LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21554/2018 proposto da:
P.G., elettivamente domiciliato in Roma Via Toscana 10 presso lo studio dell’avvocato Antonio Rizzo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Paola Silvia Colombo, in forza di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Pi.Ma.;
– intimato –
nonché contro Pi.Ma., elettivamente domiciliata in Roma Via Luigi Luciani 1 presso lo studio dell’avvocato Daniele Manca Bitti, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Annamaria Ramirez, in forza di procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente incidentale –
contro
P.G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 21/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 12/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso depositato il ***** P.G. si è rivolto al Tribunale di Mantova per chiedere la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il ***** con Pi.Ma., che si è costituita, chiedendo l’attribuzione di un assegno divorzile nella misura di Euro 8.000,00 mensili ovvero di Euro 10.000,000 in caso di non assegnazione della casa coniugale.
Il Tribunale di Mantova ha pronunciato con sentenza non definitiva in data ***** la cessazione degli effetti civili del matrimonio e quindi con sentenza definitiva del ***** ha attribuito un assegno mensile di Euro 2.500,00 in favore della moglie, a spese compensate.
2. Avverso la predetta sentenza di primo grado hanno proposto appello in via principale P.G. e in via incidentale Pi.Ma..
La Corte di appello di Brescia con sentenza del 12/1/2018 ha respinto entrambi i gravami, principale e incidentale, confermando il sequestro conservativo disposto in corso di giudizio a favore della Dott.ssa Pi. sui beni del marito, a spese compensate.
La Corte di appello nella sentenza impugnata:
– ha affermato di volersi conformare al nuovo indirizzo giurisprudenziale della Cassazione espresso dalle sentenze n. 11504 e 15481 del 2017, con scissione del giudizio sull’an e sul quantum debeatur dell’assegno divorzile e individuazione del presupposto per l’attribuzione dell’assegno nella assenza di mezzi adeguati o dell’impossibilità di procurarseli in capo al richiedente;
– ha tuttavia precisato che, pur con il superamento del tradizionale parametro del tenore di vita antecedente della coppia, la nozione di mezzi adeguati doveva essere correlata a una condizione di autosufficienza economica tale da permettere una vita libera e dignitosa;
– ha così ricostruito le condizioni economiche della Dott.ssa Pi.: trattamento pensionistico di Euro 1.200,00 mensili; comproprietà con il coniuge della villa coniugale di *****, ove attualmente dimora, per cui pende giudizio di divisione e per cui il marito reclama, in modo presumibilmente fondato, una indennità compensativa del suo esclusivo utilizzo; comproprietà di appartamento in *****, amministrato da uno dei figli e percezione in via esclusiva degli introiti da affitto turistico, secondo accordi fra i coniugi, non quantificati; comproprietà di un immobile in *****, attualmente non utilizzabile; patrimonio valutato in Euro 877.429,00;
– ha così ricostruito le condizioni economiche del Dott. P.: titolarità di un cospicuo patrimonio immobiliare, in parte costituito dalle tre comproprietà con la Dott.ssa Pi. sopra ricordate, e in parte in proprietà esclusiva, per un valore di Euro 3.355.631,00; partecipazione al capitale sociale della società Know Medical s.r.l.;
– ha ritenuto insussistente un effettivo deterioramento della situazione patrimoniale del Dott. P., ritenendo che costui avesse posto in essere una serie di attività dissimulative, costituendo un fondo patrimoniale con la nuova coniuge e il trust ***** in cui aveva conferito la nuda proprietà dell’immobile ove attualmente dimora, come pure costituendo la società via Verdi 15 s.r.l., avente sede presso il suo studio professionale e il cui fatturato era sostanzialmente riferibile alla sua persona;
– ha considerato il reddito della Dott.ssa Pi. (peraltro settantenne e incapace di un reinserimento lavorativo) inadeguato e inidoneo a far fronte alle sue esigenze in modo dignitoso, tenuto anche conto della correlativa pretesa dell’ex coniuge al compenso per uso esclusivo dell’ex casa coniugale;
– ha escluso l’idoneità di una soluzione di abbandono della ex casa coniugale per locare un immobile alternativo;
– ha ritenuto che la pendenza del giudizio di divisione non rendesse imminente la monetizzazione delle quote di comproprietà immobiliare indivisa;
– ha ritenuto significativo e determinante il contributo dell’ex moglie al successo del marito e alla formazione del suo patrimonio in oltre trenta anni di protratta convivenza coniugale, in cui si era dedicata ai figli e aveva anche aiutato il marito nell’attività lavorativa;
– ha ritenuto diversa la situazione della Dott.ssa Pi. rispetto a quella esistente al momento della separazione.
