Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26489 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4455/2018 proposto da:

A.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via Nomentana 257 presso lo studio dell’avvocato Giorgia Loreti, che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore del 15.10.2020;

– ricorrente –

contro

F.G.;

Procuratore generale della Repubblica presso Corte appello di Napoli;

– intimati –

nonché contro F.G., domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentata e difesa dall’avvocato Jlia Pasquali Cerioli, in forza di procura speciale in calce alla memoria costituzione di nuovo difensore del 19.4.2021;

– controricorrente incidentale –

contro

A.E.;

Procuratore generale della Repubblica presso Corte Appello di Napoli;

– intimato –

nonché contro A.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via Nomentana 257 presso lo studio dell’avvocato Giorgia Loreti, che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore del 15.10.2020;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3583/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Napoli, dopo aver dichiarato con sentenza parziale del ***** la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il ***** fra A.E. e F.G., con sentenza definitiva del 9/9/2016 ha rigettato la domanda del marito, attore in giudizio, volta a ridurre l’assegno di mantenimento fissato in sede di separazione consensuale e ha attribuito alla moglie convenuta un assegno divorzile di Euro 4.000,00 al mese, con rivalutazione Istat, ponendo le spese a carico del sig. A..

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado hanno proposto appello in via principale A.E. e in via incidentale la sig.ra F.G..

La Corte di appello di Napoli con sentenza del 30/8/2017, ha respinto il gravame principale e quello incidentale, a spese compensate.

3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 6/2/2018 ha proposto ricorso per cassazione A.E., svolgendo sei motivi.

Con atto notificato il 14/3/2018 ha proposto controricorso F.G., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e a sua volta proponendo ricorso incidentale condizionato, con il supporto di un motivo.

Con controricorso del 18/4/2018 A.E. ha replicato al ricorso incidentale avversario.

In data 15/10/2020 si è costituito per A.E. un nuovo difensore, in sostituzione del precedente.

In data 19/11/2020 si è costituito per F.G. un nuovo difensore, in sostituzione del precedente.

In data 19/4/2021 si è costituito per F.G. un ulteriore nuovo difensore, in sostituzione del precedente.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi del ricorso principale di A.E. sono tutti legati ai criteri di attribuzione e quantificazione dell’assegno divorzile.

1.1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente principale A.E. denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 nella parte in cui la Corte di appello, interpretando la norma come attributiva dell’assegno divorzile quando l’ex coniuge non sia autosufficiente economicamente, non ha indicato la soglia in concreto satisfattiva del criterio dell’indipendenza economica.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 nella parte in cui la sentenza impugnata ha determinato l’importo dell’assegno attraverso un erroneo, immotivato e arbitrario bilanciamento fra i criteri indicati nella norma.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 nella parte in cui la Corte di appello, interpretando la norma come attributiva dell’assegno divorzile quando l’ex coniuge non sia autosufficiente economicamente, ha superato nella valutazione l’importo stabilito dai coniugi in sede di separazione.

1.4. Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 con riferimento anche all’art. 2697 c.c., nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto provata l’impossibilità oggettiva della sig.ra F. di procurarsi redditi adeguati a raggiungere la autosufficienza economica.

1.5. Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 come interpretata dalle Sezioni Unite con sentenza n. 11490 del 1990, laddove in sede di quantificazione dell’assegno divorzile era stato attribuito erroneo, immotivato e arbitrario rilievo ai criteri indicati dalla norma.

1.6. Con il sesto motivo di ricorso, il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 come interpretata dalle Sezioni Unite con sentenza n. 11490 del 1990, e anche in riferimento all’art. 2697 c.c. laddove era stata ritenuta provata l’impossibilità oggettiva della sig.ra F. di procurarsi redditi adeguati a conservare il tenore di vita pregresso.

2. La Corte di appello di Napoli è partita dalla constatazione che il matrimonio fra A.E. e F.G. era stato contratto nel *****, quando i coniugi, entrambi reduci da un precedente matrimonio e genitori di figli di primo letto, avevano già una certa età (rispettivamente ***** anni) ed aveva avuto breve durata, appena due anni di effettiva convivenza, visto che un primo procedimento di separazione, iniziato nel *****, si era concluso per riconciliazione, ma senza ripresa della convivenza; i coniugi si erano definitivamente separati legalmente nel *****.

