Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26488 del 29/09/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24501/2017 proposto da:

M.M., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Riccardo Marzo, in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.L.;

– intimato –

nonché contro P.L., elettivamente domiciliata in Roma Via G. G. Belli 36 presso lo studio dell’avvocato Silvia Clemenzi e rappresentata e difesa dall’avvocato Ermelinda Elia, in forza di procura speciale allegata al ricorso;

– controricorrente –

Avvero la sentenza n. 972/2016 della CORTE D’APPELLO DI LECCE, depositata il 11/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso depositato il ***** M.M. chiedeva la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il ***** con P.L., nonché l’attribuzione a suo favore della casa coniugale di sua proprietà, assegnata alla moglie in sede di separazione, il versamento diretto dell’assegno a favore del figlio A., ormai maggiorenne, e la congrua fissazione dell’assegno divorzile a favore della moglie.

La signora P. si costituiva, chiedendo la conferma dell’assegnazione della casa coniugale, l’aumento dell’assegno a suo favore ad Euro 4.000,00 e un ulteriore contributo complessivo di Euro 1.600,00 per i figli A. e L.P..

Il Tribunale di Lecce pronunciava con sentenza non definitiva in data ***** la cessazione degli effetti civili del matrimonio e quindi con sentenza definitiva del ***** assegnava la casa coniugale alla signora P.L. e imponeva al marito il pagamento di un assegno mensile di Euro 1.400,00 in favore della moglie e di un assegno mensile di Euro 650,00 in favore del figlio A., oltre alle spese di mantenimento del medesimo fuori sede per studi universitari.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado hanno proposto appello in via principale il Dott. M. e in via incidentale la sig.ra P..

La Corte di appello di Lecce con sentenza dell’11/10/2016, ha accolto il gravame principale, revocando sia l’assegno in favore del figlio A., sia l’assegnazione della casa coniugale in favore della sig.ra P. e il gravame incidentale, rideterminando l’assegno divorzile in favore della sig.ra P. in Euro 2.000,00, a spese compensate.

3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 17/10/2017 ha proposto ricorso per cassazione M.M. svolgendo quattro motivi.

Con atto notificato il 27/11/2017 ha proposto controricorso P.L., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, e si riferisce alla presunta rendita di partecipazione della sig.ra P. alla società odontoiatrica Dental Med s.s. di M.L.P. & c. s.a.s. costituita con il figlio nonché alle quote di proprietà indivisa su immobili di provenienza ereditaria e lamenta altresì violazione dell’art. 116 c.p.c. e della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

1.1. Il ricorrente lamenta il vizio motivazionale della sentenza impugnata sotto forma di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5 (risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134) in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

1.3. Il motivo appare inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza nel lamentare l’omesso esame di circostanze fattuali, inerenti le capacità reddituali della sig.ra P., costituite da una partecipazione societaria e da un patrimonio immobiliare, l’una e l’altra indicate in modo sommamente generico nei rispettivi contenuti nell’ambito del motivo (finanche senza indicare l’entità della quota di partecipazione e la consistenza della società e senza descrivere i cespiti e allegarne il valore).

Per di più il ricorrente non indica, se non ancora in modo del tutto generico, quando e come le predette circostanze sarebbero state esposte al contraddittorio processuale.

1.4. Altrettanto inammissibile appare la doglianza, congiuntamente prospettata, di violazione di legge, oltretutto formulata in modo del tutto generico.

E’ d’uopo ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi, riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.

Analogamente, la violazione dell’art. 116 c.p.c. è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcun piuttosto che a altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato “della valutazione delle prove” (Sez. 3, 28/02/2017, n. 5009; Sez. 2, 14/03/2018, n. 6231).

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, con riferimento al nuovo stato di pensionato del Dott. M. e al suo stato di salute con conseguente minor reddito e presumibile riduzione dell’impegno lavorativo, con violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, e della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

2.1. Valgono anche a questo proposito le medesime considerazioni generali esposte nel precedente p. 1.2.

2.2. In ogni caso il ricorrente non si confronta con la specifica affermazione della Corte di appello secondo cui permanevano le stesse condizioni reddituali già valutate dal Tribunale e mancava qualsiasi prova di una riduzione effettiva del reddito del Dott. M..

Il riferito pensionamento del Dott. M. è del tutto irrilevante, visto che il ricorrente non dà conto della prova di una riduzione del proprio reddito, specificamente negata dalla Corte salentina, e tanto meno di averla tempestivamente dedotta nel giudizio di merito e anzi riconosce la parallela continuazione, pur sempre possibile, della propria attività professionale di odontoiatra.

Altrettanto ininfluente appare la menzione di una imprecisata patologia, neppure indicata nel motivo di ricorso e genericamente citata con riferimento a un certificato della ASL *****, prodotto dopo la chiusura del contraddittorio con la seconda comparsa conclusionale.

2.3. Identica sorte merita il reiterato generico riferimento ai cespiti patrimoniali asseritamente misconosciuti della sig.ra P..

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, con riferimento alla necessità della sig.ra P. di vivere da sola dopo il rilascio della casa coniugale, nonché violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per incongrua esposizione delle ragioni di fissazione della nuova misura dell’assegno divorzile.

Il motivo è palesemente inammissibile perché totalmente riversato nel merito e finalizzato a contestare la decisione della Corte di appello, che ha semplicemente adeguato il contributo mensile a carico del marito al venir meno dell’assegnazione della casa familiare, determinato dalla maturata indipendenza economica dei figli della coppia, per tener conto della necessità della sig.ra P. di corrispondere un canone di locazione per l’abitazione.

La correlazione temporale istituita dai giudici leccesi fra revoca dell’assegnazione della casa familiare e aumento del contributo è del tutto logica e ineccepibile.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, con riferimento all’ammontare dell’assegno divorzile chiesto dalla sig.ra P. in primo e secondo grado, con violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. riguardo alla compensazione delle spese processuali.

Il motivo è inammissibile, tenuto conto della soccombenza reciproca sia nell’esito del giudizio di appello, sia nell’economia complessiva della lite.

In tema di spese processuali, il potere del giudice di disporre la compensazione delle stesse per soccombenza reciproca ha quale unico limite quello di non poter porne, in tutto o in parte, il carico in capo alla parte interamente vittoriosa, poiché ciò si tradurrebbe in un’indebita riduzione delle ragioni sostanziali della stessa, ritenute fondate nel merito. (Sez. 5, n. 10685 del 17/04/2019, Rv. 653541 – 01); la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Sez. 2, n. 30592 del 20/12/2017, Rv. 64661-01; Sez. 6 – 3, n. 14459 del 26/05/2021, Rv. 661569 – 01).

5. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

La Corte ritiene necessario disporre che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 5.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 21 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472