3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 11/7/2018 ha proposto ricorso per cassazione P.G., svolgendo quindici motivi.
Con atto notificato il 18/9/2018 ha proposto controricorso e ricorso incidentale Pi.Ma., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e a sua volta la cassazione della sentenza impugnata sulla base di un motivo.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La controricorrente con la memoria illustrativa del 29/2/2021 ha dato atto dell’intervenuta divisione in natura con rogito in data 17/9/2019, mediante reciproca assegnazione e conguaglio, di alcuni immobili in comproprietà tra gli ex coniugi siti nei Comuni di ***** e *****, traendone argomento per ipotizzare l’intervenuta cessazione della materia del contendere relativamente ad alcuni motivi di ricorso.
L’assunto non è condivisibile poiché la materia del contendere inter partes attiene all’esistenza e all’entità dell’assegno divorzile imposto a carico del Dott. P. a favore della ex coniuge, materia tuttora attuale e non esclusa dagli spostamenti patrimoniali successivi, tanto più effettuati in regime di scambio paritario di valori equilibrati mediante reciproche assegnazioni e conguaglio.
V’e’ inoltre da aggiungere che l’art. 372 c.p.c. non ammette in sede di legittimità il deposito di documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli che riguardano nullità della sentenza impugnata e ammissibilità del ricorso.
E’ pur vero che la giurisprudenza di questa Corte in tema di deposito di documenti nuovi in sede di legittimità, nonostante il testuale riferimento alla sola inammissibilità del ricorso, consente la produzione di ogni documento incidente sulla proponibilità, procedibilità e proseguibilità del ricorso medesimo, inclusi quelli diretti ad evidenziare l’acquiescenza del ricorrente alla sentenza impugnata per comportamenti anteriori all’impugnazione, ovvero la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti che elidano l’interesse alla pronuncia sul ricorso purché riconosciuti ed ammessi da tutti i contendenti (Sez. 2, n. 3934 del 29/02/2016 Rv. 638973 – 01).
Tuttavia, come si è detto, l’atto di divisione effettuato fra le parti non incide sulla materia del contendere, facendola cessare, e comunque non è stata riconosciuta ed ammessa dal ricorrente principale che nella sua memoria del 9/9/2021 tace sulla circostanza.
2. I primi otto motivi proposti dal ricorrente P.G. attengono tutti all’an debeatur dell’assegno divorzile.
3. La sentenza impugnata è stata pronunciata dopo il revirement giurisprudenziale inaugurato nella giurisprudenza di legittimità dalla sentenza del 10/5/2017, n. 11504 ma prima del successivo intervento delle Sezioni Unite del 11/7/2018, n. 18287.
L’orientamento giurisprudenziale pregresso era stato compiutamente tratteggiato dalla sentenza delle Sezioni Unite 29/11/1990, n. 11490, secondo cui l’assegno di divorzio, nonostante la molteplicità di parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nel testo tuttora vigente, aveva natura assistenziale e doveva essere concesso tutte le volte in cui il coniuge richiedente non disponeva di mezzi sufficienti a mantenere il “tenore di vita” goduto durante la vita coniugale.
La sentenza della Sez. 1 n. 11504 del 10/05/2017, Rv. 644019 – 01, ha sancito l’abbandono dell’indirizzo precedente, secondo il quale il giudizio di adeguatezza doveva essere condotto in relazione al parametro del “tenore di vita” e ha negato l’assegno al coniuge economicamente autosufficiente. E’ stato così affermato che il diritto all’assegno di divorzio, di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’auto-responsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso.
