Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26492 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23610/2017 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Pio XI 13 presso lo studio dell’avvocato Vincenzo Croce, e rappresentato e difeso dall’avvocato Glauco Arcaini, in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.M.G.;

– intimato –

nonché contro T.M.G., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Chiara Villante, in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 980/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 28/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso depositato l'***** C.A. chiedeva pronunciarsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con T.M.G. in data *****, con esclusione di alcun assegno in favore della moglie, assumendo che le sue condizioni economiche fossero migliorate rispetto a quelle sussistenti al momento della separazione, in considerazione dello svolgimento di un lavoro in nero, della disponibilità di una casa ricevuta in eredità dalla madre e della nuova convivenza da essa iniziata more uxorio.

La sig.ra T. negava sia di avere un lavoro, incompatibile con la sua malattia, sia di aver intrapreso una nuova convivenza, e chiedeva l’attribuzione di un assegno a suo favore di Euro 1.200,00, richiesta poi ridotta a Euro 800,00.

Il Tribunale di Brescia con sentenza del 10/6/2016 ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio e ha respinto la richiesta di assegno da parte della sig.ra T. sul presupposto che essa avesse intrapreso una nuova convivenza e godesse di aiuti economici dal nuovo compagno, condannandola alla rifusione delle spese di lite.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello T.M.G., a cui ha resistito l’appellato C.A..

La Corte di appello di Brescia con sentenza del 28/6/2017 ha accolto parzialmente il gravame, attribuendo alla moglie un assegno di Euro 350,00 mensili, rivalutabili secondo Istat, e condannando il marito a rifonderle il 50% delle spese processuali dei due gradi, per il resto compensate.

3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 10/10/2017 ha proposto ricorso per cassazione C.A., svolgendo unico motivo.

Con atto notificato il 20/11/2017 ha proposto controricorso T.M.G., chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente C.A. denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10.

Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello abbia riconosciuto alla sig.ra T. l’assegno de quo al fine di mantenere il tenore di vita matrimoniale in contrasto con i principi fissati dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 11504 del 2017, secondo la quale si doveva invece aver riguardo al criterio della autosufficienza economica.

2. La Corte bresciana ha innanzitutto escluso che fosse stata raggiunta la prova, diretta o indiretta, che la sig.ra T. avesse instaurato con il proprio compagno, il sig. B., una vera e propria convivenza, configurante una famiglia di fatto, rilevante per escludere il diritto all’assegno; punto questo rimasto indenne dall’impugnazione in questa sede.

In secondo luogo, la Corte di appello ha preso in esame le condizioni reddituali dei due coniugi per misurarne l’autosufficienza economica, relazionandola al pregresso tenore di vita della coppia.

I giudici bresciani hanno quindi accertato che il sig. C. aveva un reddito mensile lordo stabile di Euro 2.000,00, era proprietario dell’appartamento in cui viveva, ed aveva recentemente venduto la quota del 50% di un magazzino, ricavandone Euro 45.000,00.

La sig.ra T., invece, percepiva una pensione di invalidità (all’85% per artrite reumatoide) di Euro 280,00 mensili, sosteneva le spese di locazione dell’alloggio in cui viveva per Euro 250,00 mensili ed era titolare di 2/24 di un immobile ereditato dalla madre. Secondo la Corte di appello ella svolgeva anche una attività lavorativa di assemblaggio a domicilio “in nero” per la Global Service, non radicalmente impedita dalle sue condizioni di salute, peraltro esposte a “un inevitabile aggravamento”, anche perché, diversamente, non avrebbe potuto sopravvivere con il contributo di Euro 350,00 mensili pattuito in sede di separazione.

I figli della coppia erano ormai maggiorenni e autosufficienti, sicché il sig. C. era stato sgravato dal contributo per il loro mantenimento.

All’esito di una valutazione complessa, in cui ha ponderato la durata (***** anni) del matrimonio, le differenti condizioni reddituali e patrimoniali dei coniugi, l’assetto economico disposto in sede di separazione sul presupposto della non autosufficienza della moglie in difetto di un lavoro stabile, e il miglioramento delle condizioni del C., nonché il (presumibile) tenore di vita della coppia, la Corte ha attribuito alla sig.ra T. il predetto assegno di Euro 350,00 mensili.

3. La sentenza impugnata è stata pronunciata prima della sentenza della Sezione 1 di questa Corte del 10/5/2017, n. 11504 e del successivo intervento delle Sezioni Unite dell’11/7/2018, n. 18287.

