Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26481 del 29/09/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

O.J., (codice fiscale *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocata Tiziana Aresi, e dall’Avvocato Massimo Carlo Seregni, del Foro di Milano, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Milano, Via Lorenteggio n. 24;

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di n. 7147/2019, pubblicato il 5/9/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 aprile 2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

PREMESSO IN FATTO

– che il signor, nato in il, ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo ha rigettato con decreto reso in data 5 settembre 2019;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente, comparendo personalmente in udienza dinanzi al giudice onorario all’uopo delegato, all’udienza del 9.5.2019, aveva dichiarato: di aver esercitato la professione di meccanico nel suo Paese; di essere fuggito a causa della propria omosessualità (avendo intrattenuto una relazione con un suo connazionale, di nome N., che lo aveva poi denunciato alla polizia) e di una lite legata al suo ambiente di lavoro (una riparazione mal eseguita sulla vettura di un soggetto potente e pericoloso, che lo aveva minacciato, pretendendo del denaro, e fatto picchiare e torturare con della plastica bollente); di essersi recato in Libia, dove aveva continuato a lavorare come meccanico; di essere giunto in Italia nell’agosto del 2016 per evitare la condanna a molti anni di carcere;

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, alla luce: 1) della sostanziale inattendibilità del suo racconto, ritenuto del tutto inverosimile quanto alla vicenda della omosessualità e del suo rapporto con il connazionale che lo avrebbe incomprensibilmente denunciato nonostante il rapporto affettivo che li legava, e non sufficientemente circostanziato, oltre che priva dei necessari elementi di riscontro per contestualizzare i fatti narrati la vicenda relativa all’asserita persecuzione da parte del potente cliente dell’officina; 2) della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento tanto dello status di rifugiato, quanto della protezione sussidiaria in ciascuna delle tre forme di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 14, in conseguenza del giudizio di non credibilità del ricorrente e della non individualizzazione del rischio; 3) dell’insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità del richiedente asilo idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;

– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di motivi di 2 censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

OSSERVA IN DIRITTO 1. Col primo motivo, si censura il decreto impugnato per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 8.

Il motivo è inammissibile.

1.1. Si lamenta, nell’esposizione della censura, l’omessa valutazione, da parte del Tribunale, del periodo di permanenza in Libia.

1.2. Pur vero che l’indicata norma di riferimento impone al giudice l’esame della domanda alla luce di informazioni precise e aggiornate, relative, ove occorra, anche ai Paesi di transito, il motivo, privo del benché minimo accenno alla posizione individuale del richiedente asilo (presupposto necessario per l’applicazione della norma della quale si pretende la violazione), si risolve in una tautologica rappresentazione della situazione generale esistente in Libia riportandosi, in guisa di “voci”, nient’altro che la circostanza dell’uso di una presunta sostanza stupefacente usata sui migranti prima di essere caricati sui barconi per confonderne i ricordi – oltre ad accennarsi (f. 5 del ricorso) ad una “situazione psicofisica esposta nella relazione clinica allegata”, della quale, oltre “all’allegazione”, della quale non vi è traccia né agli atti, né nell’indice dei documenti (f. 14 del ricorso), non vengono riportati, sia pur per sintesi, i relativi contenuti rilevanti in parte qua, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso.

2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 360, n. 3 in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5 e 14;

Il motivo è parzialmente fondato.

2.1. Nella parte in cui si lamenta la erronea valutazione della credibilità del richiedente asilo da parte del Tribunale, il motivo non può trovare accoglimento.

2.2. Questa Corte, in tema di credibilità del richiedente asilo, ha ripetutamente affermato che la relativa valutazione costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, ed è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti (così come formalmente descritti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5); la valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (ex multis, Cass. n. 3340 del 2019; 7546/2020); il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato determinante di singole circostanze, ritenute di per sé assorbenti rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purché di dette circostanze se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati. Rimane in ogni caso fermo il principio a mente del quale la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera, soggettivistica opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, tenendo poi conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente (art. 5, comma 3, lett. c) D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto, quando appare nel suo complesso vero o verosimile il fatto narrato nel suo complesso, sicché è compito dell’autorità amministrativa – e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale – svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (tra le molte conformi, Cass. n. 26921 del 2017; n. 10 del 2021);

2.3. Nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo, correttamente articolato, attraverso un analitico e puntuale esame di una congerie di circostanze di fatto (IV-V foglio del decreto, peraltro inspiegabilmente non numerato), varrà considerare come la difesa del ricorrente abbia omesso di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte del giudice del merito, di specifiche vicende di fatto asseritamente trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto ad una diversa risoluzione dell’odierna controversia;

2.3.1. Attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetta se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in una dimensione solo astrattamente critica, come tale inammissibilmente rappresentata in questa sede di legittimità, dovendo per converso ritenersi che la motivazione adottata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne il percorso logico, che si dipana in termini lineari e logicamente coerenti, in conformità con i parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di sufficiente ragionevolezza ed accettabile congruità logica;

2.3.2. In particolare, risultano del tutto evanescenti le spiegazioni alternative al comportamento del compagno del ricorrente, ipotizzandosi, in via subordinata, che il denunciante fosse “una persona che antepone la vendetta all’affetto”, ovvero (sic) “che fosse ubriaco al momento del colloquio con le forze di polizia, tanto da dire cose di cui si sarebbe poi amaramente pentito”, per trarne poi la poco comprensibile conclusione secondo cui “il carattere di un terzo soggetto non può essere assunto a motivazione di un provvedimento di rigetto” (circostanza, quest’ultima, che in nessun modo emerge dalla lettura del provvedimento impugnato).