Tali principi sono stati rivisti, corretti e puntualizzati successivamente dalle Sezioni Unite che hanno affermato che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, possiede una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, e richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; a tal fine debbono applicarsi i criteri pari-ordinati di cui alla prima parte della norma, che costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. (Sez. U, n. 18287 del 11/07/2018, Rv. 650267 – 01).
Le Sezioni Unite hanno quindi, per un verso, integrato i principi formulati dalla sentenza n. 11504/2017, confermando il definitivo abbandono del parametro del “tenore di vita” e il riparto degli oneri probatori (che grava il coniuge richiedente di provare la situazione che giustifica la corresponsione dell’assegno); per altro verso, hanno riconosciuto all’assegno di divorzio una funzione non soltanto assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non gli assicuri l’autosufficienza), ma anche riequilibratrice, o ancor meglio “compensativo-perequativa”, ove ne sussistano i presupposti.
In tal caso, e cioè quando sussista la condizione, necessaria ma non sufficiente, che le situazioni economico-patrimoniali dell’uno e dell’altro coniuge, all’esito del divorzio, siano squilibrate, quantunque entrambi versino in situazione di autosufficienza, non vige alcuna distinzione tra criteri attributivi, rilevanti ai fini dell’an del diritto all’assegno, e criteri determinativi, rilevanti solo successivamente ai fini del quantum.
Ferma in ogni caso la funzione assistenziale, in ipotesi di ex coniuge non economicamente autosufficiente, le Sezioni Unite hanno giudicato eccessivamente rigido il congegno fissato nel 2017, scandito dalla netta separazione del giudizio sull’an da quello sul quantum, ed hanno evidenziato taluni aspetti non coperti dall’applicazione del nuovo indirizzo, in particolare non idoneo a far fronte a quei casi in cui l’ex coniuge richiedente, massime nel quadro di un rapporto matrimoniale protrattosi per lungo tempo, pur versando all’esito del divorzio in situazione di autosufficienza economica, si trovi rispetto all’altro in condizioni economico patrimoniali deteriori per aver rinunciato, in funzione della contribuzione ai bisogni della famiglia, ad occasioni in senso lato reddituali, attuali o potenziali, ed abbia in tal modo sopportato un sacrificio economico, a favore del coniuge, che meriti un intervento, come è stato detto, compensativo-perequativo.
4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.
4.1. Il Dott. P. si lamenta che la Corte di appello abbia confinato a mera formalità il parametro della adeguatezza dei mezzi a disposizione, abbia ipotizzato obblighi di solidarietà che sussisterebbero a prescindere dal giudizio sull’an dell’assegno divorzile e abbia così finito, in ultima analisi, con il ripristinare la regola, ormai superata, del tenore di vita antecedente della coppia in costanza di matrimonio.
La sentenza impugnata – prosegue il ricorrente – ha di fatto in tal modo recuperato la giurisprudenza anteriore al revirement di cui alle sentenze n. 11504 e n. 15481 del 2017, in forza del quale deve aversi prioritario riguardo al criterio dell’autosufficienza economica quale presupposto del giudizio sull’an debeatur.
4.2. Il motivo è infondato.
La Corte territoriale, dopo aver richiamato il nuovo orientamento della giurisprudenza di legittimità (sentenze 11504 e 15481 del 2017) e il conseguente mutamento di prospettiva, ha affermato in modio puntuale e inequivocabile (pag.10) che per la valutazione di inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente non era utilizzabile il parametro tradizionale del tenore di vita anteatto, ha semplicemente e ineccepibilmente precisato che il concetto di adeguatezza dei mezzi non era riducibile alla mera sussistenza materiale, ma doveva essere rapportato all’idoneità a garantire una vita libera e dignitosa (pag.11).
