il ***** vi era stato un altro attentato al mercato di *****, che aveva distrutto tutte le merci, per cui il ricorrente era andato via e aveva raggiunto *****, dove aveva vissuto per due anni prima di lasciare il Paese l’1.11.2015, non avendo più nessuno e non guadagnando abbastanza.

Con decreto n. 5898/2019, depositato in data 17.7.2019, il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso, confermando la non credibilità del racconto, già evidenziata dalla Commissione Territoriale. Osservava il Giudice non sussistevano i presupposti per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, in quanto dai fatti narrati non emergeva una condizione del ricorrente connotata da una particolare vulnerabilità e ciò, prima di tutto, per il fatto che il racconto non era ritenuto credibile. Ne’ aveva rilievo l’asserito svolgimento di un’attività lavorativa a tempo determinato a carattere stagionale, non potendo configurarsi un effettivo inserimento sociale del richiedente in Italia.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione S.M. sulla base di due motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo è articolato in tre diversi profili, in cui il richiedente lamenta contestualmente la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, lett. a), punto 2 della Convenzione di Ginevra e D.Lgs n. 251 del 2007, art. 8”; la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. art. 3, comma 3. Mancanza o apparenza della motivazione”; e la “Nullità del decreto per violazione degli artt. 112,113,156 c.p.c.; D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27”. Il ricorrente narra che era stato costretto a fuggire perché in ***** non aveva più nessuno e che l’unica sua fonte di sostentamento era stata bruciata durante l’attentato al mercato. Alcune decisioni della giurisprudenza di merito hanno riconosciuto ai cittadini del ***** lo status di rifugiati, vista la situazione di instabilità politica e di conflitto interno del Paese o, quantomeno, la protezione umanitaria, rispetto alla quale il ricorrente ha acquisito dignità e stabilità in Italia con un inserimento graduale e positivo nel mondo del lavoro e del volontariato, elementi non valutati dal Tribunale.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Preliminarmente va rilevato che il ricorrente formula un primo motivo, articolato su tre diversi profili, attraverso i quali ottenere il richiesto riconoscimento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, che costituisce il petitum del ricorso.

Nel ricorso per cassazione, è inammissibile la contemporanea mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto (che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma); della nullità del giudizio per vizio in procedendo ovvero per vizi di attività derivanti dalla violazione di norme processuali (sia quelle che riguardano la sentenza come atto e la sostituzione del giudice, sia quelle che attengono al procedimento in senso stretto: cfr. Cass. n. 26286 del 2014), o infine delle norme e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione (Cass. n. 8368 del 2020).

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018; Cass. n. 19443 del 2011).

1.3. – Orbene, va rilevato in particolare che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa (come già detto), l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie). Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrati attraverso una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

1.4. – Inoltre, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. Se è vero che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014).

Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015).

2. – Il ricorrente formula altresì un secondo, per vero alquanto criptico, motivo (non ben ricavabile anche nel contesto di una carente affermazione della specificità: pag. 10 del ricorso), in ragione del quale il medesimo “invita la Suprema Corte ad accogliere, quantomeno, la (reiezione della) domanda di protezione umanitaria, considerando soprattutto il fatto che il ricorrente ha lasciato il paese nel 2015, dopo che era rimasto solo senza possibilità di lavorare, e senza una casa né parenti su cui contare, circostanza questa minimamente considerata dal Giudice di prime cure mentre in Italia ha svolto per un lungo periodo volontariato ed ha altresì trovato lavoro”.

Va, infatti, rilevato che – anche a prescindere dall’evidente errore sotteso alla richiesta del richiedente di accogliere, quantomeno, la “reiezione della” domanda di protezione umanitaria – ai fini del riconoscimento di tale protezione, ove sia ritenuta credibile la situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità esposta dalla richiedente, il confronto tra il grado di integrazione effettiva raggiunto nel nostro paese e la situazione oggettiva del paese di origine deve essere effettuato secondo il principio di “comparazione attenuata”, nel senso che quanto più intensa è la vulnerabilità accertata in giudizio, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis (Cass. n. 1104 del 2020; Cass. n. 20894 del 2020). Viceversa, “nel caso in esame non è possibile ritenere che sussista una posizione di vulnerabilità del ricorrente, e non solo in quanto (…) il Collegio non reputa credibile il racconto effettuato dal ricorrente, ma anche perché non è stata anche solo allegata” (v. rigetto impugnato: pag. 8).

2.1. – In conclusione, le censure, nel loro complesso, si risolvono nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018). Compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della decisione e se il ragionamento probatorio, reso manifesto nella motivazione del provvedimento, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 9275 del 2018).

2. – Il ricorso è inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno poiché il controricorso non possiede i requisiti previsti dall’art. 370 c.p.c. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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