Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26477 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.A., (codice fiscale *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Paolo Spacchetti, del Foro di Perugia, elettivamente domiciliato in Roma (studio De Angelis), Via Luigi Boccherini n. 3;

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano n. 7109/2019, pubblicato il 6/9/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 aprile 2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

PREMESSO IN FATTO

– che il signor S., nato in ***** l'*****, ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo ha rigettato con decreto reso in data 6/9/2019;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente – del quale il giudice di primo grado aveva reputato non necessaria una nuova audizione (f. 4 del decreto) – aveva dichiarato di appartenere all’etnia *****, e di essere fuggito dal proprio Paese per timore di venir ucciso da una famiglia sunnita che aveva già ucciso il fratello in occasione di una cerimonia funebre;

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, alla luce: 1) delle significative inconsistenze e della sostanziale inattendibilità del suo racconto, ritenuto estremamente generico, intrinsecamente ed estrinsecamente contraddittorio, privo di logicità quanto alle circostanze della denuncia della morte del fratello, non coerente con le risultanze delle COI circa le percentuali di appartenenza ed i rapporti tra le comunità ***** e sunnita in *****; 2) della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria in ciascuna delle tre forme di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, in conseguenza tanto del giudizio di non credibilità del ricorrente (lett. a e b), quanto dell’inesistenza di un conflitto armato nel Paese di respingimento (lett. c); 3) dell’impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità del richiedente asilo idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;

– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di 4 motivi di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

OSSERVA IN DIRITTO 1. Col primo motivo, si censura il decreto impugnato per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si lamenta, in concreto, l’erroneità della decisione del Tribunale di non procedere all’audizione del richiedente asilo.

1.1. Il motivo (in disparte l’evidente irritualità della rubrica) non può essere accolto, alla luce dei principi più volte affermati, in passato, dalla giurisprudenza di questa Corte – a mente dei quali la fissazione (obbligatoria) dell’udienza per la comparizione delle parti (D.Lgs. n. 35 del 2008, art. 35, comma 10 e 11) ha valore strettamente tecnico-processuale e non si riferisce necessariamente alla presenza personale delle parti né all’obbligo di audizione del ricorrente (per tutte, Cass. 17717/2018 e successive conformi) – pur alla luce della necessaria (e condivisibile) precisazione, operata più di recente da questo stesso giudice di legittimità, secondo cui “l’audizione personale in sede giudiziale diviene – proprio alla luce della peculiare articolazione del rito previsto per l’esame delle domande di protezione internazionale – la modalità più semplice per supplire all’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa, assicurando al richiedente l’effettiva esplicazione del diritto di difesa in un contraddittorio pieno, e ponendo il giudice di merito in condizione di poter decidere avendo completa contezza degli elementi di valutazione” (Cass. 9228/2020), e pur considerando, ancora, la ulteriore, ed altrettanto opportuna specificazione a mente della quale “il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 22049/2020; 21584/2020; 25439/2020).

1.2. Nell’illustrazione del motivo in esame, difatti, non risultano in alcun modo evidenziate le circostanze che, nel caso di specie, avrebbero reso necessaria una nuova audizione del ricorrente in sede giurisdizionale, essendo, piuttosto, lungamente ma non conferentemente esposti (dal folio 9 al folio 14) soltanto principi generali, normativi e giurisprudenziali, che quell’audizione avrebbero astrattamente imposto al Tribunale.

2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione ed errata applicazione di norme di diritto in relazione al riconoscimento della protezione internazionale;

La censura è inammissibile, poiché priva di qualsiasi specifica ed efficace contestazione mossa, in concreto, alla valutazione di (non) credibilità correttamente e motivatamente operata dal Tribunale, limitandosi il ricorrente ad evocare “un perdurante conflitto tra le due etnie *****” “che ben potrebbe giustificare un atteggiamento persecutorio da parte dei singoli ***** nei confronti dell’odierno ricorrente” – affermazione sulla cui assoluta genericità ed inconferenza rispetto al caso di specie non occorre spendere parole attesane la evidente inconsistenza.

