Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26483 del 29/09/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

U.N., (codice fiscale *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocata Rosalia Bennato, del Foro di Milano, presso il cui studio è

elettivamente domiciliato in Milano, Corso Buenos Aires n. 52;

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano n. 7544/2019, pubblicato il 17/9/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 aprile 2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

PREMESSO IN FATTO

– che il signor U., nato in ***** il *****, ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo ha rigettato con decreto reso in data 17 settembre 2019;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente, comparendo personalmente in udienza dinanzi al giudice di primo grado (ed affermando di volersi riportare a quanto già dichiarato dinanzi alla commissione territoriale e di non avere altro da aggiungere o da modificare, se non la propria effettiva data di nascita) aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese per sfuggire alle persecuzioni dei cugini, che volevano impossessarsi di un terreno acquistato dal padre (che aveva lavorato 25 anni a Dubai) prima di morire, i quali lo avevano brutalmente aggredito e picchiato, causandone il ricovero in ospedale, e di essere stato, in seguito, scacciato da casa dai fratelli, contrari al suo matrimonio.

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, alla luce: 1) della sostanziale inattendibilità del suo racconto, ritenuto in più parti intrinsecamente contraddittorio, attesane, inoltre, l’incongruenza logica specie in relazione alle presunte minacce dei fratelli, che risiedevano all’estero e facevano ritorno soltanto episodicamente in *****; 2) della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento tanto dello status di rifugiato, quanto della protezione sussidiaria in ciascuna delle tre forme di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 14, in conseguenza tanto del giudizio di non credibilità del ricorrente (lett. a e b), quanto dell’inesistenza di un conflitto armato nel Paese di respingimento (lett. c), alla luce di COI attendibili e aggiornate all’anno 2018; 3) dell’impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità del richiedente asilo idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;

– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di 2 motivi di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

OSSERVA IN DIRITTO 1. Col primo motivo, si censura il decreto impugnato per violazione e falsa applicazione degli artt. (art. 360 c.p.c., n. 3) per mancata fissazione dell’udienza per l’audizione del ricorrente.

Il motivo è infondato.

1.1. Il mancato accoglimento della censura consegue ai principi più volte affermati, in passato, dalla giurisprudenza di questa Corte – a mente dei quali la fissazione (obbligatoria) dell’udienza per la comparizione delle parti (D.Lgs. n. 35 del 2008, art. 35, comma 10 e 11) ha valore strettamente tecnico-processuale e non si riferisce necessariamente alla presenza personale delle parti né all’obbligo di audizione del ricorrente (per tutte, Cass. 17717/2018 e successive conformi) – pur alla luce della necessaria (e condivisibile) precisazione, operata più di recente da questo stesso giudice di legittimità, secondo cui “l’audizione personale in sede giudiziale diviene – proprio alla luce della peculiare articolazione del rito previsto per l’esame delle domande di protezione internazionale – la modalità più semplice per supplire all’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa, assicurando al richiedente l’effettiva esplicazione del diritto di difesa in un contraddittorio pieno, e ponendo il giudice di merito in condizione di poter decidere avendo completa contezza degli elementi di valutazione” (Cass. 9228/2020), e pur considerando, ancora, la ulteriore, ed altrettanto opportuna specificazione a mente della quale “il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 22049/2020; 21584/2020; 25439/2020).

1.2. Nell’illustrazione del motivo in esame, difatti, oltre a non considerarsi minimamente (quanto incomprensibilmente) la circostanza che il ricorrente era comparso personalmente dinanzi al Tribunale e, in presenza dell’interprete, si era integralmente riportato alle dichiarazioni già rese in commissione, non risultano in alcun modo evidenziate le circostanze che, nel caso di specie, avrebbero reso necessaria una nuova audizione, venendo, piuttosto, richiamati soltanto i principi generali, normativi e giurisprudenziali, che quell’audizione avrebbero astrattamente imposto al Tribunale.

2 Col secondo motivo, si lamenta la nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4); violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8,D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g) e art. 14; omesso esame circa un fatto decisive per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5);

2.1. Il motivo è suddiviso in 3 sub-motivi.

2.2. Il primo e il secondo sub motivo, che lamentano, rispettivamente, l’erroneità della valutazione di credibilità del ricorrente e il mancato riconoscimento di tutte le forme di protezione maggiori, sono, rispettivamente, inammissibile e infondato.

2.2.1. Inammissibile è il primo sub-motivo, che si risolve in una mera petizione di principio, lamentandosi, formalmente e in astratto, un vizio di motivazione apparente alla luce di due precedenti giurisprudenziali di questa Corte (f. 7 del ricorso), senza peraltro che una sola parola, una sola critica, una sola ricostruzione alternativa vengano offerte a questa Corte onde giustificare le necessità di un’interpretazione diversa e dissonante da quella concretamente adottata dal Tribunale nel caso di specie, alle relative valutazioni, alla specifica ricostruzione dei fatti, alle coerenti conclusioni dedottene, da cui totalmente si prescinde.

