LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SESTINI Danilo – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5115/2019 proposto da:
D.L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AULO PLAUZIO, 5, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CUTRONA, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
D.M.N., G.E., D.M.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE AVEZZANA 51, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO ZOPPIS, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato RITA MENNA;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 441/2018 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 18/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.
RILEVATO
che:
G.E., D.M.A. e D.M.N. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Campobasso D.L.S. chiedendo la declaratoria di risoluzione di locazione commerciale, con ordine di rilascio dell’immobile e condanna al pagamento di somme. Il Tribunale adito accolse la domanda. Avverso detta sentenza propose appello il D.L.. Con sentenza di data 18 dicembre 2018 la Corte d’appello di Campobasso dichiarò inammissibile l’appello.
Premise la corte territoriale che inammissibile, come già dichiarato all’udienza, era l’istanza di produzione documentale relativa alla questione di carenza di valida sottoscrizione dell’atto di appello proposta solo in sede di decisione, senza avere previamente contestato nel corso del giudizio i documenti prodotti dagli appellati a sostegno dell’eccezione sollevata ed avere tempestivamente effettuato la produzione documentale (né era stato chiesto di provare la non imputabilità della tardiva produzione). Osservò quindi, premesso che il difetto di sottoscrizione era causa di nullità dell’atto, che la firma digitale basata su certificato elettronico revocato o sospeso equivaleva a mancata sottoscrizione e che il sistema aveva evidenziato, con riferimento al messaggio PEC di data 2 ottobre 2017 dell’appellante recante la citazione in appello, la procura alle liti e la relata di notifica, che il certificato risultava sospeso dal 3 luglio 2017 al 14 novembre 2017, con identità del firmatario non valida perché revocata.
Ha proposto ricorso per cassazione D.L.S. sulla base di un motivo e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.
CONSIDERATO
che:
con il motivo di ricorso proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, osserva la parte ricorrente, premesso che il solo stato di sospensione del certificato digitale determina una mera irregolarità sanabile, che sulla base dei documenti depositati, non integranti una produzione ma semplicemente l’istruzione per accertare l’idoneità della firma digitale insita nel contenuto firma digitale, il certificato di firma digitale era valido a partire dal giorno 2017/07/03 al giorno 2020/07/01. Aggiunge che il contenuto della busta CAdES, con estensione “+.p7m”, è visualizzabile solo mediante una specifica applicazione (e resta disponibile nella busta PAdES anche dopo la conversione del documento), sicché non devono trarre in inganno i messaggi “almeno una delle firme non è valida” o “documento dopo la firma modificato e danneggiato”.
Il motivo è inammissibile per mancata indicazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, delle norme di diritto su cui la censura si fonda, avendo il ricorrente richiamato in rubrica solo la tipologia di vizio denunciata. Neanche dall’articolazione del motivo si colgono le norme di diritto che si assumono violate, quanto meno con riferimento alla ratio decidendi pregiudiziale rispetto a quella della rilevata inesistenza dell’atto di appello per mancanza di sottoscrizione (mediante firma digitale). Si tratta in particolare della dichiarata inammissibilità dei documenti che sarebbero stati prodotti in relazione alla questione della validità della sottoscrizione dell’appello. Dal passaggio nel motivo in cui si afferma che i detti documenti non integravano una produzione ma semplicemente l’istruzione per accertare l’idoneità della firma digitale non si comprende, in mancanza dell’indicazione della norma di diritto che sarebbe stata violata dalla sentenza impugnata, se la ratio decidendi sia stata impugnata e se lo sia stata in modo idoneo. Dal richiamato passaggio della censura non si comprende in particolare se il ricorrente faccia riferimento ad una norma di diritto, ed a quale norma per ipotesi si riferisca, nell’affermare che i documenti in discorso non integravano una produzione documentale, “ma semplicemente l’istruzione per effettuare l’accertamento sulla idoneità della firma digitale”, come si legge nel ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021