3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per motivazione apparente e comunque contraddittoria in relazione alla domanda di protezione sussidiaria;

3.1. La censura è infondata.

La domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) viene correttamente rigettata dal Tribunale sull’assunto per cui, “secondo le informazioni aggiornate, con particolare riferimento al *****, non emerge una generalizzata situazione di violenza indiscriminata” (vengono, in proposito, indicate COI attendibili e aggiornate sino all’anno 2018).

3.2. A tali considerazioni, non censurabili in punto di fatto, parte ricorrente si limita ad evocare, oltre che considerazioni di ordine generale – ma inconferenti rispetto al caso di specie – l’esistenza “di numerosi report degli organismi indipendenti internazionali che avrebbero più volte denunciato il perdurare del clima di violenza diffusa e di violazione dei diritti umani” (f. 8, in fine, del ricorso) senza, peraltro, fornire alcuna ulteriore (quanto necessaria) indicazione del contenuto di tali atti, idoneo, in ipotesi, a smentire la ricostruzione operata in parte qua dal giudice di merito.

4. Con il quarto motivo, si lamenta la violazione ed errata applicazione di norme di diritto in relazione al riconoscimento della protezione umanitaria.

4.1. Il motivo è fondato.

4.1.1. Correttamente, benché sinteticamente (in disparte l’irrilevanza dei cenni, contenuto al folio 10 del ricorso, alla condizione di vulnerabilità personale, irrilevante ai fini de quibus, stante, oltretutto, il confermato giudizio di non credibilità del signor S.) il ricorrente lamenta l’illegittima omissione, da parte del tribunale, di qualsivoglia giudizio comparativo tra la situazione del richiedente asilo in Italia e la situazione oggettiva del Paese di origine, in spregio ai principi più volte affermati da questa Corte regolatrice in tema di protezione umanitaria, a mente dei quali, se, per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b) deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana (norma che, come è noto, fu oggetto di un acceso dibattito in Assemblea costituente, ed il cui contenuto immediatamente precettivo, nonostante il contrario avviso di una retriva e risalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, fu immediatamente rilevato dalla dottrina maggioritaria e definitivamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza delle sezioni unite del 26 maggio 1997, n. 4674): di qui, il riconoscimento della natura di diritto costituzionalmente garantito della situazione giuridica dei richiedenti asilo e quindi di “concreta e materiale esigibilità in via giurisdizionale” del relativo diritto soggettivo – un diritto perfetto, pertanto, in quanto il suo fondamento necessario e sufficiente, nonché la sua causa di giustificazione risiedono entrambi nella sola Costituzione.

4.2. Risultano, pertanto, palesemente non conformi a diritto le seguenti affermazioni del Tribunale (ff.11-12 del decreto impugnato):

– “Nel presente caso non sono stati allegati fatti diversi da quelli posti, in generale, a fondamento della domanda di protezione, in precedenza esaminati” (f. 11, rigo 8-9), volta che l’allegazione di fatti nuovi costituisce bensì una facoltà, ma non anche un obbligo per il richiedente asilo, ben potendo il giudice di merito pronunciarsi sulla domanda di protezione umanitaria sulla base dei medesimi fatti allegati a fondamento della richiesta delle due forme di cd. protezione maggiore, ove ne ravvisi i presupposti;

– I rischi connessi alla reimmissione nel territorio del *****, in relazione sia alla condizione personale del ricorrente sia alla situazione generale del paese sono stati compiutamente analizzati in precedenza (f. 10, rigo 13-15), volta che la pretesa “compiuta analisi svolta in precedenza” ha avuto ad oggetto la disamina della situazione-Paese esclusivamente sotto il profilo dell’inesistenza di una situazione di conflitto armato generalizzato, ma non anche sotto quella del rispetto dell nucleo incomprimibile dei diritti umani (come meglio si dirà infra, sub 4.3);

