LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25331-2019 proposto da:
A.J., rappresentato e difeso dagli avvocati Rocco Barbato, e Massimiliano Cornacchione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Venezia, depositata il 22/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/11/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
A.J., cittadino del *****, ricorre per cassazione avverso il diniego del tribunale che ha respinto il di lui ricorso nei confronti del diniego dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;
a sostegno delle domande egli ha allegato di essere nato e vissuto a *****, di essere scappato dal suo paese a seguito della lite scoppiata, dopo la morte del padre, con i membri della famiglia paterna, i quali rivendicavano la proprietà del terreno da lui coltivato e lasciatogli dal padre; il ricorrente sosteneva che i membri della famiglia paterna si erano recati più volte presso di lui per rivendicare la proprietà del terreno fino a che lo avevano picchiato e che nonostante egli si fosse rifugiato presso un amico in un’altra città era venuto a sapere che lo stavano cercando e non sentendosi al sicuro) era partito alla volta della Libia; il tribunale ha confermato l’insussistenza nella vicenda narrata degli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato così come di quelli per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a e b; ha inoltre escluso sulla scorta delle informazioni raccolte presso le fonti accreditate la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel paese di provenienza e, infine 11 il tribunale ha escluso la protezione umanitaria per insussistenza di una specifica ragione di vulnerabilità anche con riguardo alle condizioni vissute in Libia; la cassazione del decreto impugnato è chiesta sulla base di 6 motivi;
– nessuna attività difensiva è stata svolta dall’intimato Ministero dell’Interno.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del decreto per insussistenza dei requisiti posti dall’art. 132 c.p.c. e dall’art. 118disp. att. c.p.c. e dall’art. 24 Cost., sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta della motivazione e/o motivazione apparente in ordine al giudizio di non credibilità del narrato e comunque per violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 9, comma 2;
– in particolare, il richiedente assume l’erroneo e contraddittorio rigetto della domanda di ricorso allo status di rifugiato fondato sulla imminente (Ndr: testo originale non comprensibile) e quello della protezione sussidiaria sulla scorta del giudizio di non credibilità del narrato;
– con il secondo motivo si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., per nullità del provvedimento e per motivazione apparente con riferimento alla mancanza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato e al giudizio di irrilevanza del racconto per assenza di persecuzioni; si denuncia altresì la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 9, comma 2, nonché dell’art. 10 della direttiva 2013/32/UE per avere il tribunale erroneamente omesso l’esame dei requisiti necessari al riconoscimento della protezione richiesta;
– i primi due motivi sono strettamente connessi riguardando la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e possono, pertanto, essere esaminati congiuntamente;
– le due censure sono inammissibili perché contestano in termini generali ed astratti il diniego dello status di rifugiato che, viceversa, il tribunale ha formulato motivando che non risultano offerti adeguati elementi che avvalorino la dedotta correlazione dell’espatrio con persecuzioni legate a motivazioni anche latamente politiche o riconducibili ad altri aspetti previsti dalla Convenzione di Ginevra (cfr. pag. 4 del decreto);
– a fronte di detta motivazione nessuna specificazione delle allegazioni fatte e rilevanti ai fini del riconoscimento del rifugio è contenuta nei motivi in esame;
– con il terzo motivo si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c. e, in particolare, la nullità del provvedimento nonché il carattere apparente della motivazione sul giudizio di non credibilità del racconto ai fini del rigetto della domanda di protezione umanitaria;
– la censura è inammissibile perché non attinge la specifica motivazione valorizzata dal tribunale il quale ha evidenziato come nel caso in esame non è possibile ritenere sussistente alcuna ipotesi di vulnerabilità in quanto il racconto effettuato dal ricorrente non risulti credibile; il tribunale ha così concluso sia perché il ricorrente non ha indicato quale fra i familiari del padre abbia rivendicato la proprietà del terreno, né le ragioni per cui tale conflitto sia sorto solo alla morte del padre, sia evidenziando come la circostanza di essere ricercato dai componenti della famiglia del padre fosse oggetto di conoscenza indiretta perché ritenuto non frutto di esperienza diretta (cfr. pag. 8 del decreto impugnato);
– la censura non si confronta con tale motivazione e dunque ne va ribadita l’inammissibilità;
– con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 8 nonché degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e la omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo, per non avere il tribunale tenuto in debita considerazione le dichiarazioni del richiedente ed avere proceduto ad un’errata valutazione delle risultanze processuali;
– la doglianza è inammissibile perché, come le precedenti, formula una censura generica e fondata sul, richiamo di principi generali, senza specificare come il tribunale li avrebbe violati;
– per quanto concerne la condizione del richiedente asilo in Libia essa è stato oggetto di specifica motivazione e il tribunale ha precisato come dall’esperienza di prigionia riferita dal ricorrente in sede di audizione giudiziale non sia residuato alcun trauma, n4 sia stata allegata una connessione tra il transito attraverso quel paese e il contenuto della domanda, con conseguente irrilevanza ai fini della decisione, della violazione dei diritti umani ivi consumata;
– con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 per motivazione contraddittoria e non adeguata considerazione delle dichiarazioni del richiedente in relazione alla protezione sussidiaria richiesta;
– la censura è inammissibile perché non si confronta con la motivazione di rigetto della protezione sussidiaria adottata dal tribunale, il quale, infatti, all’esito dell’acquisizione, attraverso le fonti accreditate e dettagliatamente indicate nel decreto, delle notizie aggiornate sulla situazione generale del *****, ha ritenuto che non sia assimilabile a quella della violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno od internazionale, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c;
– il ricorrente da parte sua non ha indicato report allegati al ricorso proposto dai quali desumere una diversa conclusione;
– con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34 nonché dell’art. 10 Cost. e degli artt. 112 e 116 c.p.c. e la mancata ovvero insufficiente motivazione del decreto impugnato in relazione alla domanda di protezione umanitaria;
– la censura è inammissibilmente generica poiché non indica quali elementi allegati dal ricorrente non sarebbero stati presi in debita considerazione ai fini del riconoscimento delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;
– l’inammissibilità di tutti i motivi comporta l’inammissibilità del ricorso;
– nulla va disposto sulle spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato;
– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 5 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021
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