LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
M.S., (codice fiscale *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocata Rosalia Bennato, del Foro di Milano, presso il cui studio è
elettivamente domiciliato in Milano, Corso Buenos Aires n. 52;
– ricorrente –
contro
IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi n. 12,
– resistente –
avverso il decreto del Tribunale di Milano n. 7476/2019, pubblicato il 17/9/2019;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 aprile 2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.
PREMESSO IN FATTO
– che il signor M., nato in *****, nel distretto di *****, il *****, ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);
– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;
– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo ha rigettato con decreto reso in data 17 settembre 2019;
– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese perché, in qualità di appartenente al partito *****, dopo al morte del padre veniva continuamente perseguitato, sottoposto ad estorsioni e ad altri atti violenti da parte del membri locali dell’opposto partito della *****, da lui denunciati alla Polizia, che pretendeva però 400.000 Taka per procedere; di essere stato falsamente denunciato come criminale terrorista che vendeva droghe da giornalisti ai quali aveva esposto i fatti, ma che temevano di mettersi contro il partito di governo; di essersi trasferito dal nonno materno dopo che gli avversari politici gli avevano bruciato la casa; di essere giunto in Italia con l’aiuto di uno zio il 21 marzo 2017, frequentando corsi di italiano e lavorando regolarmente, con contratto di lavoro a tempo determinato più volte rinnovato;
– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;
– che il Tribunale, pur giudicando “del tutto credibile il signor M. quando riferisce della sua zona di provenienza e delle sue condizioni sociali personali” (f.4, secondo capoverso del decreto impugnato) ha poi ritenuto:
– “poco credibile” l’attività politica svolta, descritta in modo vago e generico; superficiale la conoscenza del partito di appartenenza (*****); generica la descrizione delle minacce ricevute e delle conseguenze delle false denunce penali; inconsistenti e generiche le risposte alla richieste di approfondimento delle informazioni “sulle persone potenti” che lo perseguitavano; erronea l’indicazione delle persone di G.G. o di B.G. come membri del Parlamento eletto nel 2014;
– conseguentemente insussistenti i presupposti per il riconoscimento tanto dello status di rifugiato, quanto della protezione sussidiaria in ciascuna delle tre forme di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 in conseguenza sia del giudizio di non credibilità del ricorrente (lett. a e b), sia dell’inesistenza di un conflitto armato nel Paese di respingimento (lett. c);
– impredicabile un’effettiva situazione di vulnerabilità del richiedente asilo idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;
– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di motivi di 2 censura;
– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.
OSSERVA IN DIRITTO 1. Col primo motivo, si censura il decreto impugnato per violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3).
Si lamenta, in particolare, l’omessa audizione del ricorrente.
1.1. Il motivo non può essere accolto, alla luce dei principi più volte affermati, in passato, dalla giurisprudenza di questa Corte – a mente dei quali la fissazione (obbligatoria) dell’udienza per la comparizione delle parti (D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, comma 10 e 11) ha valore strettamente tecnico-processuale e non si riferisce necessariamente alla presenza personale delle parti né all’obbligo di audizione del ricorrente (per tutte, Cass. 17717/2018 e successive conformi) – pur alla luce della necessaria (e condivisibile) precisazione, operata più di recente da questo stesso giudice di legittimità, secondo cui “l’audizione personale in sede giudiziale diviene – proprio alla luce della peculiare articolazione del rito previsto per l’esame delle domande di protezione internazionale – la modalità più semplice per supplire all’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa, assicurando al richiedente l’effettiva esplicazione del diritto di difesa in un contraddittorio pieno, e ponendo il giudice di merito in condizione di poter decidere avendo completa contezza degli elementi di valutazione” (Cass. 9228/2020), e pur considerando, ancora, la ulteriore, ed altrettanto opportuna specificazione a mente della quale “il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 22049/2020; 21584/2020; 25439/2020).
1.2. Nell’illustrazione del motivo in esame, difatti, da un canto, non risultano in alcun modo evidenziate le circostanze che, nel caso di specie, avrebbero reso necessaria l’audizione del ricorrente in sede giurisdizionale, venendo, piuttosto, lungamente esposti, soltanto i principi generali, normativi e giurisprudenziali, che quell’audizione avrebbero astrattamente imposto al Tribunale; dall’altro – e la circostanza appare decisiva – si omette del tutto di considerare che, all’udienza di comparizione “era presente il ricorrente che, assisitito dall’interprete, ha dichiarato di ricordare e confermare le dichiarazioni rese dinanzi alla commissione territoriale e di non aver altro da aggiungere” (così, testualmente, al f. 2 del decreto impugnato), onde la mancata audizione in sede giurisdizionale risulta frutto di una libera scelta difensiva, e non di una (presunta) violazione di norme di diritto da parte del Tribunale.
2. Col secondo motivo, si lamenta la nullità della sentenza e/o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4); la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3,D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8,D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g) e art. 14; l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5);
Il motivo si articola, in realtà, in 4 sub-motivi.
2.1. E’ inammissibile la censura di motivazione apparente in punto di valutazione di credibilità del richiedente asilo, che non contiene alcuna specifica doglianza riferibile al contenuto della motivazione adottata dal Tribunale, e si limita a richiamare, del tutto apoditticamente, tre pronunce di questa Corte (Cass. 13399/2019 e Cass.27112 e 5209 del 2008) ed una del Tribunale di Milano (ordinanza 9.1.2016), senza che a ciò segua il benché minimo accenno alle argomentazione svolte (peraltro, del tutto correttamente) dal Tribunale in parte qua.
