LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19693-2019 proposto da:
C.G., rappresentato e difeso dal PROF. AVV. ALFREDO GALASSO, e dall’AVV. FELICIA D’AMICO, elettivamente domiciliato in Roma presso il loro Studio, via Germanico, n. 197;
– ricorrente –
contro
CA.FR.ST., rappresentato e difeso dall’AVV. BRUNO SED, con domicilio eletto in Roma presso il suo Studio, Corso Italia, n. 19;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2295/2019 della Corte d’Appello di Roma, resa pubblica il 7/03/2019;
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Nardecchia Giovanni Battista, formulate ai sensi e con le modalità previste dal D.L. n. 137 del 2020, art.
23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale e del ricorso incidentale;
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.
FATTI DI CAUSA
C.G. ricorre per la cassazione della sentenza n. 2295/2019 emessa dalla Corte d’Appello di Roma, resa pubblica il 7/03/2019, articolando un solo motivo, illustrato con memoria.
Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, basato su quattro motivi, Ca.Fr.St..
La vicenda ha inizio nel *****, quando C.G. accettava la proposta di Ca.Fr.St., presentatosi come intermediario nel settore delle aste immobiliari, di acquistare all’asta alcuni immobili, e, come da disposizioni del proponente, corrispondeva a S.G., indicato come incaricato delle riscossioni, Euro 1.850,00, tramite bonifico, a titolo di prenotazione, cui seguivano ulteriori versamenti con la medesima causale. C.G., in seguito, accettava la ulteriore proposta di entrare quale socio in un consorzio che gestiva villaggi turistici in *****, allettato anche dalla prospettiva di sistemare lavorativamente il figlio quale direttore operativo del consorzio, a fronte di un investimento inizialmente di Euro 60.000,00, divenuti in seguito 82.500,00, poi 182.500,00. Fino a quando, a seguito di una ulteriore richiesta di denaro e in assenza del più volte richiesto riscontro documentale degli investimenti descritti e dei pagamenti effettuati, C.G. rifiutava di eseguire altri versamenti. Da quel momento Ca.Fr.St. si rendeva irreperibile.
Il 25 maggio 2006 C.G. presentava denuncia per truffa a carico di Ca.Fr.St.. Con decreto del 18 ottobre 2007 la Procura della Repubblica di Roma richiedeva la citazione diretta in giudizio di Ca.Fr.St., e C.G. si costituiva parte civile, chiedendo la restituzione di Euro 225.500,00, oltre ad Euro 17.500,00 a titolo di ricavo annuo pari al 34% della somma consegnata ed al risarcimento del danno non patrimoniale, forfettariamente quantificato in Euro 150.000,00.
Il Tribunale di Roma, in sede penale, con sentenza del 10 novembre 2011, dichiarava Ca.Fr.St. colpevole dei reati ascrittigli, lo condannava alla pena di otto mesi di reclusione, al pagamento di Euro 200,00 di multa, al risarcimento del danno alla parte civile da liquidarsi in altra sede ed al pagamento di una provvisionale di Euro 100.000,00, da computarsi sulla liquidazione definitiva.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 18 settembre 2014, accoglieva l’impugnazione dell’imputato, lo assolveva dalle imputazioni ascrittegli, con la formula “perché il fatto non sussiste”, e revocava le statuizioni civili della sentenza del Tribunale.
Il Procuratore generale e C.G. ricorrevano per la cassazione della decisione della Corte d’Appello.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 30261/2016, annullava senza rinvio il pronunciamento della Corte d’Appello, per essere il reato estinto per prescrizione, e rimetteva al giudice civile competente per valore in grado d’appello la pronuncia sulle domande restitutorie e risarcitorie di C.G.. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 2205/2019, oggetto dell’odierno ricorso, pronunciando nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., in parziale accoglimento della domanda di C.G., condannava Ca.Fr.St. al pagamento di Euro 145.000,00 ed alla refusione delle spese di lite.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso principale di C.G..
1. Con un unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., in merito alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.
Il ricorrente assume, e lo documenta adempiendo alle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, di aver formulato più domande: a) quella restitutoria della somma di Euro 227.800,00; b) quella di risarcimento del danno biologico quantificato in Euro 122.400,00 e quella di risarcimento del danno esistenziale e del danno morale soggettivo da liquidarsi equitativamente; c) quella di refusione delle spese mediche, pari ad Euro 8.408,00; d) quella di refusione delle spese di lite.
Nella sentenza impugnata non si rinviene alcuna statuizione in ordine alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, pur ritualmente e specificamene proposta; di qui la denuncia del ricorrente.
Il motivo merita accoglimento.
E’ pacifico – ne conviene anche parte controricorrente – che C.G. aveva chiesto non solo la restituzione delle somme asseritamente corrisposte a Ca.Fr.St., ma anche il risarcimento del danno biologico, del danno morale e del danno esistenziale.