Quanto alle condizioni patrimoniali e reddituali delle parti la Corte di appello ha accertato che A.E., già imprenditore di successo in campo nazionale e internazionale nella produzione dei provoloni, tuttora attivo in molteplici iniziative imprenditoriali dopo aver dismesso le sue partecipazioni societarie nell’azienda familiare in favore dei figli, era tuttora titolare di un rilevantissimo patrimonio immobiliare (composto da cespiti sparsi in Italia e all’estero di grande valore e prestigio) e di cospicui interessi e partecipazioni societarie, e intratteneva un tenore di vita di altissimo profilo con costi di centinaia di migliaia di Euro al mese.

Quanto alla signora F., ormai ***** e in possesso di un remoto diploma magistrale, la Corte di appello ha escluso la percezione di alcun flusso di redditi; ha dubitato della possibilità di procurarseli; ha negato che sussistessero le prove della disponibilità da parte sua di un tesoretto patrimoniale (ipotizzato solo genericamente dal primo ex marito); ha accertato che l’unico cespite disponibile era un appartamento di pregio in via *****, da essa abitato con i figli di primo letto.

In punto an debeatur, secondo la Corte napoletana, quindi la sig.ra F. non aveva redditi di sorta, né poteva procurarsene, e aveva quindi diritto all’assegno divorzile.

In punto quantum, espunta preliminarmente la rilevanza di ogni riferimento al pregresso lussuoso tenore di vita dei coniugi in costanza di matrimonio, la Corte territoriale ha osservato che le ragioni della decisione apparivano del tutto neutre, che la durata del matrimonio quanto all’effettiva convivenza era stata assai modesta e che il contributo personale ed economico della moglie alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge o del patrimonio comune era pari a zero, non rilevando in tal senso la esclusiva dedizione della coppia alla cura e al mantenimento di relazioni sociali in ambienti prestigiosi.

Secondo la Corte di appello, la signora F. non aveva diritto alcuno a godere sine die dei privilegi e dei lussi della “favola dorata” che aveva rappresentato la sua vita matrimoniale.

Tuttavia, secondo la Corte partenopea, spettava alla moglie l’assegno di Euro 4.000,00 al mese riconosciutole dal Tribunale, che le permetteva non già il godimento del pregresso tenore di vita, ma piuttosto “una molto decorosa esistenza”, tenuto conto della disponibilità di un prestigioso appartamento per l’abitazione.

3. La sentenza impugnata è stata pronunciata dopo la pubblicazione della sentenza di questa Corte del 10/5/2017, n. 11504, a cui ha mostrato di volersi adeguare, ma prima del successivo intervento delle Sezioni Unite del 11/7/2018, n. 18287.

L’orientamento giurisprudenziale pregresso era stato compiutamente tratteggiato dalla sentenza delle Sezioni Unite 29/11/1990, n. 11490, secondo cui l’assegno di divorzio, nonostante la molteplicità di parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 nel testo tuttora vigente, aveva natura assistenziale e doveva essere concesso tutte le volte in cui il coniuge richiedente non disponeva di mezzi sufficienti a mantenere il “tenore di vita” goduto durante la vita coniugale.

La sentenza della Sez. 1 n. 11504 del 10/05/2017, Rv. 644019 – 01, ha sancito l’abbandono dell’indirizzo precedente, secondo il quale il giudizio di adeguatezza doveva essere condotto in relazione al parametro del “tenore di vita” e ha negato l’assegno al coniuge economicamente autosufficiente. E’ stato così affermato che il diritto all’assegno di divorzio, di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’auto-responsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso.

Tali principi sono stati rivisti, corretti e puntualizzati successivamente dalle Sezioni Unite che hanno affermato che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, possiede una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, e richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; a tal fine debbono applicarsi i criteri pari-ordinati di cui alla prima parte della norma, che costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto (Sez. U, n. 18287 del 11/07/2018, Rv. 650267 – 01).

Le Sezioni Unite hanno quindi, per un verso, integrato i principi formulati dalla sentenza n. 11504/2017, confermando il definitivo abbandono del parametro del “tenore di vita” e il riparto degli oneri probatori (che grava il coniuge richiedente di provare la situazione che giustifica la corresponsione dell’assegno); per altro verso, hanno riconosciuto all’assegno di divorzio una funzione non soltanto assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non gli assicuri l’autosufficienza), ma anche riequilibratrice, o ancor meglio “compensativo-perequativa”, ove ne sussistano i presupposti.

