LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23816-2015 proposto da:
SILOS GRANARI DELLA SICILIA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE REGINA MARGHERITA, 262, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MARSICO, rappresentata e difesa dagli avvocati ROLANDO SEPE ed ALESSANDRA STASI;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 923/2015 della COMM.TRIB.REG.PUGLIA, depositata il 27/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/06/2021 dal Consigliere Dott.ssa CIRESE MARINA.
RITENUTO
che:
la Silos Granari della Sicilia s.r.l. proponeva impugnazione dinanzi alla CTP di Bari avverso l’avviso di accertamento in rettifica della rendita catastale riferito al complesso adibito a silos per deposito granaglie sito alla banchina n. 15 del Porto di Bari, con cui l’Agenzia del Territorio aveva modificato la categoria catastale proposta da E/1 a D/7 con un’attribuzione di rendita pari ad Euro 49.701,12. A sostegno del ricorso deduceva la nullità dell’atto per inesistenza della notifica, la illegittimità della rendita accertata per mancata allegazione dell’avviso di accertamento catastale della stima diretta e nel merito la diversa categoria accertata e la rendita attribuita.
La CTP di Bari con sentenza n. 732/10/14, in accoglimento parziale del ricorso, confermava la categoria D/7 ma riduceva la rendita da Euro 49.710,00 ad Euro 35.617,70.
Proposto appello avverso detta pronuncia da parte della società contribuente, la CTR della Puglia, con sentenza in data 27.4.2015, rigettava il gravame ritenendo l’avviso di accertamento sufficientemente motivato e corretta la categoria catastale D7 attribuita dall’Ufficio.
Avverso detta pronuncia la società contribuente proponeva ricorso per cassazione articolato in quattro motivi cui resisteva con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 e L. n. 241 del 1990, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata aveva disatteso i principi costantemente espressi dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, nel caso in cui l’Agenzia proceda a rettificare la categoria catastale, l’avviso di accertamento deve specificare le differenze riscontrate mentre, nel caso di specie, nell’All. 1 all’avviso di accertamento sono riportati solo dati numerici.
2. Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Motivazione assolutamente apparente, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata non spiega in alcun modo cosa si intende per “autonomia funzionale e reddituale” dell’immobile, caratteristica che supporterebbe l’attribuzione della categoria D/7 in luogo di quella proposta E/1.
3. Con il terzo motivo di ricorso rubricato “Violazione D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 40-42, nonché regolamento attuativo del direttore dell’Agenzia del Territorio del 2.1.2007 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” parte ricorrente deduceva che la sentenza ha erroneamente ritenuto che gli immobili per cui è processo abbiano autonomia funzionale e reddituale mentre invece, oltre ad essere costruiti su area demaniale, risultano essere pertinenziali rispetto alla banchina, in quanto destinati alla movimentazione delle granaglie sicché sono privi di autonomia reddituale. Tale qualificazione è peraltro confermata dalla stessa Agenzia del Territorio con la circolare 13 aprile 2007, n. 4/T, emessa a commento del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40.
4. Con il quarto motivo di ricorso rubricato “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio-violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5” parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata non aveva considerato l’indissolubile legame funzionale esistente tra i silos ed i depositi ed il porto mercantile, nonché la funzione che gli stessi sono destinati ad assolvere ovvero lo stoccaggio temporaneo delle granaglie.
Il primo motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui, in tema di classamento di immobili, qualora, come nella specie, l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, mentre, nel caso in cui vi sia una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. n. 31809 /2018; n. 12777 /2018; n. 12497/2016; n. 23237/2014).
Nel caso di specie gli elementi fattuali relativi alle caratteristiche dell’immobile sono rimasti invariati e le diverse categorie e classe attribuite dall’ufficio derivano da una differente valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, di cui si dà riscontro nella scheda trascritta nel ricorso.
Il secondo motivo è infondato.
Non ricorre, invero, un’ipotesi di motivazione apparente, atteso che la CTR ha fatto rinvio a quanto già accertato dalla CTP, in sede di recepimento e condivisione dell’accertamento effettuato dall’amministrazione finanziaria.
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, da scrutinarsi congiuntamente, in quanto afferenti alla medesima questione, sono infondati.
Il D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, comma 40, convertito, con modificazioni, in L. 24 novembre 2006, n. 286, stabilisce che “nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale.”
Questa Corte ha già affermato il principio secondo cui l’inciso “qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale ” si debba intendere, alla luce del combinato disposto del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 5 e del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 40, riguardare gli immobili che siano, per se stessi utili o atti a produrre un reddito proprio, anche se utilizzati per le finalità istituzionali dell’ente titolare (cass.n. 20026/2015) con l’ulteriore corollario che “(…) ai fini del classamento di un immobile nella categoria E, come previsto dal D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, conv. in L. n. 286 del 2006, è necessario che lo stesso presenti caratteristiche tipologico- funzionali tali da renderlo estraneo ad ogni uso commerciale o industriale…” (Cass.n. ord. 10674/19).
In altre parole, l’inserimento nella categoria catastale E è stato riservato dalla legge a “… quegli immobili (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri ecc.) che presentano una marcata caratterizzazione topologico- funzionale, costruttiva e dimensionale tale da rendersi sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di libero scambio; la L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40 conferma “a contrario” questa osservazione, stabilendo che tra le “unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”.
E’ stato, a riguardo osservato che la disposizione normativa richiamata “instaura una vera e propria incompatibilità tra classificazione in categoria E), da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale, dall’altro…” (Cass.n. 34657/2019).
Secondo la giurisprudenza della Corte, cui questo Collegio intende dare continuità, e con riguardo al periodo antecedente al gennaio 2020 (in quanto dall’I. gennaio 2020 in base alla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 578 la classificazione è ex lege in E1) gli immobili facenti parte di terminal portuali soggetti a gestione imprenditoriale e lucrativa non rientrano nella categoria E1; ciò anche se si tratta di ‘aree scoperte’ fondandosi l’imposizione sui criterio della funzione (attività libero-imprenditoriale) e non sul criterio di ubicazione, con la conseguenza che il censimento catastale delle stesse impone l’accertamento non già della loro localizzazione, bensì dell’esercizio dell’attività secondo parametri imprenditoriali, restando invece irrilevante l’interesse pubblico al suo svolgimento (Cass., n. 23067/19).
Nel caso in esame, l’immobile in discussione, originariamente proposto, con la procedura Docfa, per l’accatastamento nella categoria El, essendo stato destinato dall’avente titolo, ad un uso commerciale e quindi essendo adatto a produrre un reddito proprio, non è classificabile in tale categoria, risultando corretta pertanto, nel merito, l’affermazione della CTR che ha riconosciuto per l’immobile la categoria D7.
La censura svolta sub 4) (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)) è inoltre finanche inammissibile per doppia conforme sull’accertamento fattuale della sussistenza dell’autonomia funzionale e reddituale degli immobili per cui è processo.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
La regolamentazione delle spese di lite, disciplinata come da dispositivo, segue la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 6000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale effettuata da remoto, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021