Ricorre, pertanto, rispetto a tale domanda il vizio di omessa pronuncia e quindi la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., il quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sussiste quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (così, ex multis, Cass. 17/01/2018, n. 907).
Deve escludersi altresì, come condivisibilmente rilevato dal Pubblico ministero, che vi sia stato un rigetto implicito della domanda avente ad oggetto la richiesta in esame.
Ricorso incidentale di Ca.Fr.St..
2. Con il primo motivo Ca.Fr.St., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, deduce la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. – Nullità della sentenza per omessa e/o apparente motivazione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 1223 c.p.c.”.
Ad avviso del ricorrente, la decisione impugnata si sarebbe limitata a riportare quanto deciso dal Tribunale penale di Roma, omettendo di svolgere un’analisi vera e propria dell’impianto probatorio sottostante, non si sarebbe avveduta che il Tribunale penale aveva rimesso al giudice civile competente l’accertamento dell’an e del quantum debeatur, “stante la necessità di procedere ad accertamenti ulteriori non praticabili in questa sede”, ed avrebbe omesso di espletare un accertamento a cognizione piena.
Di conseguenza, ad avviso del ricorrente, non sarebbe dato comprendere cosa abbia indotto la Corte d’Appello a considerare sussistenti gli elementi costitutivi della fattispecie.
3. Con il secondo motivo il ricorrente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione dei principi enunciati dalla Suprema Corte, II sez. pen., nella sentenza n. 30261/2016 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 622 e 654 c.p.p.”.
La Corte d’Appello, avendo premesso che alla fattispecie in esame andava applicata la disciplina della valutazione del materiale probatorio tipica del processo penale, sarebbe incorsa in errore, stante che questa Corte (ad esempio Cass. n. 15859/2019), ritenendo che la ratio dell’art. 622 c.p.p. sia quella di far cessare la giurisdizione del giudice penale, qualora l’accertamento penalistico debba ritenersi definitivamente compiuto, ha enucleato il principio di diritto secondo cui il giudice civile di rinvio, cui la Cassazione penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, deve applicare le regole, processuali e probatorie, proprie del processo civile.
Non solo: le Sezioni Unite, sent. n. 1768/2017, hanno ritenuto che solo la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, per essere stato accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, ha efficacia di giudicato nel giudice civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento, mentre le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto o per amnistia non hanno efficacia extrapenale; di conseguenza, il giudice civile deve interamente e autonomamente rivalutare il fatto in contestazione.
4. I primi due motivi di ricorso riguardano entrambi il modo di porsi del giudizio di rinvio celebrato dinanzi alla Corte d’Appello rispetto al processo penale già celebrato e conclusosi con la sentenza della Corte di Cassazione penale, quali effetti vi esplichi la sentenza di annullamento e, dal punto di vista processuale, a quali regole debba soggiacere.
Si tratta di questioni che possono essere oggetto di uno scrutinio unitario, il quale non può che muovere dalla tornata di diciotto pronunce, assunte nella Pubblica Udienza del 18 aprile 2019, con cui questa Corte, dando seguito a Cass. 12/04/2017, n. 9358 (a mente della quale “E’ vero che, tecnicamente, il giudizio di rinvio è regolato dagli artt. 392-394 c.p.c., ma è altrettanto evidente che non è per questo in alcun modo ipotizzabile un vincolo come quello che consegue all’enunciazione di un principio di diritto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, da parte di questa Corte”), a Cass. 09/04/2019, n. 9799 (secondo cui “nell’accertamento della sussistenza di determinati fatti, il giudice civile valuta liberamente le prove raccolte in sede penale, in modo del tutto svincolato dal parallelo processo penale”) e sulla scia della Corte di Cassazione penale nella nota sentenza Sciortino (sent. 18/11/2013, n. 40109) (ove venne affermato “in circostanza nella quale non ha luogo alcun proseguimento dell’azione penale, la corte di cassazione non può (fare) a meno di restituire la cognizione in sede di rinvio (…) all’organo giudiziario cui appartiene naturalmente”, senza che sia d’ostacolo il fatto che il giudice del rinvio debba applicare le regole e le forme della procedura civile, che potrebbero ritenersi meno favorevoli agli interessi del danneggiato dal reato rispetto a quelle del processo penale. Il danneggiato è ritenuto in grado di rappresentarsi l’eventualità che venga meno, in presenza di cause di estinzione del reato o di improcedibilità dell’azione penale, la giustificazione della permanenza del giudizio in senso penale), ha gettato le basi per la formulazione della tesi, per la quale quello di rinvio, ex art. 622 c.p.p., non è un giudizio di natura prosecutoria, è sottratto ai canoni del processo penale ed è affrancato dal principio di diritto enunciato dalla sentenza penale.