Il che è più che sufficiente a giustificare la reiezione della censura, non senza un cenno al fatto che la sentenza impugnata ha mostrato anche di voler tener conto, in funzione perequativa e compensativa, dei sacrifici e degli apporti determinanti della Dott.ssa Pi. al patrimonio dell’ex marito, così rispettando ante litteram le indicazioni provenienti dalla successiva pronuncia delle Sezioni Unite 10287 del 2018, che rappresenta l’attuale diritto vivente.
5. Con il secondo e terzo motivo, trattati congiuntamente il ricorrente denuncia due ulteriori vizi della pronuncia impugnata, ritenuti consequenziali al primo, e cioè ancora falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e omesso esame di fatto decisivo.
5.1. Da un lato, secondo il ricorrente, la Corte di appello non aveva allegato e valutato congiuntamente le risultanze circa la titolarità di proprietà immobiliari in capo alla signora Pi. e il loro valore e aveva considerato invece elementi estranei (l’amministrazione di un immobile da parte del figlio, l’eventualità dell’abbandono della casa coniugale), omettendo invece di considerare la mancata prova da parte della signora Pi. dei redditi ricavati.
Dall’altro, era stata omessa la valutazione delle singole proprietà della Dott.ssa Pi. (quota del 50% della lussuosa villa urbana di via *****; quota del 50% dell’alloggio di ***** di cui la signora riscuoteva interamente il reddito, quota del 50% della multiproprietà di *****).
5.2. In primo luogo, in presenza di una doppia pronuncia conforme dei giudici del merito non è consentita la deduzione del mezzo di ricorso di per vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, stante il disposto dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5.
5.3. La duplice censura è comunque anche infondata.
Le circostanze valutate in modo asseritamente indebito sono state semplicemente riferite nel complesso della motivazione.
Da un lato, i vari cespiti immobiliari (quote di comproprietà) detenuti dalla Dott.ssa Pi., diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, sono stati considerati e specificamente valutati dalla Corte di appello; la villa di ***** è stata considerata anche nella prospettiva di un cambiamento di abitazione e tenendo conto del procedimento di divisione in corso e delle pretese compensative (peraltro delibate come potenzialmente legittime) del Dott. P., con valutazione di merito incensurabile in questa sede di legittimità; i redditi, sia pur non quantificati esattamente, scaturenti da locazione turistica dell’immobile di ***** sono stati considerati (pag. 11); l’immobile di ***** è stato ritenuto attualmente non utilizzabile perché danneggiato.
6. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e si duole del fatto che la Corte di appello abbia ritenuto che la Dott.ssa Pi., già docente di scienze naturali, non potesse ricavare redditi per ragioni anagrafiche non compatibili con un reinserimento lavorativo.
La censura è generica e inammissibile, in quanto è volta a contestare un accertamento di fatto e una valutazione di merito espressi dalla Corte territoriale, è basata su di un assunto esplorativo e ipotetico circa la possibilità della sig.ra Pi. di impartire lezioni private di storia naturale, ed è comunque infondata nella pretesa di voler correlare la valutazione al momento della pronuncia di separazione, o in subordine a quello della pronuncia di divorzio, e non già all’attualità della decisione sul punto.
7. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, perché la Corte di appello non aveva rilevato che la Dott.ssa Pi. aveva omesso di dar conto dei redditi ricavati dagli affitti turistici dell’immobile di *****, venendo così meno all’onere probatorio a suo carico.
La Corte di appello non ha affatto omesso di rilevare la circostanza della mancata quantificazione di tali proventi, anche se ha dato atto che la Dott.ssa Pi. in base agli accordi con l’ex marito sopportava il costo degli oneri ordinari per l’alloggio di *****.
La Corte di appello ha semplicemente ritenuto che tale omessa quantificazione non fosse rilevante e decisiva, tenuto conto dei pesanti oneri che incombevano sulle finanze della ex moglie in relazione alla ex casa coniugale da lei utilizzata per le pretese di compensazione avanzate dal Dott. P. e soprattutto ha commisurato la valutazione su an e quantum dell’assegno anche sull’esigenza di compensazione dei determinati apporti arrecati dalla Dott.ssa Pi. al patrimonio dell’ex coniuge, in conformità con quanto richiesto dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, mentre il ricorrente propone una censura ancorata ai principi, in parte ormai superati, indicati dalla sentenza 11504 del 2017.