In tal caso, e cioè quando sussista la condizione, necessaria ma non sufficiente, che le situazioni economico-patrimoniali dell’uno e dell’altro coniuge, all’esito del divorzio, siano squilibrate, quantunque entrambi versino in situazione di autosufficienza, non vige alcuna distinzione tra criteri attributivi, rilevanti ai fini dell’an del diritto all’assegno, e criteri determinativi, rilevanti solo successivamente ai fini del quantum.

Ferma in ogni caso la funzione assistenziale, in ipotesi di ex coniuge non economicamente autosufficiente, le Sezioni Unite hanno giudicato eccessivamente rigido il congegno fissato nel 2017, scandito dalla netta separazione del giudizio sull’an da quello sul quantum, ed hanno evidenziato taluni aspetti non coperti dall’applicazione del nuovo indirizzo, in particolare non idoneo a far fronte a quei casi in cui l’ex coniuge richiedente, massime nel quadro di un rapporto matrimoniale protrattosi per lungo tempo, pur versando all’esito del divorzio in situazione di autosufficienza economica, si trovi rispetto all’altro in condizioni economico patrimoniali deteriori per aver rinunciato, in funzione della contribuzione ai bisogni della famiglia, ad occasioni in senso lato reddituali, attuali o potenziali, ed abbia in tal modo sopportato un sacrificio economico, a favore del coniuge, che meriti un intervento, come è stato detto, compensativo-perequativo.

4. Il quarto e il sesto motivo del ricorso principale, prioritario dal punto di vista logico-giuridico, sono dedicati al tema dell’an debeatur dell’assegno divorzile, appaiono strettamente connessi ed anzi in qualche misura obiettivamente ripetitivi – e possono essere esaminati e trattati congiuntamente.

4.1. In sostanza il ricorrente A.E. lamenta che la Corte di appello abbia mal applicato la regola dell’onere probatorio che avrebbe imposto alla sig.ra F. di dimostrare di non possedere redditi adeguati.

4.2. Le censure sono inammissibili in quanto volte a provocare da parte di questa Corte di legittimità una indebita rivalutazione del materiale istruttorio relativo alla consistenza patrimoniale e reddituale della signora F., oggetto di valutazione conforme da parte dei giudici di primo e secondo grado.

4.3. V’e’ da aggiungere che la Corte di appello ha altresì stigmatizzato (pag. 10, p. 8) la genericità delle doglianze sul punto già espresse con l’atto di appello dal sig. A. nei confronti della sentenza di primo grado.

Infine, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni, ma non anche laddove si contesti il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito (Sez. 2, 24/01/2020, n. 1634; Sez. lav., 19/08/2020, n. 17313; Sez. 6, 23/10/2018 n. 26769; Sez. 3, 29/5/2018, n. 13395; Sez. 2, 7/11/2017 n. 26366).

5. Il primo, secondo, terzo e quinto motivo del ricorso principale sono dedicati al tema del quantum debeatur dell’assegno divorzile, appaiono strettamente connessi e possono essere esaminati e trattati congiuntamente.

5.1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente principale A.E. denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come modificato dall’arti della L. n. 74 del 1987, nella parte in cui la Corte di appello, interpretando la norma come attributiva dell’assegno divorzile quando l’ex coniuge non sia autosufficiente economicamente, non ha indicato la soglia in concreto satisfattiva del criterio dell’indipendenza economica.

La censura è infondata poiché la Corte di appello, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, ha sostanzialmente indicato la soglia predetta, affermando – dopo aver espressamente ripudiato ogni rilevanza del pregresso tenore di vita plutocratico della coppia – che nel caso concreto la somma di Euro 4.000,00 al mese valeva a garantire alla sig.ra F. una esistenza molto decorosa.

Valutazione questa che attiene al merito, insindacabile in sede di legittimità e solo genericamente contestata da parte del ricorrente.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della determinazione dell’importo dell’assegno, a suo dire, operata attraverso un erroneo, immotivato e arbitrario bilanciamento fra i criteri indicati nella norma.