L’orientamento giurisprudenziale pregresso era stato compiutamente tratteggiato dalla sentenza delle Sezioni Unite 29/11/1990, n. 11490, secondo cui l’assegno di divorzio, nonostante la molteplicità di parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nel testo tuttora vigente, aveva natura assistenziale e doveva essere concesso tutte le volte in cui il coniuge richiedente non disponeva di mezzi sufficienti a mantenere il “tenore di vita” goduto durante la vita coniugale.

La sentenza della Sez. 1 n. 11504 del 10/05/2017, Rv. 644019 – 01, ha sancito l’abbandono dell’indirizzo precedente, secondo il quale il giudizio di adeguatezza doveva essere condotto in relazione al parametro del “tenore di vita” e ha negato l’assegno al coniuge economicamente autosufficiente.

E’ stato così affermato che il diritto all’assegno di divorzio, di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso.

Tali principi sono stati rivisti, corretti e puntualizzati successivamente dalle Sezioni Unite che hanno affermato che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, possiede una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, e richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; a tal fine debbono applicarsi i criteri pari-ordinati di cui alla prima parte della norma, che costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. (Sez. U, n. 18287 del 11/07/2018, Rv. 650267 – 01).

Le Sezioni Unite hanno quindi, per un verso, integrato i principi formulati dalla sentenza n. 11504/2017, confermando il definitivo abbandono del parametro del “tenore di vita” e il riparto degli oneri probatori (che grava il coniuge richiedente di provare la situazione che giustifica la corresponsione dell’assegno); per altro verso, hanno riconosciuto all’assegno di divorzio una funzione non soltanto assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non gli assicuri l’autosufficienza), ma anche riequilibratrice, o ancor meglio “compensativo-perequativa”, ove ne sussistano i presupposti.

In tal caso, e cioè quando sussista la condizione, necessaria ma non sufficiente, che le situazioni economico-patrimoniali dell’uno e dell’altro coniuge, all’esito del divorzio, siano squilibrate, quantunque entrambi versino in situazione di autosufficienza, non vige alcuna distinzione tra criteri attributivi, rilevanti ai fini dell’an del diritto all’assegno, e criteri determinativi, rilevanti solo successivamente ai fini del quantum.

Ferma in ogni caso la funzione assistenziale, in ipotesi di ex coniuge non economicamente autosufficiente, le Sezioni Unite hanno giudicato eccessivamente rigido il congegno fissato nel 2017, scandito dalla netta separazione del giudizio sull’an da quello sul quantum, ed hanno evidenziato taluni aspetti non coperti dall’applicazione del nuovo indirizzo, in particolare non idoneo a far fronte a quei casi in cui l’ex coniuge richiedente, massime nel quadro di un rapporto matrimoniale protrattosi per lungo tempo, pur versando all’esito del divorzio in situazione di autosufficienza economica, si trovi rispetto all’altro in condizioni economico patrimoniali deteriori per aver rinunciato, in funzione della contribuzione ai bisogni della famiglia, ad occasioni in senso lato reddituali, attuali o potenziali, ed abbia in tal modo sopportato un sacrificio economico, a favore del coniuge, che meriti un intervento, come è stato detto, compensativo-perequativo.

4. Nella specie la Corte territoriale, pur esprimendo un riferimento, peraltro incidentale e non essenziale, al pregresso tenore di vita della coppia, ha adottato in concreto una applicazione della legge conforme all’interpretazione dell’art. 5, comma 6, proposta dalle Sezioni Unite, costituente l’attuale diritto vivente.

La Corte bresciana ha infatti accertato la non autosufficienza economica della sig.ra T., pur attribuendole in via presuntiva un reddito integrativo da lavoro in nero, potenzialmente non stabile ed esposto a riduzione per le sue condizioni di salute, e ha ritenuto di poter confermare lo stesso, pur modesto, contributo stabilito in sede di separazione, alla luce delle migliori condizioni reddituali patrimoniali del marito, fra l’altro migliorate per la vendita di un cespite patrimoniale e l’esonero dal contributo per il mantenimento dei figli, divenuti autosufficienti, e comunque caratterizzate da una strutturale stabilità (lavoro stabile e proprietà della casa di abitazione).

La decisione impugnata è quindi conforme al diritto vivente e non è inficiata dall’ininfluente riferimento al pregresso tenore di vita in costanza di matrimonio.

5. Il ricorso deve quindi essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

La Corte ritiene necessario disporre che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 3.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 21 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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