3. E’ fondata, per converso, la residua censura che lamenta la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria.

3.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato (per tutte, Cass. 8819/2020; Cass. 12368/2021) il principio a mente del quale, in tema di cooperazione istruttoria, il giudice deve, in limine, prendere le mosse del suo accertamento e della conseguente decisione da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova – perché non reperibile o non esigibile – della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è sicuramente funzionale, in astratto, all’attivazione officiosa del dovere di cooperazione volta all’accertamento della situazione del Paese di origine del richiedente asilo, ma non appare conforme a diritto la semplicistica affermazione secondo cui le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di credibilità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedano, in nessun caso, alcun approfondimento istruttorio officioso (in tale ultimo senso, ma non condivisibilmente, in quanto affermative di un principio che si pone in aperto contrasto con gli insegnamenti della giurisprudenza Europea, Cass. 16915/2018; 22114/2020).

3.2. Il presupposto normativo della fattispecie ex art. 14, lett. c) è quello della minaccia grave e individuale alla persona derivante da violenza indiscriminata scaturente da una situazione di conflitto armato interno o internazionale, minaccia che può, peraltro, sia pur eccezionalmente, rilevare non in relazione alla situazione personale quando il livello di violazione dei diritti umani raggiunge un livello così elevato che il rischio risulta in re ipsa (C.G. 30 gennaio 2014, in causa C-285/12, Diakite’, punto 10.3). Ne deriva, sul piano strettamente logico, prima ancor che cronologico, che l’accertamento di tale situazione deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità e sulla condizione individuale del ricorrente.

3.3. In tema di valutazione di credibilità del richiedente asilo, il relativo giudizio, eventualmente negativo, non può, di conseguenza, in alcun modo essere posto a base, ipso facto, del diniego di cooperazione istruttoria cui il giudice è obbligato ex lege, volta che quel giudice non sarà mai in grado, ex ante, di conoscere e valutare correttamente la reale ed attuale situazione del Paese di provenienza del ricorrente – sicché risulta frutto di un evidente paralogismo l’equazione mancanza di credibilità/insussistenza dell’obbligo di cooperazione.

3.3.1. Appare, pertanto, palese la erroneità della motivazione del decreto impugnato (carente del tutto di qualsivoglia approfondimento istruttorio tramite l’acquisizione delle pur necessarie COI, delle quali non vi si rinviene traccia alcuna) nella parte in cui vi si legge della necessità “che, dal complesso della vicenda posta a base della domanda, emerga un fondato rischio per il richiedente di essere esposto… a causa della propria situazione specifica, non essendo in questa sede rilevante l’eventuale rischio di trattamenti inumani o degradanti derivante da una situazione di violenza generalizzata al quale potrebbe essere esposta tutta la popolazione di una determinata zona”; ed altrettanto errata risulta l’interpretazione della sentenza (pur citata dal tribunale) della Corte di Giustizia del 17.2.2009 (Elgafaij), attesa la indebita sovrapposizione tra le fattispecie di cui all’art. 14 lett. a) e b) e la diversa ipotesi di cui alla lett. c), rispetto alla quale, sia pur in via eccezionale, non è richiesta alcuna individualizzazione del rischio.

3.4. In sede di riesame della domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. C il giudice del rinvio, in adempimento dell’obbligo di cooperazione mediante l’acquisizione di COI attendibili e aggiornate al momento della decisione, si atterrà, pertanto, ai seguenti principi:

a. il dovere di cooperazione istruttoria rappresenta una peculiarità processuale del giudizio di protezione internazionale, cui il giudice di merito deve adempiere d’ufficio, fondando la propria decisione su fonti informative attendibili (e cioè riconducibili a quanto predicato dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3), idonee allo scopo informativo rispetto alla vicenda narrata ed aggiornate alla data della decisione, in ragione della rapida mutevolezza delle condizioni sociopolitiche, economiche, climatiche e sanitarie dei paesi di provenienza dei richiedenti asilo;

b. il ricorrente non ha alcun onere di indicare specificamente, riportandone il contenuto, fonti alternative a quelle utilizzate, non essendo tenuto a supplire ad una carenza istruttoria che costituisce oggetto di uno specifico obbligo ex lege del giudice di merito.

Nessuna censura viene mossa dalla difesa del richiedente asilo alla decisione del tribunale di rigetto della domanda di protezione umanitaria, ciò che impedisce a questa Corte di valutarne la sua eventuale non conformità a diritto.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e in parte il secondo motivo, accoglie la restante parte del secondo motivo, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo in parte accolto e rinvia il procedimento al Tribunale di Milano, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472