Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26487 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23205/2017 proposto da:

G.K.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Bassano del Grappa 24, presso lo studio dell’avvocato Michele Costa, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Alex Biamino, in forza di procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.M.;

– intimato –

nonché contro P.M., elettivamente domiciliata in Roma Via Tacito 10 presso lo studio dell’avvocato Enrico Dante, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ivo Winkler, in forza di procura speciale allegata al controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 1/2017 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. di BOLZANO, depositata il 23/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Bolzano nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il ***** tra G.K.A. e P.M., promosso con ricorso del 18/12/2012 da G.K.A., dopo aver pronunciato sentenza parziale di cessazione degli effetti civili del matrimonio in data *****, con la sentenza definitiva del ***** ha rigettato la domanda di assegnazione dell’alloggio familiare proposta dalla moglie e ha attribuito a suo favore un assegno mensile di Euro 150,00 sul presupposto del lavoro domestico e della cura dei figli a cui la sig.ra P. si era dedicata in costanza di matrimonio con la consequenziale perdita di chances lavorative, a spese compensate.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello G.K.A., chiedendo la reiezione della richiesta di assegno della moglie, a cui ha resistito l’appellata P.M..

La Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 23/3/2017 ha respinto il gravame, con l’aggravio delle spese del grado.

La Corte di appello ha affermato che l’assegno divorzile così riconosciuto era giustificato dalla differente capacità economica dei coniugi e dalla incapacità della moglie di conservare il tenore di vita goduto durante il matrimonio e rappresentava comunque un equo indennizzo per le mansioni di madre e casalinga da ella svolte in costanza di matrimonio.

3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 2/10/2017 ha proposto ricorso per cassazione G.K.A., svolgendo unico motivo.

Con atto notificato il 14/11/2017 ha proposto controricorso P.M. chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

La controricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 5 che consente l’attribuzione di un assegno solo se il coniuge richiedente non ha mezzi adeguati o non può procurarseli per ragioni oggettive, sicché l’unico criterio da considerare investe l’autosufficienza economica dei coniugi.

Il ricorrente aggiunge che la sig.ra P., dopo la tragica scomparsa del figlio K., si era dimessa dal lavoro di cameriera d’albergo e aveva iniziato a lavorare (con reddito così ridotto di Euro 300 al mese) come turnista con uno stipendio mensile di Euro 1.300,00, comunque più che sufficiente per la vita in un borgo montano senza spese di locazione.

2. La sentenza impugnata è stata pronunciata prima del revirement giurisprudenziale di cui alla sentenza 10/5/2017, n. 11504 e del successivo intervento delle Sezioni Unite 11/7/2018, n. 18287.

L’orientamento giurisprudenziale pregresso era stato compiutamente tratteggiato dalla sentenza delle Sezioni Unite 29/11/1990, n. 11490, secondo cui l’assegno di divorzio, nonostante la molteplicità di parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 nel testo tuttora vigente aveva natura assistenziale e doveva essere concesso tutte le volte in cui il coniuge richiedente non disponeva di mezzi sufficienti a mantenere il “tenore di vita” goduto durante la vita coniugale.

La sentenza della Sez.1 n. 11504 del 10/05/2017, Rv. 644019 – 01, ha sancito l’abbandono dell’indirizzo precedente, secondo il quale il giudizio di adeguatezza doveva essere condotto in relazione al parametro del “tenore di vita” e ha negato l’assegno al coniuge economicamente autosufficiente. E’ stato così affermato che il diritto all’assegno di divorzio, di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 5 è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso.

Tali principi sono stati rivisti, corretti e puntualizzati successivamente dalle Sezioni Unite che hanno affermato che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, possiede una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, e richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; a tal fine debbono applicarsi i criteri pariordinati di cui alla prima parte della norma, che costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. (Sez. U, n. 18287 del 11/07/2018, Rv. 650267 – 01).

