Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26514 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27047/2014 R.G. proposto da:

B.G., rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Borghese, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Angela Perrone, sito in Roma, via Tuscolana, 346;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 342/23/13, depositata il 2 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 12 aprile 2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

RILEVATO

che:

– B.G. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 2 ottobre 2013, che, in accoglimento dell’appello erariale, ha respinto il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l’anno 2001 ed erano stati rideterminati i suoi ricavi derivanti dall’esercizio di attività di vendita al dettaglio;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che tale atto impositivo era fondato sulle risultanze degli studi di settore;

– il giudice di appello ha riferito che la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso della contribuente in ragione della mancata allegazione del prospetto di rideterminazione dei ricavi, benché richiamato, dell’assenza di indizi di riscontro delle risultanze degli studi di settore e della mancata considerazione delle argomentazioni spiegate dalla contribuente in sede di contraddittorio endoprocedimentale;

– ha, quindi, accolto il gravame dell’Ufficio evidenziando che la contribuente non aveva offerto alcuna idonea motivazione a giustificazione dello scostamento tra i dati esposti in dichiarazione e quelli desumibile dall’applicazione del pertinente studio di settore;

– ha, inoltre, sottolineato la legittimità del ricorso all’accertamento induttivo, in ragione della palese inattendibilità dei dati indicati nella contabilità;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– l’Agenzia delle Entrate non si costituisce tempestivamente, limitandosi a depositare atto con cui chiede di poter partecipare all’eventuale udienza di discussione.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, sostenendo la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento in considerazione della mancata allegazione del prospetto contenendo i dati utilizzati per la rideterminazione dei maggiori ricavi contestati;

– il motivo è inammissibile, in quanto la censura è indirizzata verso l’atto impositivo e non già verso la sentenza di appello, la quale nulla statuisce in proposito;

– con il secondo motivo la contribuente deduce la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, per aver l’Ufficio integrato la motivazione dell’avviso di accertamento solo in sede di appello e aver in tal modo indebitamente ampliato l’oggetto del giudizio;

– il motivo e’, del pari, inammissibile, in quanto anche questa censura non è indirizzata nei confronti della sentenza impugnata, ma si risolve nella contestazione del modus operandi dell’Ufficio, non contenendo l’indicazione di elementi da cui poter evincere se la circostanza allegata si sia verificata e se e in quali termini ciò abbia assunto rilevanza nella valutazione di legittimità dell’atto impugnato;

– con l’ultimo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, del D.L. 30 agosto 1993, n. 311, artt. 62 bis e 62 sexies, e dell’art. 2721 c.c., per aver la Commissione regionale ritenuto che la documentazione contabile esaminata evidenziasse una inattendibilità della stessa tale da giustificare il ricorso all’accertamento induttivo;

– contesta, in particolare, la correttezza dei dati valorizzati dalla sentenza a fondamento dell’assunto;

– il motivo è inammissibile, risolvendosi in una critica della valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Commissione regionale che non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese processuali, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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