Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26474 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34245/19 proposto da:

-) O.S., elettivamente domiciliato a Roma, via Tagliamento n. 45, presso l’avvocato Claudio Santarelli, che lo difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno, rappresentato ex lege dall’Avvocatura dello Stato, elettivamente domiciliato a Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia 11 ottobre 2019 n. 1493;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 dicembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. O.S., cittadino nigeriano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese per sfuggire al proprio padre il quale, adirato con lui perché non volle aderire ai culti Vudù, lo minacciò di morte e lo avrebbe punito con un sortilegio.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento O.S. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Brescia, che la rigettò con ordinanza 4.12.2016.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Brescia con sentenza 11.10.2019.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perché il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa perché tempestivamente dedotta in primo grado, e comunque perché nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato né dimostrato specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da O.S. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso. Ha, tuttavia, depositato un “atto di costituzione” al solo scopo di partecipare all’eventuale udienza pubblica.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente prospetta il vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”.

Sostiene che la Corte d’appello non avrebbe motivato adeguatamente le ragioni per le quali ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente asilo.

1.1. Il motivo è inammissibile, non essendo più consentito censurare in sede di legittimità la mera insufficienza della motivazione.

Ne’ la motivazione del provvedimento impugnato può ritenersi incomprensibile o contraddittoria: la Corte d’appello ha infatti correttamente osservato quel che qualunque persona di senno non potrebbe non osservare, e cioè che non si può credere a chi si proclami vittima di sortilegi.

Giova aggiungere (eventualmente integrando la motivazione della Corte d’appello) che essere minacciati dal proprio padre non è una eventualità che possa fari rientrare tra le “persecuzioni” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 8. Tale vicenda potrebbe legittimare una domanda di protezione soltanto nell’ipotesi in cui gli organi statuali del paese di provenienza del richiedente non siano in grado di tutelare la persona minacciata: circostanza che, tuttavia, nel nostro processo non risulta mai essere stata neanche prospettata.

2. Il secondo motivo è rubricato: “violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 8”.

L’illustrazione del motivo è così concepita:

-) il ricorrente dapprima trascrive alcune norme del decreto appena indicato (pagine 17-18 del ricorso);

-) quindi afferma che la Corte d’appello ha trascurato di prendere in esame “tutte le prove indicate in premessa e che qui si intendono riportate integralmente” (pagina 18);

-) detto ciò, il ricorrente passa ad elencare una serie di massime della giurisprudenza di legittimità nelle quali si affermano i principi secondo cui il giudice investito della domanda di protezione internazionale deve d’ufficio indagare sulle condizioni oggettive del paese di provenienza del richiedente (pagine 19-22).

2.1. Il motivo è inammissibile per due indipendenti ragioni.

In primo luogo è inammissibile perché non contiene nessuna ragionata censura avverso la sentenza d’appello, ma solo una collazione di principi giuridici.

In secondo luogo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello infatti ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria in base al presupposto che il ricorrente non avesse tempestivamente allegato in primo grado l’esistenza di un pericolo di morte o persecuzione derivante da conflitto armato, e tale ratio decidendi non viene censurata dal motivo in esame.

3. Col terzo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 perché “non cita alcun elemento a sostegno della obbligatoria dell’istanza di riconoscimento del diritto a ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

Segue una lunghissima esposizione dei principi di diritto che sottendono al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari; il motivo si conclude quindi con l’affermazione che l’odierno ricorrente, essendo stato intimidito e minacciato “dai membri della confraternita”, in caso di rimpatrio sarebbe esposto a pericolo per la propria incolumità.

3.1. Il motivo è inammissibile per più motivi.

In primo luogo è inammissibile per difetto di rilevanza. La Corte d’appello infatti ha ritenuto che il ricorrente non avesse “nemmeno allegato” circostanze di fatto idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”, e tale statuizione non viene impugnata.

In secondo luogo è inammissibile in quanto allude (per di più fugacemente) a circostanze del tutto nuove: nei gradi di merito infatti il ricorrente dichiarò di aver lasciato il proprio paese perché minacciato e perseguitato dal padre; mentre nella illustrazione del motivo inizia a parlare di minacce di persecuzione da parte degli “aderenti alla confraternita”.

In terzo luogo, infine, il motivo è inammissibile per totale carenza dell’esposizione del fatto costitutivo della propria pretesa condizione di “vulnerabilità”.

Questa corte infatti ha già stabilito che colui il quale invochi, a fondamento della domanda di protezione umanitaria, il rischio di lesione di diritti fondamentali in caso di rimpatrio, “e’ tenuto ad allegare quantomeno i fatti che sottendono tale rischio, senza che possa ritenersi sufficiente” il richiamo ad espressioni che, “per la loro vaghezza, non sono idonee a definire una vera e propria situazione di privazione dei diritti umani” (così Sez. 1 -, Ordinanza n. 18808 del 10/09/2020, Rv. 658817 – 01).

Pertanto, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, è sempre necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile (…) (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13573 del 02/07/2020, Rv. 658090 – 01).

La mancata allegazione da parte del ricorrente di elementi idonei a far supporre che il rimpatrio possa esporlo alla privazione della titolarità o dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, consente di escludere (…) la sussistenza del dedotto inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 28 del 2005, art. 8, comma 3, e del principio del beneficio del dubbio emergente dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, i quali presuppongono una puntuale allegazione da parte del richiedente dei fatti costitutivi del diritto azionato” (Sez. 1, Ordinanza n. 22102 del 13.10.2020; nello stesso senso, ex permultis, Sez. L, Ordinanza n. 24781 del 5.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24463 del 3.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24446 del 3.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24445 del 3.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24444 del 3.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24442 del 3.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24257 del 2.11.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 22101 del 13.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 22100 del 13.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21927 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21926 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21925 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21923 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21922 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21921 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 18819 del 10.9.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 18816 del 10.9.2020).

Infine, la protezione umanitaria, anche quando sia invocata sul presupposto di una violazione sistematica grave dei diritti umani, “deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perché altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6” (così la Cass. 4455/18, in motivazione).

Se dunque la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari deve “necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente”, è necessario che questi deduca quali siano i diritti fondamentali alla cui violazione egli sarebbe esposto, nel caso di rimpatrio.

Deduzione che tuttavia, nel ricorso oggi in esame, manca del tutto.

3.2. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate con il tempestivo deposito di controricorso.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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