La censura è del tutto generica e si risolve in una contestazione nel merito della valutazione formulata dalla Corte territoriale, che ha tenuto essenzialmente conto del forte sbilanciamento delle capacità economiche dei due coniugi, escludendo qualsiasi funzione perequativo-compensativa dell’assegno in un contesto matrimoniale di breve durata (almeno quanto a convivenza effettiva) e di inesistenza di apporti significativi o apprezzabili sacrifici da parte del coniuge “debole”, e considerando irrilevanti le ragioni della separazione e conseguente divorzio.

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia superato nella valutazione l’importo stabilito dai coniugi in sede di separazione (Euro 3.200,00 mensili).

La censura è infondata; l’entità dell’assegno è stata stabilita dal Tribunale ed è stata confermata dalla Corte di appello, con doppia conforme statuizione, mentre non risulta, né dalla sentenza impugnata, né dal ricorso, la formulazione di alcun specifico motivo di appello con cui il sig. A. avesse contestato la decisione del Tribunale sotto quello specifico profilo (superamento dell’entità dell’assegno stabilito in sede di separazione).

Ne’, per vero, esiste alcun preciso vincolo normativo in tal senso, poiché è compito del giudice in sede divorzile effettuare una valutazione all’attualità che tenga conto dei parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

E’ pur vero che un orientamento giurisprudenziale di questa Corte ha affermato che la determinazione dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge in misura superiore a quella prevista in sede di separazione personale, in assenza di un mutamento nelle condizioni patrimoniali delle parti, non sarebbe conforme alla natura giuridica dell’obbligo, presupponendo, l’assegno di separazione la permanenza del vincolo coniugale, e conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; al contrario tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, essendo volto non alla ricostituzione del tenore di vita endo-coniugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Sez. 1, n. 5605 del 28/02/2020, Rv. 657036 – 01; Sez. 1, n. 17098 del 26/06/2019, Rv. 654639 – 01).

Tuttavia tale orientamento può essere preso a riferimento solo in un contesto in cui siano assenti giustificazioni compensativo- perequative (nella fattispecie effettivamente escluso) ma anche mutamenti nelle condizioni patrimoniali delle parti, come queste pronunce non hanno mancato di sottolineare.

E nella specie il Tribunale di Napoli (come ricorda il controricorso, pag. 39) nella sentenza confermata dalla Corte partenopea aveva fondato la quantificazione dell’assegno divorzile sulle mutate e peggiorate condizioni patrimoniali della sig.ra F. che nelle more aveva perso il reddito di Euro 2.400,00 mensili derivante dalla locazione dell’immobile di *****.

5.4. Con il quinto motivo, per vero esposto in modo non del tutto lineare e trasparente, il ricorrente pare voler criticare la sentenza impugnata, partendo da una interpretazione della norma di legge (L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6) di stampo tradizionale, conforme cioè agli orientamenti risalenti a Sez. un. 11490 del 1990 e non già alla diversa lettura inaugurata dalla sentenza 11504/2017, seguita dalla Corte napoletana.

Anche a prescindere dalla riferita oscurità del ragionamento critico e dal superamento di tale orientamento, ad opera della sentenza delle Sezioni Unite dell’11/7/2018, n. 18287 (sul punto non dissenziente dalla pronuncia del *****), non si riesce proprio a comprendere come il più antico orientamento possa giovare alle tesi del sig. A., visto che implicherebbe la parametrazione dell’assegno a quell’ultra-lussuoso tenore di vita della coppia che, correttamente, la Corte di appello di Napoli ha ritenuto di non dover considerare.

6. Con il ricorso incidentale condizionato la sig.ra F. denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, in relazione all’art. 2697 c.c. e lamenta l’errata applicazione dei criteri indicati dalla legge, che avrebbero dovuto comportare l’attribuzione di un assegno adeguato per assicurarle una vita dignitosa in rapporto al contesto sociale di appartenenza, valutando correttamente la durata del matrimonio, lo status di miliardario del sig. A., l’apporto arrecato dalla moglie che grazie alla sua eleganza e al suo fascino aveva creato un centro di aggregazione e interesse per il bel mondo napoletano.

Il ricorso è proposto in modo inequivocabilmente condizionato e non deve quindi essere esaminato, stante il rigetto del ricorso principale.

7. Il ricorso principale, proposto sulla base di motivi inammissibili o infondati, deve quindi essere respinto.

Il ricorso incidentale ut supra resta assorbito.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

La Corte ritiene necessario disporre che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 6.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 21 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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