In ogni caso, il ricorrente non dimostra la decisività della doglianza, per di più attinente ad un elemento marginale rispetto alle consistenze patrimoniali e reddituali in gioco.
8. Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, perché la Corte di appello aveva mal valutato il reddito da pensione spettante alla Dott.ssa Pi., certo e sicuro, esente dai rischi connessi al mercato del lavoro.
La censura è di puro merito rispetto alla valutazione espressa dalla Corte territoriale, che ha dichiaratamente considerato quell’introito di Euro 1.200,00 mensile come certo e purtuttavia insufficiente nel complessivo contesto considerato.
9. Con il settimo motivo di ricorso il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, perché la Corte di appello aveva conferito indebitamente rilievo all’accertato notevole squilibrio fra le condizioni patrimoniali delle parti.
La censura è infondata.
La L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, fa espresso riferimento a tale parametro laddove prevede che il giudice, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
La Corte di appello ha comunque calato tale considerazione in un ragionamento complesso, conforme a quello richiesto dall’attuale giurisprudenza di cui alla sentenza 10287 del 2018 delle Sezioni Unite, nel cui contesto ha considerato il grado di autosufficienza economica della ex moglie richiedente e il suo determinante apporto alle fortune del marito nell’arco della lunga vita matrimoniale comune.
10. Con l’ottavo motivo di ricorso il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, perché la Corte di appello aveva conferito indebitamente rilievo alla non immediata monetizzabilità dei cespiti immobiliari appartenenti alla controricorrente.
La doglianza si risolve, ancora una volta, in una censura di puro merito rispetto alla ragionevole valutazione della Corte di appello che ha tenuto conto della difficoltà all’attualità di tradurre in denaro i cespiti immobiliari al momento oggetto di una procedura di divisione giudiziale.
11. Con il nono motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia contraddittorietà e illogicità della motivazione in merito a un fatto decisivo e violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.
11.1. Il ricorrente lamenta che sia stato mal interpretato il senso delle sue deduzioni, volte a stigmatizzare l’atteggiamento parassitario della dottoressa Pi., biologa e docente di scienze naturali, poiché lui, nelle sue difese, aveva inteso solamente mettere in luce l’acquisizione di professionalità da parte della moglie in virtù della precedente collaborazione endo-familiare e non certo l’utilità dell’apporto della moglie al suo personale successo professionale.
11.2. In primo luogo, in presenza di doppia pronuncia conforme sul merito, la denuncia di vizio motivazionale è inammissibile ex art. 348-ter c.p.c., comma 5.
11.3. In secondo luogo, la censura è generica e non autosufficiente, poiché non riferisce nel dettaglio e con precisione l’affermazione difensiva asserita mente travisata.
11.4. In terzo luogo, le intenzioni di una allegazione difensiva sono del tutto irrilevanti e rileva solo la sua consistenza oggettiva, capace di determinarne l’acquisizione agli atti come fatto non controverso e come tale utilizzabile per la decisione, come aveva fatto la Corte bresciana.
12. I successivi motivi sono dedicati al tema della pretesa simulazione della società Via Verdi 15 s.r.l. e alla pretesa dissimulazione dei redditi del Dott. P..
13. Con il decimo motivo il ricorrente principale lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1414,1415,1416,1417 c.c. e artt. 102,107 e 354 c.p.c. laddove la sentenza impugnata ha accolto le domande della Dott.ssa Pi. volte all’accertamento della simulazione dei negozi costitutivi di trust, fondo patrimoniale e della società Via Verdi 15 s.r.l. senza procedere nel necessario contraddittorio di tutti i soggetti parte dei negozi impugnati.