In particolare, il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. è stato ritenuto un giudizio trasmigrato dalla sede penale a quella civile, in quanto più consona ad accertare, senza deroghe e limitazioni alle regole processuali civilistiche ed a quelle sostanziali, una situazione soggettiva ed oggettiva del tutto autonoma (il fatto illecito) rispetto a quella posta a fondamento della doverosa comminatoria della sanzione penale (il reato), attesa la limitata condivisione, tra l’interesse civilistico e quello penalistico, del solo punto in comune del fatto (e non della sua qualificazione), quale presupposto del diritto al risarcimento, da un lato, e del dovere di punire, dall’altro.
Di qui il convincimento dell’autonomia funzionale e strutturale del giudizio di rinvio rispetto a quello penale da cui proviene, con i seguenti corollari:
– è legittima, oltre alla possibilità di formulazione di nuove conclusioni sorte in conseguenza di quanto rilevato dalla sentenza di cassazione penale, anche l’emendatio della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile, sia pur nei limiti del sistema generale delle preclusioni fissato dall’art. 183 c.p.c., alla luce del recente insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 15/06/2015 n. 12310);
– non potrà escludersi l’eventuale, diversa valutazione dell’elemento soggettivo (colpa anziché dolo) né una differente qualificazione del titolo di responsabilità ascritto al danneggiante, ove i fatti costitutivi posti a fondamento dell’atto di costituzione di parte civile siano gli stessi che il giudice di appello è chiamato ad esaminare;
– sul versante specificamente probatorio, tenuto conto che nel processo penale, a differenza che in quello civile, la parte civile può legittimamente rendere testimonianza, in mancanza di una norma speculare a quella dell’art. 246 c.p.c., e tale testimonianza può essere sottoposta al cauto e motivato apprezzamento del giudice penale, che può fondare la sentenza di condanna anche soltanto su di essa, l’efficacia probatoria di tale atto processuale deve essere vagliata alla stregua delle regole processuali del codice di rito civile;
– anche il principio di inutilizzabilità di prove assunte in violazione di un espresso divieto probatorio valevole per il processo penale non può essere condiviso (si veda Cass. 8/02/2018, n. 43896 che ha ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni di un ufficiale di polizia giudiziaria perché assunte in violazione del divieto posto dall’art. 195 c.p.p., comma 4); va, infatti, aggiunto e ricordato che, nell’ordinamento processual-civilistico, mancando una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se e in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo (Cass. 25/03/2004, n. 5965). In base al principio del libero convincimento, pertanto, il giudice civile può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo. L’utilizzabilità, difatti, è categoria del solo rito penale, ignota al processo civile, e le prove precostituite, quali gli stessi documenti provenienti da un giudizio penale, entrano legittimamente nel processo, attraverso la produzione, e nella decisione, in virtù di un’operazione di logica giuridica (Cass. 4/06/ 2014, n. 12577);
– va parimenti data continuità all’orientamento di questa Corte secondo il quale, con specifico riferimento ai poteri di valutazione delle risultanze probatorie riservati al giudice di merito, l’obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale si impone soltanto in ambito penalistico ogni qualvolta si intenda riformare la sentenza assolutoria di primo grado in ossequio della regola di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio” e della garanzia costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., comma 2, ma non è applicabile ai giudizi risarcitori civili, governati – in tema di accertamento del nesso causale tra condotta illecita e danno – dalla diversa regola probatoria del “più probabile che non”;
– anche le regole probatorie relative al nesso causale devono essere sottoposte al principio di autonomia del giudizio di rinvio rispetto a quello penale che ha dato origine alla vicenda, con la conseguente sufficienza di un minor grado di certezza in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito, secondo il canone civilistico del “più probabile che non” e senza alcun vincolo per il giudice civile nella ricostruzione del fatto.
Va precisato che, ai fini della presente controversia, le surricordate conclusioni non sono suscettibili di essere rimesse in discussione dalla attesa decisione a Sezioni Unite, provocata dall’ordinanza 5/11/2020, n. 30858, della Cassazione Penale, Sez. IV, sulla questione “se, in caso annullamento, ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassazione, per la mancata rinnovazione in appello di prove dichiarative ritenute decisive, della sentenza di secondo grado che, in accoglimento dell’appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l’imputato al risarcimento del danno, il rinvio vada disposto dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello ovvero dinanzi al giudice penale”.
