Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26465 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25314-2019 proposto da:

I.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Chisimaio, 29, presso lo studio dell’avvocato Marilena Cardone, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, ope legis domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Venezia, depositata il 23/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/11/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

RILEVATO

che:

– I.M., cittadino del *****, ricorre per cassazione avverso il decreto del Tribunale di Venezia che ha respinto il di lui ricorso contro il diniego di protezione internazionale e di quella umanitaria decisi dalla competente Commissione territoriale;

– a sostegno delle domande egli ha allegato di essere nato e vissuto a *****, dove viveva con la madre e due fratelli maggiori, svolgendo l’attività di tassista, di notte perché privo di patente; egli ha riferito di avere lasciato il ***** in seguito al contrasto con il capo villaggio, scontro scaturito dopo la vendita di parte del terreno sul quale vi era un cimitero; ha pure precisato che ciò aveva provocato lo scontro con gli abitanti contrari alla vendita del terreno, i quali avevano finanziato la costruzione di un muro intorno al cimitero; nello scontro erano rimasti coinvolti lo zio del ricorrente e il richiedente stesso, intervenuto a difesa dello zio aggredito dopo aver dato uno schiaffo al capovillaggio; dopo quell’episodio i partecipanti erano stati ricercati su ordine del capo villaggio e per evitare l’arresto egli era scappato dal *****;

– il tribunale veneziano ha escluso che nei fatti narrati fossero ravvisabili i presupposti dello status di rifugiato, così come quelli della protezione sussidiaria; il collegio ha altresì negato la sussistenza in ***** di una situazione di violenza indiscriminata così come la sussistenza delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, e ciò sia in considerazione dell’inattendibilità della situazione personale del richiedente, sia per la mancata allegazione di idonea condizione di integrazione lavorativa che per l’assenza di altra specifica personale vulnerabilità, anche con riferimento al transito in Libia;

– la cassazione del decreto impugnato è chiesta sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso il Ministero dell’interno;

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 4 e art. 7 per avere il tribunale fornito una motivazione tautologica della ritenuta scarsa credibilità del richiedente, sebbene quest’ultimo sostenga di avere fornito dichiarazioni dettagliate ed in linea con quanto avviene nel Paese di provenienza e confermato dai rapporti internazionali, circa le persecuzioni subite e quelle temute in caso di rimpatrio;

– la censura è inammissibile perché solleva una critica generica che non attinge il puntuale esame svolto dal tribunale delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo, evidenziando le varie incongruenze e contraddittorietà tra quelle avanti alla Commissione territoriale e quelle in sede di audizione giudiziale;

– in particolare, il giudice del merito ha riscontrato divergenze nelle due versioni con riguardo alla vicenda del muro, alle identità delle comunità coinvolte, e ciononostante nessuno specifico chiarimento integrativo, nessuna rilevante fonte documentale risultano offerti dal ricorrente a sostegno della critica mossa alla statuizione impugnata;

– con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per non avere il collegio attivato il dovere di cooperazione istruttoria in ordine all’accertamento della situazione oggettiva del Paese di provenienza ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria;

-il ricorrente contesta, altresì, l’erronea valutazione formulata dal tribunale con riferimento alla protezione sussidiaria circa l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel *****;

– la censura è inammissibile con riguardo ad entrambi i profili;

– con riguardo al diniego della protezione internazionale è noto che una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione offerta dal richiedente asilo alla luce di riscontrate contraddizioni, lacune e incongruenze, non deve procedersi al controllo della credibilità estrinseca – che attiene alla concordanza delle dichiarazioni con il quadro culturale, sociale, religioso e politico del Paese di provenienza, desumibile dalla consultazione di fonti internazionali meritevoli di credito poiché tale controllo assolverebbe alla funzione meramente teorica di accreditare la mera possibilità astratta di eventi non provati riferiti in modo assolutamente non convincente dal richiedente (cfr. Cass.16925/2018; id.24575/2020);

– tuttavia, tale principio vale per le forme di protezione che valorizzano le condizioni individuali del richiedente, quali lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), mentre non vale per la protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. C D.Lgs. cit., rispetto alla quale il giudice è comunque tenuto ad accertare la generale condizione socio-politica del Paese di provenienza, al fine di scongiurare che per il solo fatto di essere rimpatriato il richiedente sia esposto al rischio di grave danno per la sua integrità personale (cfr. Cass. 10286/2020; id. 16122/2020);

– nel caso di specie la doglianza è inammissibile perché il giudice ha ricostruito, sulla scorta di fonti accreditate e aggiornate, la situazione del ***** ed ha ritenuto che il ricorrente non sia esposto, in caso di rimpatrio, al rischio di grave danno derivante da violenza indiscriminata in situazione di conflitto interno e che neppure sia ravvisabile una condizione di vulnerabilità oggettiva connessa alle condizioni sociali del paese di provenienza;

– la censura non attinge tale argomentazione formulando una critica generica che, in particolare, non indica quali fonti allegate avrebbero potuto giustificare la diversa conclusione auspicate dal ricorrente e non può che ribadirsene l’inammissibilità;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, per avere il tribunale omesso la valutazione comparativa degli elementi che sono stati allegati ai fini dell’accertamento della condizione di vulnerabilità personale sia in termini soggettivi che in termini oggettivi avuto riguardo alle condizioni del paese di origine del richiedente;

– la denuncia è inammissibile poiché non si confronta con la motivazione posta a fondamento del diniego;

– il tribunale ha, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, esaminato le allegazioni svolte dal medesimo in sede di audizione giudiziale e ha riscontrato che esse sono attendibili e comprovate solo in parte: così risulta per quanto concerne l’asserita integrazione lavorativa, risultata ben diversa rispetto a quella prospettata dal richiedente (cfr. il primo riferimento ad una retribuzione mensile netta di Euro 1000,00 a quella poi documentata di Euro 400,00 per un lavoro stagionale, così come la mancata prova di alcun residuo trauma a fronte del racconto delle violenze subite durante la prigionia in Libia);

– il tribunale ha dato conto di tutto ciò e ha formulato la conclusione sfavorevole che il ricorrente confuta in termini generici e, pertanto, inammissibili;

– all’inammissibilità di tutti i motivi consegue l’inammissibilità del ricorso;

– nulla va disposto sulle spese perché il controricorso non ha i requisiti minimi di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, richiamati nell’art. 370 c.p.c. ed è quindi inammissibile (cfr. Cass. 5400/2006; 12171/2009; 9983/2019);

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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