Le Sezioni Unite hanno quindi, per un verso, integrato i principi formulati dalla sentenza n. 11504/2017, confermando il definitivo abbandono del parametro del “tenore di vita” e il riparto degli oneri probatori (che grava il coniuge richiedente di provare la situazione che giustifica la corresponsione dell’assegno); per altro verso, hanno riconosciuto all’assegno di divorzio una funzione non soltanto assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non gli assicuri l’autosufficienza), ma anche riequilibratrice, o ancor meglio “compensativo-perequativa”, ove ne sussistano i presupposti.

In tal caso, e cioè quando sussista la condizione, necessaria ma non sufficiente, che le situazioni economico-patrimoniali dell’uno e dell’altro coniuge, all’esito del divorzio, siano squilibrate, quantunque entrambi versino in situazione di autosufficienza, non vige alcuna distinzione tra criteri attributivi, rilevanti ai fini dell’an del diritto all’assegno, e criteri determinativi, rilevanti solo successivamente ai fini del quantum.

Ferma in ogni caso la funzione assistenziale, in ipotesi di ex coniuge non economicamente autosufficiente, le Sezioni Unite hanno giudicato eccessivamente rigido il congegno fissato nel 2017, scandito dalla netta separazione del giudizio sull’an da quello sul quantum, ed hanno evidenziato taluni aspetti non coperti dall’applicazione del nuovo indirizzo, in particolare non idoneo a far fronte a quei casi in cui l’ex coniuge richiedente, massime nel quadro di un rapporto matrimoniale protrattosi per lungo tempo, pur versando all’esito del divorzio in situazione di autosufficienza economica, si trovi rispetto all’altro in condizioni economico patrimoniali deteriori per aver rinunciato, in funzione della contribuzione ai bisogni della famiglia, ad occasioni in senso lato reddituali, attuali o potenziali, ed abbia in tal modo sopportato un sacrificio economico, a favore del coniuge, che meriti un intervento, come è stato detto, compensativo-perequativo.

3. Nella specie la Corte territoriale, pur facendo riferimento al pregresso tenore di vita della coppia, ha adottato in concreto una applicazione della legge conforme, ante litteram, all’interpretazione dell’art. 5, comma 6, proposta dalle Sezioni Unite, costituente l’attuale diritto vivente.

Infatti la Corte di appello, dopo aver accertato sia una differenza di redditi fra i coniugi con uno squilibrio in favore del sig. G., titolare di redditi di pensione e di lavoro, assistita da una prognosi di stabilità per il futuro, sia una situazione di autosufficienza della sig.ra P., dovuta al reddito da lavoro e alla disponibilità pattizia della casa familiare in comproprietà con il marito, ha conferito rilievo a fattori di carattere perequativo-compensativo.

In particolare, secondo la Corte, doveva tenersi conto del fatto che la moglie durante i 29 anni del matrimonio, pertanto di lunga durata, si era occupata esclusivamente della cura e dell’assistenza dei tre figli comuni e in particolare della figlia T., handicappata dalla nascita, e solo dopo la scomparsa di costei si era potuta dedicare ad una regolare occupazione lavorativa, con la conseguenza significativamente pregiudizievole della mancata maturazione di diritto alla pensione, direttamente imputabile alle scelte concordate fra i coniugi per la organizzazione e gestione della vita familiare, cosa questa che ha permesso al marito di dedicarsi a una regolare attività lavorativa retribuita e di maturare il trattamento pensionistico goduto.

Tale linea argomentativa è perfettamente allineata al dictum delle Sezioni Unite e non è inficiata dal riferimento, peraltro filtrato attraverso le citazioni giurisprudenziali, al pregresso tenore di vita della coppia, che non appartiene alla reale ratio decidendi della decisione impugnata, imperniata sulla rilevanza causale dei sacrifici sopportati dalla moglie sulle attuali differenze reddituali.

4. Il ricorso deve quindi essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

La Corte ritiene necessario disporre che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 3.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 21 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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