La vicenda all’origine dell’ordinanza è quella della condanna per omessa adozione delle misure di sicurezza dell’imputato, il datore di lavoro di fatto, assolto in primo grado, da parte del giudice d’appello, senza aver rinnovato le prove dichiarative; si pone, dunque, il problema della individuazione del giudice – penale o civile – competente a conoscere del giudizio di rinvio, una volta cassata la decisione errata della Corte distrettuale, in ragione: a) del persistere di un interesse penalistico alla vicenda, sotto il profilo della necessaria applicazione del “giusto processo” di rilievo costituzionale e, più in generale, delle regole proprie del processo penale, anche in presenza di questioni relative ai soli profili civilistici della stessa; b) del dubbio che il rinvio al giudice civile, persistendo il suddetto interesse penalistico, possa imporre a quest’ultimo di procedere all’accertamento del fatto applicando le regole di acquisizione probatoria proprie del diritto penale processuale.
Le eventualità di cui alla lett. a e b) difettano nel caso di specie del presupposto per la loro applicazione, perché la Cassazione penale ha pronunciato l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per gli aspetti penali, attesa l’estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione, perciò, quand’anche le Sezioni Unite dovessero pronunciarsi a favore della competenza del giudice penale o nel senso che il giudice civile debba fare applicazione dei canoni interpretativi e delle regole processuali proprie del diritto penale, la decisione non inciderebbe sulla fattispecie in esame, rispetto alla quale, venuto meno l’interesse penalistico, trovano applicazione le regole già richiamate.
Nella vicenda per cui è causa, nel giudizio di rinvio non vi era più spazio per ulteriori interventi del giudice penale, essendo venuta meno l’esigenza di qualunque accertamento agli effetti penali; il processo sul versante penalistico risultava del tutto esaurito ed il seguito, avendo ad oggetto “un tema ed una situazione giuridica soggettiva autonomi rispetto a quelli concernenti il dovere di punire, pur avendo in comune il fatto, quale presupposto del diritto al risarcimento”, apparteneva al giudice civile, alla sua competenza ed alle regole proprie del processo civile.
E’ pacifico che la Corte d’Appello di Roma abbia errato, oltre che nell’avere espressamente premesso di essere vincolata dalla sentenza rescindente della Cassazione penale ad applicare “la disciplina propria della valutazione del materiale probatorio tipica del processo penale”, anche nel ritenere, implicitamente, che il giudizio che si stava celebrando davanti a sé dovesse essere equiparato ad un (comune) giudizio di rinvio tout court, riconoscendo evidentemente a quest’ultimo anche un carattere chiuso ai sensi dell’art. 394 c.p.c. (p. 6).
In particolare, ha fatto propria la ricostruzione del fatto dannoso del Tribunale in sede penale, avallata dalla sentenza di legittimità rescindente, attribuendo efficacia probatoria decisiva alle dichiarazioni rese in sede penale dalla parte civile (pp. 6 -8).
In coerenza con quanto predicato circa la necessità che il giudizio di rinvio si svolga secondo le regole proprie del processo civile, la statuizione della Corte deve essere considerata illegittima, perché contrastante con il principio di cui all’art. 246 c.p.c., ai sensi del quale non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio (Cass. 12/06/2019, n. 15859 e successiva giurisprudenza conforme).
5. Con il terzo motivo il ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, imputa alla sentenza gravata la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. – Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del principio della domanda”, perché la domanda formulata da C.G. in sede di riassunzione era volta ad ottenere la restituzione di Euro 227.800,00 ed invece la Corte d’Appello, ritenendola una domanda risarcitoria – come comprovato anche dall’aver ritenuto necessario procedere alla rivalutazione sulla base degli indici ISTA FOI – non avrebbe ritenuto necessario raggiungere la prova dell’effettivo incameramento delle somme di cui si chiedeva la restituzione ed avrebbe erroneamente proceduto alla loro rivalutazione.
6. Con l’ultimo motivo il ricorrente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. – Violazione dell’onere della prova”, per avere la sentenza impugnata accolto la domanda di C.G., in assenza di prova da parte di quest’ultimo, essendo il trasferimento delle somme oggetto dell’azione restitutoria avvenuto in favore di terzi, che le somme corrisposte fossero state effettivamente da lui ricevute.
Due bonifici per complessivi Euro 21.800,00 risultavano fatti a beneficio di S.G., il quale aveva affermato di avere ricevuto quelle somme per fare un favore ad un amico ad estinzione di un prestito, di altri due bonifici, dell’importo di Euro 82.500,00, aveva beneficiato lo sconosciuto intestatario di un conto corrente svizzero.
7. Gli ultimi due motivi di ricorso sono assorbiti.
8. In definitiva, meritano accoglimento il ricorso principale ed i primi due motivi del ricorso incidentale; i motivi terzo e quarto del ricorso incidentale sono assorbiti.
9. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione ai motivi accolti e la controversia rinviata alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso principale; accoglie i primi due motivi del ricorso incidentale, dichiara assorbiti i restanti due.
Cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rimette la controversia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021