Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26524 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7351/15 R.G. proposto da:

L.B.C., rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. Francesco Ganci e dall’avv. Bernardo Sollena, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonio Casella, in Roma, via Leone IV, n. 38;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

e nei confronti di:

RISCOSSIONE SICILIA S.P.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. Accursio Gallo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Stefania Di Stefani, in Roma, via G. P. Palestrina, n. 19;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 133/35/12 depositata in data 23 ottobre 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 giugno 2021 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate propose appello avverso la sentenza n. 152/6/08 con la quale la Commissione tributaria provinciale di Palermo aveva accolto il ricorso proposto da L.B.C. avverso la cartella di pagamento con cui si recuperava maggiore Irpef per l’anno 2003 perché non munita della firma del responsabile del concessionario della riscossione.

2. All’esito della sola costituzione di Serit Sicilia s.p.a., essendo la contribuente rimasta contumace, la Commissione tributaria regionale accolse l’appello dell’Ufficio finanziario, riformando la sentenza di primo grado. Osservò che l’omessa indicazione nella cartella del responsabile del procedimento, se riferita, come nella specie, a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data anteriore al 1 giugno 2008, non comportava né nullità né annullabilità della stessa. Ritenne, quindi, assorbiti i restanti motivi di ricorso.

3. Contro la decisione d’appello L.B.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, eccependo, in via preliminare, che ai fini della ammissibilità del presente ricorso non possono trovare applicazione i termini di cui all’art. 327 c.p.c., poiché non è mai venuta a conoscenza del giudizio di appello, svoltosi in sua contumacia, a causa della inesistenza o nullità della notifica dell’atto di appello.

Resistono mediante distinti controricorsi l’Agenzia delle entrate e Riscossione Sicilia s.p.a. (già Serit Sicilia s.p.a.).

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo articolato – rubricato: Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – errores in procedendo nullità della sentenza e del procedimento – mancata instaurazione del contraddittorio – la contribuente deduce che non le è stata data la possibilità di partecipare al giudizio di appello, né di conoscere la pendenza dello stesso giudizio, in quanto l’atto di appello non sarebbe stato ritualmente notificato.

Dichiara di voler proporre, in via incidentale ex art. 221 c.p.c., querela di falso sia avverso l’avviso di ricevimento redatto dall’agente postale relativo alla lettera raccomandata inviata dall’Agenzia delle entrate e contenente l’atto di appello avverso la sentenza della C.T.P. n. 152/6/08, nella parte in cui reca la attestazione della firma apocrifa, asseritamente apposta dal destinatario, avv. Vincenzo Cracolici, quale procuratore costituito, sia l’avviso di accertamento redatto dall’agente postale relativo alla lettera raccomandata inviata dall’Agenzia delle entrate contenente l’atto di appello avverso la sentenza della C.T.P. n. 152/6/08 nella parte in cui detto avviso reca la attestazione della firma asseritamente apposta dalla destinataria, L.B.C..

Aggiunge che l’assenza di una valida instaurazione del contraddittorio comporta nullità della sentenza d’appello, perché emessa in difetto di rituale contraddittorio, e costituisce circostanza ostativa all’applicazione dei termini di impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c., sicché deve esserle riconosciuta la possibilità di proporre tardivamente il ricorso per cassazione.

2. A norma dell’art. 327 c.p.c. il soccombente rimasto contumace può proporre impugnazione nei confronti della sentenza non notificata anche dopo la decorrenza del termine solo qualora concorrano due presupposti, ossia la nullità della citazione o della sua notificazione e la mancata conoscenza del processo svoltosi in sua contumacia proprio a causa della predetta nullità.

2.1. Tali presupposti non sono ravvisabili nel caso in esame.

2.2. Infatti, anche se la contribuente ha denunciato la falsità delle firme apposte in calce agli avvisi di accertamento delle raccomandate con le quali è stato notificato l’atto di appello, la falsità di tali sottoscrizioni non può costituire oggetto di accertamento in questa sede.

Invero, la querela di falso incidentale che la contribuente ha dichiarato di voler proporre con il ricorso per cassazione avverso gli avvisi di accertamento non è ammissibile.

E’ costante giurisprudenza della Corte che la querela di falso è (rilevante) e proponibile in via incidentale nel giudizio di cassazione, dando luogo alla sua sospensione, solo in quanto la falsità denunciata riguardi gli atti dello stesso procedimento di cassazione – ossia il ricorso, il controricorso e l’atto sentenza, con riferimento, peraltro in quest’ultimo caso, ai soli vizi della sentenza stessa per mancanza dei suoi requisiti essenziali, di sostanza e di forma, e non anche ove sia originata, in via mediata e riflessa, da vizi del procedimento, quale l’irregolare costituzione del rapporto processuale – o i documenti di cui è ammesso il deposito nel corso del giudizio di cassazione a norma dell’art. 372 c.p.c., non invece quando concerna gli atti del procedimento che si è svolto dinanzi al giudice di merito e la cui falsità vuole essere addotta per contestare il vizio di violazione di norme sul procedimento in cui sia incorso il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. sez. 5, 15/12/2000, n. 15885; Cass., sez. U, 25/07/2007, n. 16402; Cass., sez. L, 5/03/2004, n. 4603; Cass., sez. 5, 9/10/2006, n. 21657; Cass., sez. 3, 16/01/2009, n. 986; Cass., sez. 3, 23/10/2014, n. 22517; Cass., sez. 3, 27/04/2017, n. 10402; Cass., sez. 5, 6/11/2020, n. 24846).

Nel giudizio di cassazione, dunque, ove si adduca la falsità degli atti del procedimento di merito, la querela di falso va proposta in via principale, in quanto l’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2, costituisce, una volta accertata la falsità dell’atto in questione, il solo mezzo per rescindere la sentenza fondata su atti dichiarati falsi, non potendosi dare luogo, nello stesso giudizio di cassazione, ad una mera declaratoria di “invalidità e/o nullità dei precedenti gradi di merito” (Cass., 23/10/2014, n. 22517; Cass., sez. 5, 6/11/2020, n. 24846).

2.3. Ne discende che non sono ammissibili in sede di legittimità eventuali doglianze relative a pretese falsità delle firme apposte sugli avvisi di accertamento relativi alla notifica dell’atto di appello, trattandosi di atti non impugnati con querela di falso nelle competenti fasi processuali ed utilizzati dal giudice di merito ai fini della decisione.

In assenza di pronuncia che abbia accertato la falsità, il ricorso per cassazione deve ritenersi tardivamente proposto oltre i termini di cui all’art. 327 c.p.c..

3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Riscossione Sicilia s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 2:00,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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