13.1. La censura è infondata.
Non risulta indicata nella sentenza impugnata (e neppure nel ricorso) alcuna domanda di accertamento della simulazione dei negozi giuridici sopra indicati da parte della Dott.ssa Pi., né, soprattutto la sentenza impugnata (o la precedente sentenza del Tribunale) ha dichiarato alcuna simulazione.
I giudici del merito si sono limitati ad accertare redditi e consistenze patrimoniali del Dott. P., disattendendo le prove da lui fornite circa una loro contrazione o diminuzione, ritenendo che egli avesse posto in essere artifici giuridici volti a dissimularne la reale ed effettiva consistenza.
14. Con l’undicesimo motivo il ricorrente principale lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1414,1415,1416,1417,2727 e 2729 c.c. e art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e deduce la mera apparenza della motivazione relativamente alla ritenuta simulazione dei negozi costitutivi di trust e fondo patrimoniale.
Il motivo è infondato perché la Corte di appello non ha affatto dichiarato la simulazione dei predetti negozi, al cui proposito ha semplicemente parlato di condotte dissimulative a cui non corrispondeva una reale diminuzione della consistenza patrimoniale del ricorrente.
15. Con il dodicesimo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 1147 c.c. e sostiene che la Corte di appello aveva omesso di valutare la prova documentale della contrazione dei redditi del ricorrente rappresentata dalle dichiarazioni dei redditi prodotti dal Dott. P..
15.1. E’ d’uopo ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte la violazione dell’art. 116 c.p.c. è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcun piuttosto che a altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato “della valutazione delle prove” (Sez. 3, 28/02/2017, n. 5009; Sez. 2, 14/03/2018, n. 6231).
15.2. In ogni caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le dichiarazioni dei redditi dell’obbligato, in quanto svolgono una funzione tipicamente fiscale, non rivestono, in una controversia concernente l’attribuzione o la quantificazione dell’assegno di divorzio, relativa a rapporti estranei al sistema tributario, valore vincolante per il giudice, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può disattenderle, fondando il suo convincimento su altre risultanze probatorie (Sez. 1, n. 769 del 15/01/2018; Sez. 6 – 1, n. 18196 del 16/09/2015, Rv. 637220 – 01Sez. 1, n. 9876 del 28/04/2006, Rv.588477 -01; Sez. 1, n. 13592 del 12/06/2006, Rv. 589530- 01; Sez. 1, n. 18241 del 22/08/2006, Rv. 591544 – 01).
16. Con il tredicesimo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 2332 c.c. e del diritto vivente in tema di simulazione di società, consumata allorché la Corte di appello avrebbe accertato la simulazione della società via Verdi 15 s.r.l., sul cui presupposto aveva ricondotto i relativi redditi alla sfera patrimoniale del Dott. P..
16.1. In primo luogo, come già osservato, la Corte di appello non ha affatto accertato e dichiarato la simulazione della società e ha invece ricondotto i relativi redditi alla sfera del Dott. P..
16.2. In secondo luogo, con il motivo il ricorrente mira a contrastare un accertamento di fatto, l’inesistenza di una reale contrazione dei redditi del ricorrente, reputata solamente apparente, effettuata dal giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità.
16.3. Le altre affermazioni del ricorrente, tra cui quella che il Dott. P. non sarebbe neppure socio della predetta società, sono del tutto generiche e non autosufficienti, e prive di riscontri anche solo indicati.
17. Con il quattordicesimo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. 898 del 1970, art. 9 e del principio rebus sic stantibus e si duole del fatto che la Corte di appello, anziché valutare la situazione della Dott.ssa Pi. all’attualità abbia considerato l’incidenza di oneri economici per prestazioni di assistenza ed ausilio, non potendo fare affidamento sulla presenza accanto a sé di altri familiari.
Il motivo è infondato, perché, diversamente da quanto ipotizzato dal ricorrente, la Corte di appello ha considerato, oltretutto genericamente nel contesto di una valutazione unitaria e complessiva, i predetti oneri, come un fattore già attuale, tenuto conto dell’età della ex moglie e della sua condizione solitaria.