2.2.2. Infondato risulta il secondo sub motivo, che, quanto alla domanda di riconoscimento della status di rifugiato, ovvero di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, lett. a) e b), prescinde totalmente dal relativo presupposto applicativo (e nella specie, ipso facto ostativo), e cioè il giudizio sulla credibilità del ricorrente, esclusa dal Tribunale, mentre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), all’esito di una ridondante esposizione di dati normativi e di precedenti giurisprudenziali, il motivo si limita a contrapporre, al contenuto delle COI acquisite dal Tribunale in ossequio all’obbligo di cooperazione – e dall’analisi del cui contenuto viene motivatamente esclusa l’esistenza di un conflitto armato interno – una segnalazione (senza data) dell’Agenzia Europea per il supporto all’asilo, che non opera alcun riferimento a tale condizione del paese, limitandosi ad evidenziare “segnalazioni di furti di terra, di sequestri forzati e di dispute proprietarie di difficile risoluzione attraverso i canali legali” (f. 13 del ricorso).

2.3. Il terzo sub-motivo, che lamenta il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, è invece fondato.

2.3.1. In sintesi, lamenta il ricorrente:

– Il mancato accertamento della situazione del Paese sotto il profilo della tutela dei diritti umani, e la conseguente violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria rilevante in parte qua (f. 17 del ricorso);

– La violazione dell’obbligo di comparazione, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, tra la situazione del Paese di origine, con specifico riguardo alla mancata tutela dei diritti umani fondamentali, ed il livello di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente asilo, trascurandosi del tutto le circostanze che questi aveva frequentato corsi di italiano per stranieri e lavorava regolarmente per effetto di contratti a tempo determinato più volte rinnovati (f. 4 del ricorso).

2.3.2. Osserva la Corte che correttamente il ricorrente lamenta, oltre che l’omesso esame di fatti decisivi (costituiti dalla situazione del Paese così come rappresentati dallo stesso Tribunale in sede di esame della domanda di protezione sussidiaria: infra, sub 2.3.6.), anche l’illegittima omissione di qualsivoglia giudizio comparativo tra la situazione del richiedente asilo in Italia sotto il profilo dell’integrazione e la situazione oggettiva del Paese di origine, in spregio ai principi più volte affermati da questa Corte regolatrice in tema di protezione umanitaria, a mente dei quali, se, per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, lett. a) e b), deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

2.3.3. Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, pertanto, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza e della comparazione degli indicati presupposti (per tutte, Cass. 8819/2020; Cass. 19337/2021), che non sono condizionati dalla eventuale valutazione negativa di credibilità del ricorrente – o, comunque, dal contenuto della sua narrazione, ove pur ritenuta credibile ma non rilevante ai fini della concessione della misura di protezione invocata, come nella specie.

2.3.4. Il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, estensivamente interpretato, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale (Cass. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016) in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazione sub specie del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c)) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile – di cui pure il provvedimento impugnato sembra indirettamente dare atto (supra, in narrativa, sub 2.1.), nel riportare il contenuto dello COI utilizzate per escludere l’esistenza di un conflitto armato.

2.3.5. Nella specie, la motivazione adottata dal giudice di merito per respingere la domanda di protezione umanitaria risulta così concepita (decimo foglio, quarto/ottavo rigo): “i rischi connessi alla re-immissione del sig. U.N. nel ***** sia in relazione alle sue condizioni personali sia alla situazione generale del Paese sono stati compiutamente analizzati in precedenza e non sono stati dedotti particolari e sufficienti elementi per ritenere che, ove rientrasse in *****, egli si troverebbe in uno stato di particolare vulnerabilità”, riaffermandosi poi “la già accennata inattendibilità della narrazione” nonché la mancanza “di indici di vulnerabilità” (il foglio del decreto, privo di numerazione).

2.3.6. Trattasi motivazione non conforme a diritto, volta che lo stesso Tribunale, quanto all’analisi della situazione-Paese sotto il profilo in parola, afferma testualmente (riportando il contenuto del Report Human Right Watch del gennaio 2018) che “anche lo stato di indigenza di gran parte della popolazione del ***** è un dato purtroppo confermato dalle fonti più accreditate”, mentre “l’attuale situazione politica mostra severe criticità quanto a sicurezza interna e rispetto dei diritti fondamentali” (sia pur in presenza, si aggiunge, “di una prospettiva di forte crescita economica”), mentre, sul piano comparatistico, in punto di valutazione della integrazione del richiedente asilo, risulta del tutto carente la valutazione degli elementi allegati dal ricorrente sotto il profilo dell’attività lavorativa svolta.

3.4. Va pertanto riaffermato il principio di diritto, cui il giudice di rinvio si atterrà nel riesaminare la domanda di protezione umanitaria, alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare la valutazione comparativa della situazione oggettiva, oltre che eventualmente soggettiva, del richiedente asilo con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione dei diritti fondamentali della persona, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza – pur senza che abbia rilievo esclusivo l’esame del livello di integrazione, se isolatamente ed astrattamente considerato.

P.Q.M.

La Corte accoglie in parte il secondo motivo del ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta il primo motivo, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo in parte accolto e rinvia il procedimento al Tribunale di Milano, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472