– “la vicenda che ha dato origine alla partenza non è stata ritenuta credibile, sicché non è possibile affermare che la decisione di uscire dal Paese sia dovuta alla necessità di sottrarsi ad una grave violazione dei diritti umani” (f. 12, rigo 7-12), volta che la supposta equazione “non credibilità individuale=rigetto della domanda di protezione umanitaria” è palesemente ed irredimibilmente errata (amplius, supra, sub 4.1);

– “La mera presenza di un contratto di lavoro non è motivo sufficiente per riconoscere la protezione in parola, non essendo ipotizzabile che sia impossibile una ricollocazione anche lavorativa in *****”, volta che la “non ipotizzabilità della impossibilità di trovare un lavoro ” (espressione che sottende una sostanziale litote di per se oscura ed involuta) costituisce affermazione del tutto fuori fuoco rispetto alla necessità di valutare, sotto il profilo dell’integrazione nel Paese di accoglienza, i fatti allegati, i.e. l’attività svolta dal richiedente asilo, sulla base di inferenze presuntive quali 1) l’esistenza di un rapporto di lavoro; 2) la natura del sottostante contratto (a tempo indeterminato); 3) la retribuzione (del tutto congrua ad assicurare al lavoratore un’esistenza libera e dignitosa) di 1200 Euro (onde l’inevitabile approdo al fatto ignoto da provare, costituito dalla avvenuta integrazione in Italia).

4.3. Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, difatti, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza e della comparazione degli indicati presupposti (per tutte, Cass. 8819/2020; Cass. 19337/2021), che non sono condizionati dalla eventuale valutazione negativa di credibilità del ricorrente – o, comunque, dal contenuto della sua narrazione, ove pur ritenuta credibile ma non rilevante ai fini della concessione della misura di protezione invocata. Il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, estensivamente interpretato, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale (Cass. n. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016) – essendo quel giudice investito di singole vicende aventi ad oggetto diritti fondamentali della persona – e non di cause cd. “seriali”, improvvidamente risolte con motivazioni “di stile” altrettanto seriali – in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazione sub specie del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile, acquisendo, a tal fine, COI attendibili ed aggiornate, se del caso diverse da quelle utilizzate al solo scopo di escludere la situazione di conflitto armato ex art. 14, lett. c) del più volte citato D.Lgs. del 2007.

4.4. Nella specie, la motivazione adottata dal giudice di merito per respingere la domanda di protezione umanitaria risulta del tutto erronea sul piano comparatistico in punto di valutazione della integrazione del richiedente asilo, frettolosamente liquidata (f. 12) alla luce del (pur astrattamente corretto, se valutato singolarmente) principio secondo cui “la stabile occupazione lavorativa del richiedente evidenziata dalla difesa, grazie ad un contratto di lavoro a tempo indeterminato con busta paga di 1200” non sarebbe “motivo sufficiente per riconoscere la protezione in parola”, non essendo ipotizzabile “che sia impossibile una ricollocazione anche lavorativa anche in *****”.

4.5.1. La circostanza, per converso, appare meritevole di ben più approfondita valutazione in seno al poc’anzi illustrato modello del giudizio di comparazione, come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente (f. 11 dell’odierno atto di impugnazione) che rammenta come il signor S. abbia maturato, insieme con la buona conoscenza della lingua italiana, varie esperienze lavorative in grado di consentirgli un’autosufficienza economica.

3.4. Va pertanto riaffermato il principio di diritto, cui il giudice di rinvio si atterrà nel riesaminare la domanda di protezione umanitaria, alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare la valutazione comparativa della situazione oggettiva, oltre che eventualmente soggettiva, del richiedente asilo con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione dei diritti fondamentali della persona, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza – pur senza che abbia rilievo esclusivo l’esame del livello di integrazione, se isolatamente ed astrattamente considerato.

PQM

La Corte rigetta il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, accoglie il quarto, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia il procedimento al Tribunale di Milano, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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