2.2. E’ inammissibile la censura di violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al mancato riconoscimento delle protezioni internazionali cd. maggiori, che non si confronta in alcun modo col principio secondo cui, alla valutazione di non credibilità del ricorrente, consegue ipso facto il rigetto della domanda di protezione internazionale sub specie dello status di rifugiato e di quella di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b), che presuppongono, viceversa e necessariamente, quella (positiva) valutazione.
2.3. E’ inammissibile la censura di violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c) medesimo decreto, che si risolve, ancora una volta, in una disordinata e acritica esposizione di norme e precedenti giurisprudenziali, senza confrontarsi con la motivazione del Tribunale (ff.6-8), che, sulla base di COI attendibili e aggiornate, esclude l’esistenza di una condizione di violenza generalizzata nel contesto di un conflitto armato, e senza che vengano in alcun modo allegate COI aggiornate idonee a smentire il contenuto di quelle correttamente ed esaurientemente esaminate dal Tribunale.
2.4. E’ fondata, per converso, la censura relativa al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.
2.4.1. In sintesi, lamenta il ricorrente:
La omessa valutazione della situazione del Paese di rimpatrio sotto il profilo della tutela dei diritti umani;
– La violazione dell’obbligo di comparazione, ai fini del riconoscimento della invocata forma di protezione, tra la situazione del Paese di origine (con riferimento alla mancata tutela dei diritti umani) ed il livello di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente asilo.
2.4.2. Si lamenta, in particolare, oltre all’omesso esame di fatti decisivi costituiti dalla situazione del Paese così come rappresentati dallo stesso Tribunale (in sede di esame della domanda di protezione sussidiaria), che, al folio 8 del decreto impugnato, riferendosi, tra gli altri, al contenuto del Report Amnesty international 2017-2018 e Human Rght Watch 2018, dà testualmente atto “dello stato di indigenza di gran parte della popolazione del *****, dato purtroppo confermato dalle fonti più accreditate, a fronte di una situazione politica che mostra severe criticità quanto a sicurezza interna e rispetto dei diritti fondamentali” – anche l’illegittima omissione di qualsivoglia giudizio comparativo con la situazione del richiedente asilo in Italia sotto il profilo lavorativo, censurandosi (fondatamente, sia pur soltanto sul predetto piano comparatistico, come tra breve verrà meglio specificato) l’affermazione del Tribunale, pur formalmente corretta, secondo cui la mera attività svolta dal signor M. in Italia non era motivo sufficiente per accedere alla protezione umanitaria.
2.4.3. La decisione del Tribunale non è conforme a diritto, e non si confronta con i principi più volte affermati da questa Corte regolatrice in tema di protezione umanitaria, a mente dei quali, se, per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, lett. a) e b), deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana (norma che, come è noto, fu oggetto di un intenso dibattito in Assemblea costituente, all’esito di una prima proposta che tendeva a limitare ai soli perseguitati politici l’operatività della disposizione) il cui contenuto immediatamente precettivo, nonostante il contrario avviso di una retriva e risalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, fu immediatamente rilevato dalla dottrina maggioritaria e definitivamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (con la sentenza delle sezioni unite del 26 maggio 1997, n. 4674): di qui, il riconoscimento della natura di diritto costituzionalmente garantito della situazione giuridica dei richiedenti asilo e quindi di “concreta e materiale esigibilità in via giurisdizionale” del relativo diritto soggettivo – un diritto perfetto, pertanto, in quanto il suo fondamento necessario e sufficiente, nonché la sua causa di giustificazione risiedono entrambi nella sola Costituzione.
2.4.4. Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, pertanto, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza e della comparazione degli indicati presupposti (per tutte, Cass. 8819/2020; Cass. 19337/2021), che non sono condizionati dalla eventuale valutazione negativa di credibilità del ricorrente – o, comunque, dal contenuto della sua narrazione, ove pur ritenuta credibile ma non rilevante ai fini della concessione della misura di protezione invocata, come nella specie.
2.4.5. Il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, estensivamente interpretato, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale (Cass. n. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016), in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazionale sub specie del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile – di cui pure il provvedimento impugnato sembra indirettamente dare atto (supra, in narrativa, sub 2.4.1.), nel riportare il contenuto dello COI utilizzate per escludere l’esistenza di un conflitto armato.
3.3.1. Nella specie, la motivazione adottata dal giudice di merito per respingere la domanda di protezione umanitaria risulta così concepita (f.9): “i rischi connessi alla re-immissione del sig. nel territorio del sia in relazione alle sue condizioni personali sia alla situazione generale del Paese sono stati compiutamente analizzati in precedenza e non sono stati dedotti particolari e sufficienti elementi per ritenere che, ove rientrasse in *****, egli si troverebbe in uno stato di particolare vulnerabilità”.
Trattasi, all’evidenza, di una motivazione del tutto erronea, mentre, sul piano comparatistico, in punto di valutazione della integrazione del richiedente asilo, altrettanto frettolosamente carente risulta la disamina dell’integrazione lavorativa, allegata e provata dal ricorrente e riconosciuta dallo stesso Tribunale alla luce di fatti (una serie di contratti di lavoro a tempo determinato), per converso, meritevoli di ben più approfondita considerazione in seno al poc’anzi illustrato modello del giudizio di comparazione, come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente.
3.4. Va pertanto riaffermato il principio di diritto, cui il giudice di rinvio si atterrà nel riesaminare la domanda di protezione umanitaria, alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare la valutazione comparativa della situazione oggettiva, oltre che eventualmente soggettiva, del richiedente asilo con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione dei diritti fondamentali della persona, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza – pur senza che abbia rilievo esclusivo l’esame del livello di integrazione, se isolatamente ed astrattamente considerato.
PQM
La Corte accoglie in parte il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta le restanti censure, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo parzialmente accolto e rinvia il procedimento al Tribunale di Milano, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021