18. Con il quindicesimo motivo il ricorrente lamenta violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e sostiene che la Corte territoriale aveva omesso di considerare correttamente la diversa natura dell’assegno divorzile rispetto all’assegno attribuito al coniuge separato e aveva dato così indebito rilievo al tenore di vita precedente della coppia.
18.1. La censura è infondata, già solo per il suo fondamento sui principi esposti dalla sentenza n. 11504 del 2017 e non sulla successiva giurisprudenza tracciata dalle Sezioni Unite, costituente l’attuale diritto vivente e al rilievo così introdotto ai fattori di perequazione e compensazione che debbono essere tenuti presenti nell’attribuzione e nella quantificazione dell’assegno divorzile.
18.2. In secondo luogo, non vi è traccia nella sentenza impugnata di riferimenti al pregresso tenore di vita della coppia in costanza di matrimonio.
18.3. In terzo luogo, la diversificazione in aumento dell’assegno divorzile rispetto a quello fissato in sede di separazione è stato il frutto di una specifica valutazione, ampiamente motivata, della Corte di appello (pag.16), basata su di un accertato mutamento delle circostanze.
E’ pur vero che un orientamento giurisprudenziale di questa Corte ha affermato che la determinazione dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge in misura superiore a quella prevista in sede di separazione personale, in assenza di un mutamento nelle condizioni patrimoniali delle parti, non sarebbe conforme alla natura giuridica dell’obbligo, presupponendo, l’assegno di separazione la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; al contrario tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, essendo volto non alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Sez. 1, n. 5605 del 28/02/2020, Rv. 657036 – 01; Sez. 1, n. 17098 del 26/06/2019, Rv. 654639 – 01).
Tuttavia tale orientamento può essere preso a riferimento solo in un contesto in cui siano assenti giustificazioni compensativo- perequative e mutamenti nelle condizioni patrimoniali delle parti, come queste pronunce non hanno mancato di sottolineare.
19. Con il motivo di ricorso incidentale la controricorrente denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 13, perché la Corte aveva omesso di accogliere la sua richiesta di far retroagire la decorrenza dell’assegno dalla data della domanda (*****) o almeno dalla data della sentenza non definitiva di cessazione degli effetti civili (*****).
19.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’assegno di divorzio, traendo la sua fonte nel nuovo status delle parti, ha efficacia costitutiva decorrente dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale. A tale principio ha introdotto un temperamento la L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 13, così come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 8 conferendo al giudice il potere di disporre, tenuto conto delle circostanze del caso concreto e fornendo una adeguata motivazione, anche in assenza di una specifica richiesta delle parti, la decorrenza dell’assegno dalla data della domanda di divorzio. (Sez. 1, n. 3852 del 15/02/2021, Rv. 660723 – 01; Sez. 1, n. 19330 del 17/09/2020, Rv. 658974 – 01; Sez. 1, n. 20024 del 24/09/2014, Rv. 632412 – 01).
19.2. La ricorrente incidentale censura come non pertinente la motivazione (per vero del tutto ragionevole) addotta dalla Corte di appello per negare l’anticipazione della decorrenza dell’assegno divorzile (esclusione di un apprezzabile pregiudizio economico o costrizione al ricorso a finanziamenti per far fronte alle proprie esigenze), senza rendersi conto che le proprie critiche si appuntano su di un provvedimento discrezionale e non forniscono alcuna apprezzabile giustificazione della richiesta deroga al principio generale.
20. Debbono pertanto essere respinti sia il ricorso principale sia quello incidentale.
La soccombenza prevalente grava sul ricorrente principale per numero e rilevanza economica dei motivi di ricorso, ed è pertanto il Dott. P. che dovrà rifondere alla controricorrente i 4/5 delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo e per il resto compensate.
La Corte ritiene necessario disporre che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale, e condanna il ricorrente al pagamento dei 4/5 delle spese in favore della controricorrente, liquidate per tale quota nella somma di Euro 4.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e della controricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021